La “resurrezione” del gas strategico per la riconversione verde nasconde i trucchi dei soliti noti che premono per ritardare l’uscita dai fossili. L’ultimo escamotage che ha convito il governo è la CCS (cattura e stoccaggio di C02).
«Attenti ai dinosauri», avverte l’ultimo e-book del manifesto, perché, seppure biologicamente estinti, sono all’opera alacremente nell’arena economica come nel settore energetico, laddove i segnali della pandemia suggerirebbero un cambiamento radicale, anziché un ritorno “a prima”.
L’idrogeno, come vettore energetico, è sulla cresta dell’onda da mesi in un mare a più colori: verde se ricavato da rinnovabili, blu se prodotto da gas con sequestro della CO2, o grigio se ottenuto direttamente da reforming del metano con emissioni in atmosfera. Ma, attenti – tra il verde e gli altri colori c’è di mezzo la richiesta chiave dell’IPCC di lasciar da subito sottoterra i fossili, pur di raggiungere tra trent’anni (2050) la neutralità climatica.
Tra bombe d’acqua, maree e incendi, la faticosa discussione su come allocare i fondi europei per la riconversione verde ha fatto sì che si sfocassero sullo sfondo i “dinosauri” attivi nelle multinazionali e nei governi, che si contendono senza perdere tempo la gestione dei grandi giacimenti di gas scoperti ai bordi del Mediterraneo. In un dibattito mantenuto vivo dal mondo scientifico, ma che langue sul versante politico, anche la voce di Francesco e degli studenti di FFF viene resa più flebile e il cambiamento climatico ha il sapore della fatalità.
Eppure, nello spazio tenuto in sospeso dalla pandemia, il quadro politico economico e sociale è in movimento e, pur tra silenzi preoccupanti – come accade in gran parte del mondo del lavoro – e il fiorire di molteplici iniziative che si articolano per aree tematiche e territoriali, si va formando un sentire di massa sempre più attento alla cura del vivente e della Terra e che non si fa ingabbiare da nuovi trucchi, dopo che il negazionismo ha mostrato la corda. Ora la disinformazione assume aspetti più ambigui, difficili da portare allo scoperto, come nel caso interessantissimo e cruciale della “resurrezione” dell’idrogeno nella politica energetica dei prossimi trent’anni.
L’8 luglio di quest’anno la Commissione UE ha pubblicato la tanto attesa strategia per l’idrogeno, complementare alla nuova strategia industriale proposta a marzo scorso, come parte del pacchetto di misure per il Green Deal Europeo, con l’obiettivo di emissioni zero entro il 2050. In essa si afferma senza ambiguità che la priorità viene data all’idrogeno verde (ossia quello prodotto unicamente da fonti rinnovabili), mentre l’idrogeno da fonti fossili viene scartato, salvo che si tratti di idrogeno “blu” (ossia ottenuto dal gas naturale fossile senza emissioni di CO2, catturate e sequestrate con un processo detto CCS, che dovrebbe impedirne il rilascio in atmosfera).
L’escamotage del CCS farebbe da foglia di fico alle imprese fossili nel breve e medio termine, in virtù di una sua pretesa (conclamata e mai dimostrata) convenienza economica rispetto all’idrogeno verde. Nei fatti, si tratta semplicemente di una goffaggine maldestra per far guadagnare tempo alle corporation del gas.
Infatti, nella versione iniziale, fatta circolare semi clandestinamente il 18 giugno 2020, la Commissione si limitava a menzionare, senza assegnargli alcun ruolo significativo, l’idrogeno “blu”. Senonché, il 24 giugno seguente, Gasnaturally, la lobby di una coalizione di imprese del fossile – tra cui l’ENI – rivendicava l’adozione di una strategia per l’idrogeno che seguisse una impostazione “technology-neutral”, di modo che sia l’idrogeno da fonti rinnovabili che quello ottenuto dal gas con la CCS potessero essere considerati “Idrogeno pulito”.
E così, il documento ufficiale dell’8 luglio cambia rispetto al “draft” del 18 giugno e assegna un ruolo – a giudizio nostro ingiustificabile – all’idrogeno blu, riconoscendolo “necessario” nel breve e medio termine ” allo scopo di ridurre più rapidamente le emissioni rispetto ai sistemi attuali di produzione di idrogeno dalle fonti fossili” e favorire così la penetrazione di idrogeno rinnovabile sia attualmente che in futuro”.
