All’alba del 21 luglio l’accordo tra i leader europei ha segnato l’avvio di una politica fiscale europea con il piano ‘Next Generation Europe’ per uscire dalla crisi della pandemia. La partita politica si sposta ora sulle modalità di realizzazione e sul piano per la ripresa dell’Italia.
Con l’intesa raggiunta poco prima dell’alba, i leader europei hanno trovato martedì 21 luglio un accordo sul pacchetto di misure per il rilancio dell’economia dopo la pandemia, che ha finora provocato oltre 200 mila vittime in Europa. Al centro dello scontro in Europa c’era la nascita di una politica fiscale europea, con nuovi programmi di spesa, il finanziamento degli Stati più colpiti, l’emissione di debito comune, la ricerca di nuove entrate fiscali a scala dell’Unione. E’ passata la proposta avanzata dall’asse franco-tedesco, sostenuta da Italia e Spagna e formulata dalla Commissione europea, pur con qualche ritocco e mediazione al ribasso.
‘Next Generation EU’ (https://sbilanciamoci.info/la-difficile-nascita-di-nuova-generazione-europa/) è il programma che segna la nuova politica fiscale europea, con 750 miliardi di fondi, ma con una riduzione dei sussidi a fondo perduto: saranno 390 i miliardi anziché 500, il resto in prestiti. L’accordo prevede anche una riduzione del bilancio dell’Unione per il 2021-2027 che viene rifinanziato per 1.074 miliardi: una cifra contenuta rispetto al budget 2014-2020 e alle proposte che erano in discussione prima della pandemia.
Per quanto riguarda l’Italia, grazie ai nuovi criteri di allocazione delle risorse, al nostro Paese spetterà un ammontare di fondi superiore a quello previsto a fine maggio: 209 miliardi di euro, circa 82 di sussidi a fondo perduto (a fronte di 40-50 miliardi di contributo previsto dell’Italia al bilancio comunitario) e 127 di prestiti (rispetto ai circa 90 inizialmente previsti). Il piano di spesa prevede l’impegno del 70% delle risorse nel biennio 2021-2022 e il restante 30% entro la fine del 2023. I prestiti dovranno essere rimborsati un anno prima rispetto alla bozza della Commissione, tra il 2027 e il 2058.
L’impostazione di ‘Next Generation EU’ resta quella proposta dalla Commissione: i Paesi europei raccoglieranno le risorse sui mercati finanziari emettendo obbligazioni comunitarie a lunga scadenza e la maggior parte dei fondi andrà ai paesi più colpiti dalla crisi. Sul piano istituzionale si tratta di una svolta storica, perché si dà avvio ad una politica fiscale europea e si sancisce un principio di gestione ‘federale’ delle crisi, un obiettivo impensabile fino a pochi mesi fa. Rispetto al passato, i passi avanti sono evidenti, con una reazione dell’Europa che, ben lungi dall’essere perfetta, ha chiuso con le politiche di austerità e messo in discussione i comandamenti neoliberisti (https://sbilanciamoci.info/la-difficile-nascita-di-nuova-generazione-europa/).
Sono soprattutto cambiati i rapporti di forza in Europa. Angela Merkel e Emmanuel Macron si sono schierati accanto ai Paesi del Sud – Italia e Spagna innanzi tutto – preoccupati per i risvolti economici di un crollo delle economie, spostando l’asse delle alleanze. Nella trattativa finale su ‘Next Generation EU’, i Paesi ‘frugali’ – Olanda, Austria, Svezia e Danimarca, a cui si è unita anche la Finlandia – sono riusciti ad ottenere la riduzione dei sussidi a fondo perduto di Next Generation Europe, un aumento delle ‘restituzioni’ – gli sconti sui contributi nazionali al bilancio Ue –, e un maggiore controllo sull’uso dei fondi da parte del Consiglio europeo, ma non hanno intaccato l’impianto complessivo proposto dalla Commissione, né sono riusciti a inserire nell’accordo la possibilità di veti di singoli Paesi sul via libera ai piani di ripresa nazionali.
La partita che si apre ora riguarda, a livello nazionale, che cosa si farà con i fondi ottenuti e, a livello europeo, che condizionalità saranno definite. Al centro ci saranno i ‘Recovery and resilience plan’ che dovranno essere presentati da ciascun Paese e valutati dalla Commissione, con il via libera finale del Consiglio europeo. I criteri europei si baseranno sulle raccomandazioni del semestre europeo per il 2019 e il 2020. Per l’Italia le indicazioni europee comprendevano la promozione di una crescita ambientalmente sostenibile e inclusiva, lo sviluppo del digitale, una maggiore sostenibilità del debito pubblico nel medio termine, la revisione della spesa, riforme del fisco, del lavoro, delle pensioni, oltre alle richieste di una maggiore efficienza amministrativa e giudiziaria. E’ difficile prevedere quali richieste e forme di condizionalità emergeranno, ma la valutazione europea dei piani nazionali sarà soprattutto il risultato dei rapporti di forza politici all’interno della Commissione e del Consiglio. Per questo la partita politica sulle modalità di realizzazione della politica fiscale europea non è chiusa e vedrà nuovi momenti di scontro.
Un primo banco di prova sarà la discussione sulla riscrittura delle regole del Patto di Stabilità e Crescita, che vincola la spesa pubblica nazionale, e di quelle sugli ‘Aiuti di Stato’ alle imprese, entrambe sospese dall’inizio della pandemia. Molto dipenderà dagli equilibri che si creeranno in Europa nei prossimi anni: nel 2021 ci saranno le elezioni in Olanda e in Germania, nel 2022 in Francia.
