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L’impensabile ora diventa necessario, verso la voragine

Ciò che ieri non era nemmeno preso in considerazione diventa oggi «una necessità alla quale non ci si può sottrarre». I carri armati per l’Ucraina sono pronti e Kiev già chiede i jet d’attacco. La guerra rischia di estendersi. Da il manifesto.

Ciò che ieri non era nemmeno preso in considerazione diventa oggi «una necessità alla quale non ci si può sottrarre». I carri armati per l’Ucraina sono pronti. Il campo di battaglia muta: per quanto Mosca minacci, lo spettro del nucleare russo pare far meno paura. Prevale l’imperativo di rompere lo stallo sul fronte, mostrando a Mosca come l’inverno non abbia piegato la determinazione di chi difende l’Ucraina. Più cingoli e potenza di fuoco, prima che sia Putin a lanciare l’offensiva. Tutto segue un copione di escalation prevedibile (e previsto) ma dagli esiti quantomai incerti: il protrarsi della guerra getta le condizioni per l’espansione della guerra stessa, e per un ulteriore nostro coinvolgimento.

Negli Usa, i senatori repubblicani affermano di ragionare «a mente aperta», e di non avere tabù nel considerare nuove spedizioni di armi, aggiungendo che occorre capire «verso cosa ci stiamo dirigendo». Gli Abrams M1 statunitensi non saranno operativi al fronte entro la primavera. Tuttavia, essi servono a superare le cautele di una leadership tedesca che deve ripensare tutto, sentendo il centro d’Europa scivolare a Est. Fino a poco fa gli alti comandi del Pentagono mettevano in discussione le chances di vittoria militare, lasciando pensare alla soluzione politica; oggi paiono invece dar corda all’idea della riconquista integrale.

Così i comandi ucraini annunciano che faranno tremare la Russia in profondità. È verosimile che Washington mantenga aperta l’opzione negoziale, partendo dall’assunto che con Putin si tratta solo da una posizione di forza: ma certo non ne parla, e davanti abbiamo combattimenti più intensi.
Torneremo dunque a vedere la guerra come scontro fra apparati industriali, e battaglie fra carri armati? I 31 Abrams americani sono in primo luogo un segnale politico: l’aspetto più rilevante non è il loro impatto militare, a fronte delle decine di tank che gli ucraini perdono ogni mese. Certo, se si aggiungono i Leopard tedeschi, più di 100 tank occidentali, opportunamente concentrati, possono rappresentare un grosso problema di tenuta per le linee di difesa approntate dai russi. Ma i carri, da soli, si sono rivelati più che vulnerabili alle armi anticarro (di cui peraltro gli ucraini abbondano).

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