In effetti, la posizione della Commissione non dovrebbe lasciare porte aperte ad interpretazioni di comodo, né verso la fonte nucleare, né verso la produzione tradizionale come quella del reforming da metano senza CCS. Ma cos’è questa CCS, una sorta di Terminator energetico che tutte le volte che sembra morto, risalta fuori.? Occorre ricordare che, a tutt’oggi, nessuno è in grado di dire quale ne sia il costo reale e, quindi, di affermare che esso sia inferiore o superiore al costo dell’idrogeno da fonti rinnovabili. La motivazione economica e di facilitazione per la penetrazione verso il sistema definitivo è smentita proprio in questi giorni da un articolo di Nature che calcola quanta energia è prodotta nel corso della vita utile di una centrale elettrica, rispetto a quella spesa per costruirla e farla funzionare e dimostra che il sistema di energie rinnovabili al 100% per l’Europa, comprendente un mix di fonti rinnovabili e di sistemi di accumulo come l’idrogeno è sempre migliore di quello delle centrali a gas a ciclo combinato con CCS, con l’ulteriore vantaggio che il sistema a rinnovabili ci libererebbe anche dalla dipendenza da una risorsa limitata, di costo crescente e in gran parte importata. Non tutti sanno che nel 2007, in coincidenza con la strategia energetica varata dalla Merkel durante la sua presidenza UE (il pacchetto Clima Energia 20 20 20), le lobby del fossile ottennero in compensazione 1 miliardo di euro per realizzare “la costruzione e la messa in funzione, entro il 2015, di 12 impianti di dimostrazione per la produzione commerciale di elettricità con cattura e stoccaggio del carbonio (CCS)”. A tutt’oggi non se ne ha più alcuna notizia, come è stato certificato da una apposita relazione della Commissione, che ha ammesso il fallimento del programma. Inoltre, è intervenuta anche la Corte dei Conti Europea che ha concluso che i finanziamenti ai progetti dimostrativi erano stati uno spreco per l’Europa!
Temiamo che le ragioni che militano per un’apertura verso l’idrogeno “blu”, stiano nella volontà di non ostacolare il mercato del gas, che, una volta rilanciato anche nell’attuale passaggio critico, guiderebbe la transizione, facendo volentieri a meno del costoso sequestro dei climalteranti. I “dinosauri” ci mandano a dire: “lasciateci costruire le nostre centrali, e vedrete che un giorno le renderemo innocue per il clima con il CCS”, Gas nuovo anziché nuove rinnovabili e idrogeno purchessia, almeno finché non se ne discuta.
Qui da noi, dentro questo cuneo si sono subito tuffati, con minore o maggiore prudenza, A2A ed ENI e, con qualche riserva in più, ENEL, che, senza una adeguata discussione preventiva, hanno rilanciato immediatamente il gas a fronte della riconversione dal carbone prevista entro il 2025 per le centrali di Monfalcone, La Spezia e Civitavecchia, con un immediato plauso di Confindustria.
Eppure, la strategia della Commissione inserisce la nozione dell’ecosistema dell’idrogeno da sviluppare in Europa e introduce anche le nozioni complementari delle “valli dell’Idrogeno” da sviluppare a livello locale in conformità alla tipologia di insediamenti industriali e produttivi presenti in ogni regione. Ma se le “valli” di Monfalcone, La Spezia e Civitavecchia vengono presidiate oggi dal rilancio dei metanodotti e delle centrali a metano, con un tempo di ammortamento degli investimenti non inferiore ai 25 anni (sempre che non lieviti, come probabile, la carbon tax), chi svilupperà entro questo drammatico quinquennio post-covid il sistema [rinnovabili +idrogeno verde] che porta con sé oltre un milione di posti di lavoro?
Di tutto ciò vanno informate le popolazioni e le istituzioni a partire dal livello locale come nel caso di Civitavecchia, dove una riconversione dal carbone al gas, presentata come una riduzione del danno, finirebbe solo col contribuire al disastro per le politiche climatiche.
Pubblicato anche da L’Extraterrestre, inserto de il manifesto