L’accordo di Bruxelles è stato possibile al prezzo di una riduzione del nuovo budget Ue e del parallelo de-finanziamento di diversi programmi di spesa gestiti dalla Commissione, come ‘Horizon Europe’ – il fondo europeo per la ricerca, sceso a 5 miliardi –, il Just Transition Fund – il fondo nato per la transizione ecologica dell’economia europea e finanziato con 10 miliardi, su cui l’Italia aveva puntato per la conversione dell’Ilva –, InvestEU – il fondo gestito dalla BEI per il sostegno agli investimenti, che scende a 5,6 miliardi –, oltre alla cancellazione del fondo sanitario EU4health e di quello per la ricapitalizzazione delle imprese. Scelte incoerenti dettate dalla logica del compromesso, ma che finiscono per spostare di fatto dalla Commissione ai singoli Paesi la gestione delle risorse in aree importanti come quelle per la transizione ecologica e la conversione dei sistemi produttivi, il rafforzamento delle filiere sanitarie, la ricerca e sviluppo nelle aree alla frontiera tecnologica, tutte questioni chiave per l’Unione Europea. E’ grave poi che l’intesa di Bruxelles rinunci al rispetto dello Stato di diritto come condizione per l’accesso ai fondi, un punto che riguarda soprattutto Ungheria e Polonia, una concessione che ha contribuito al consenso dei paesi di Visegrad.
Un fronte ulteriore che va ad aprirsi a Bruxelles dopo l’accordo riguarda le entrate dell’Unione: nel 2021 si introdurrà una tassa sulla plastica e si continuerà a discutere delle possibilità di una digital tax, carbon border tax e di altre possibili entrate fiscali per la UE. Queste nuove risorse proprie dell’Unione potrebbero ridurre in futuro l’entità dei contributi nazionali e consentire il servizio del nuovo debito comune europeo.
Restano i limiti mostrati ancora una volta dal processo deliberativo europeo, con la riottosità dei Paesi ‘frugali’ e le richieste di quelli dell’Est. Si conferma la necessità di nuove architetture istituzionali dell’Unione, anche sulla base di “geometrie variabili”, con iniziative portate avanti da gruppi di Paesi senza attendere l’unanimità dei consensi. Il problema è urgente quando in gioco ci sono questioni da affrontare a scala europea, come la tutela della salute di fronte alla pandemia, il rafforzamento delle strutture sanitarie, il cambiamento climatico, le politiche ambientali, gli investimenti per ricostruire la base produttiva. Si possono prevedere qui accordi di “cooperazione rafforzata” tra i paesi della periferia d’Europa su cui potrebbe convergere anche l’asse franco-tedesco.
Il nuovo quadro della politica fiscale europea ridimensiona il ruolo del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), che rendeva disponibile al nostro Paese una linea di credito di 37 miliardi vincolata alle spese sanitarie e sottoposta alla “sorveglianza rafforzata” e al rischio di condizionalità, nonostante le rassicurazioni della Commissione sull’assenza di richieste specifiche di aggiustamenti macroeconomici per i Paesi che ne facciano ricorso. Nessun Paese europeo pensa di utilizzarlo e anche l’Italia – come sostiene anche il presidente del Consiglio Conte – farebbe bene a evitare il MES: si tratta di uno strumento completamente inadatto a gestire le crisi dell’Unione, nato nel contesto delle tragiche politiche di austerità imposte alla Grecia e ai Paesi del Sud Europa – con pesanti condizionamenti delle politiche nazionali, l’arrivo della trojka e continue verifiche europee sulla sostenibilità dei conti pubblici. Come già argomentato, la nuova politica fiscale europea dovrà ripensare radicalmente tale strumento (http://sbilanciamoci.info/leuropa-che-cosa-fa-che-cosa-servirebbe/).
Per l’Italia si registra ora, per effetto dell’accordo europeo, una discesa degli ‘spread’ sui tassi d’interesse del debito pubblico ai minimi dallo scorso febbraio. Nel breve periodo, la Banca centrale europea, con il superamento delle ‘quote’ nazionali nell’acquisto di titoli pubblici, garantirà probabilmente la liquidità necessaria al fabbisogno finanziario dei paesi del Sud Europa, almeno fino a quando non entreranno in gioco i fondi europei. I tempi dei finanziamenti di Next Generation EU restano una questione importante e si parla di un anticipo di 20 miliardi nel 2020 a coperture delle spese sostenute a partire da febbraio.
Vinto un importante scontro a Bruxelles, è a Roma che ora si gioca la partita più importante. La sfida per la politica italiana – non solo per il governo – è quella di presentare un ‘Recovery and resilience plan’ coerente, insieme a una Legge di Bilancio che disegni la traiettoria di ripresa del Paese. Sbilanciamoci! ha proposto fin dall’aprile scorso il suo piano per la ripresa (https://sbilanciamoci.info/firma-anche-tu-per-unitalia-in-salute-giusta-e-sostenibile/), individuando i punti fermi su cui costruire un’alleanza tra politica e società, coinvolgendo organizzazioni sociali, sindacati, movimenti e campagne della società civile, comunità ed enti locali, forze politiche che condividono una prospettiva di cambiamento. Le proposte sono state esposte al presidente del Consiglio agli Stati Generali di giugno. E’ importante che il progetto del Paese vada nella direzione di un’Italia ‘in salute, giusta e sostenibile’.