Ogni anno con l’autunno e l’approvazione della finanziaria si scatena il dibattito sulle percentuali in più o in meno del PIL, come se la misurazione del PIL fosse una cosa esatta, quasi scientifica
Ogni anno con l’autunno e l’approvazione della finanziaria si scatena il dibattito sulle percentuali in più o in meno del PIL. Come se la misurazione del PIL fosse una cosa esatta, quasi scientifica. In realtà misurare il PIL è un’operazione molto difficile, quasi impossibile, e non esiste nessun rigore se non accompagnato da una vigorosa scossa di mano: più o meno è così.
Il prodotto interno lordo, o PIL, è una misura delle attività economiche alle quali è possibile attribuire un prezzo (che il mercato determina). Introdotto da Kuznets nel 1934, il PIL rappresenta il valore dei beni e servizi prodotti in un Paese nel corso di un periodo di tempo, e destinati al consumo, agli investimenti privati e pubblici, alla spesa pubblica e alle esportazioni totali meno importazioni totali, e non contempla voci negative e il consumo di risorse naturali. E’ diventata pratica comune giudicare se un paese sta meglio di un altro sulla base del livello di reddito pro-capite. In tal modo, il tasso di crescita del PIL è considerato come un indice della salute di un paese, mentre al massimo può essere considerato come uno degli indicatori dell’economia di un paese. Se però adottassimo il PIL come misura della nostra vita, commetteremmo una serie di errori.
La misurazione nel tempo è diventata sempre più difficile per almeno 3 aspetti: si hanno sempre più nuovi prodotti (il telefono non esisteva nell’800, poi si è passati al fisso ai cellulari, agli smart phones) e i loro prezzi non riflettono il valore del servizio offerto; i servizi (la cui misurazione è vaghissima: si pensi che per quelli non vendibili – quasi tutta la pubblica amministrazione – il contributo al PIL è pari a salari e stipendi) rappresentano ora quasi il 70% del PIL; e infine con l’informatica si possono moltiplicare con un click testi, video, musica etc. a costi 0 di cui il PIL non tiene traccia. Errori percentuali a 2 cifre in meno sono dunque verosimili. Le statistiche su PIL e produttività son fatte così, basta solo prenderle seriamente. E non prendersi troppo sul serio commentandole. Ricordiamoci come viene misurato il PIL di un dipendente pubblico addetto a servizi non vendibili. In pratica è il costo del dipendente mentre la produttività è il rapporto tra la quota di PIL ed il numero di addetti. Se lo stipendio di un addetto al catasto o di un docente universitario raddoppia anche la produttività misurata aumenta. Le cifre sono insidiose e andrebbero prese con cautela. Non a caso quando il gruppo guidato da Fuà ad Ancona negli anni ‘70 ricostruiva il PIL italiano dal 1861, Giorgio si raccomandava di indicare le cifre in miliardi anziché milioni per non dare al lettore la falsa impressione di una precisione solo apparente.