Nel nuovo, denso e alla fine insolitamente ottimistico, libro di Wolfgang Sachs la parabola dell’efficienza incontra finalmente una critica serrata, che la ricompone e converte nel concetto meno ambiguo e ben più sostenibile di sufficienza.
In attesa del saggio di Wolfgang Sachs che commento qui di seguito – “Economica della sufficienza. Appunti per resistere all’Antropocene”. ed. Castelvecchi” – rileggevo un testo di Jim Baggot, acuto divulgatore scientifico, con l’intento di aggiornarmi sulle più recenti interpretazioni della storia dell’Universo. E’ mia convinzione che dovessi mettermi nella migliore predisposizione per mettere a frutto le indicazioni del testo da recensire: uno stimolo dal contenuto originale, come da sempre emana da un autore con una profonda cultura interdisciplinare, che da sempre coniuga sentimenti e intuizioni ad un rigoroso riferimento scientifico, che sa trattare con una impareggiabile leggerezza.
Condivido così con maggior consapevolezza che esistiamo solo per interazione con il resto del mondo, la cui realtà è stata percepita sotto sembianze e narrazioni diverse nei millenni trascorsi, ma che ora ci si mostra come un insieme di collegamenti che provengono da continue ricombinazioni e cosmogenesi, ad iniziare dal Big Bang di 14 miliardi di anni fa. Anche per una così aggiornata interpretazione, non più esclusivamente a matrice religiosa, l’Enciclica Laudato Sì ha messo le ali all’ecologia integrale per credenti e no, a fronte del più brusco, repentino e drammatico cambiamento climatico a memoria d’uomo. La breve raccolta di testi che provo ora ad annotare, sta in questo solco rivolto all’intero genere umano e, attraverso i suoi comportamenti, all’intero vivente.
Del resto, oggi non diamo ancora abbastanza peso alla riprova che quotidianamente e ovunque ci offre lo squilibrio della biosfera che ci circonda, perché il nostro apprendimento dei fenomeni naturali è inadeguato. Me ne accorgo andando nelle scuole e rendendomi conto che il mondo della generazione che nel 2050 (tra 25 anni appena, come prevede il Green New Deal!) dovrebbe risultare completamente “decarbonizzata”, ragiona con strumenti e immagini che sono ancora quelli del mondo galileiano e newtoniano, a dispetto di una realtà – dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo – che sfugge ai nostri sensi, ma che la svolta scientifica degli ultimi 150 anni ha ridefinito non solo attraverso la relatività, la quantistica o le neuroscienze, ma anche condizionando una nuova letteratura, la nostra stessa immaginazione, i nostri strumenti di comunicazione.
Ben diverso, infatti, è limitarsi ad annotare che più di 414 parti per milione di CO2 vagano sopra la nostra testa dal vedersi rappresentare con rigorosa precisione una folla di molecole vibranti investite dalla radiazione infrarossa dei raggi solari che allungano e agitano i loro legami scontrandosi con i componenti dell’atmosfera circostante e creando movimento, cioè calore misurabile e irreversibile, che non si disperde, come quando cresce la febbre anche di soli pochi gradi nel nostro organismo. Proprio perché non c’è conversione verso l’ecologia integrale che possa fare a meno delle intuizioni delle nuove scienze su materia, energia, spazio e tempo, Sachs dà per scontato un nuovo apprendimento, attraverso cui prendere in considerazione una questione strettamente connessa alle modalità con cui la globalizzazione capitalista e l’irresponsabilità dei singoli comportamenti degli abitanti dei Paesi più ricchi ci ha condotti al rischio della fine della storia. Siamo nell’Antropocene ed una minuziosa storicizzazione dal Big Bang ad ora – dai primi miliardesimi di secondo ai 14 miliardi di anni attuali – svela la continuità tra la formazione della materia e dell’energia e la nascita della vita e la sua evoluzione entro i limiti fragili della biosfera, fino a metterne in conto, da osservatori coscienti, perfino l’estinzione, se il mondo artificiale arrivasse a minare alla base i cicli naturali.
Occorre quindi una narrazione più aderente agli accadimenti realmente datati nell’evoluzione dell’universo, dal Big bang ai nostri giorni, per appropriarsi di conoscenze, informazioni e sensibilità che la scienza ha acquisito dal Primo Novecento e accantonare così definitivamente l’indifferenza antropocentrica verso la natura, che fa ancora da perno nell’istituzione scolastica d’impronta determinista e nell’ostinata cultura della crescita. L’autore dà per possibile una simile lacuna, ma decide di superarla puntando direttamente ai possibili rimedi: la cura della Terra e la fine dell’ingiustizia sociale.
I messaggi di Sachs mi hanno sempre colpito per come puntino a storicizzare passato e futuro della nostra presenza nell’Universo non tanto enumerando gli sprechi e gli scarti che l’umanità ha perseguito in nome della velocità e della potenza, bensì celebrando le connessioni virtuose e durature che si possono stabilire tra la nostra specie, la misura delle sue ambizioni e la natura che ci ospita. Vita, vivente, spazio e tempo sono tutt’uno e i danni provocati da un antropocentrismo egoista sono già stati sottoposti a giudizio da una vastissima produzione di saggi e testi dell’autore tedesco. Grazie soprattutto a lui, il concetto di sviluppo, ad esempio, è già “scivolato” nell’archeologia della storia, così come l’eurocentrismo è già stato “incriminato” per gli eccessi predatori che hanno violato terre vergini vicine e ancor più lontane.
Ed ora, in questo testo di poche ma dense pagine, la parabola dell’efficienza incontra finalmente una critica serrata, che la ricompone e converte nel concetto meno ambiguo e ben più sostenibile di sufficienza.
C’è un insolito ottimismo che pervade il libro nel confidare che l’essere umano possieda risorse non del tutto utilizzate di visione e creatività, nonché energie morali che possono essere mobilitate per dirigere l’umanità verso un futuro migliore, in un crocevia epocale dove non ci sarà spazio per gli errori. Le stesse resistenze delle BIG & Oil a perpetrare l’impiego di gas petrolio e carbone è solo, per l’autore, un conato che anticipa una disfatta definitiva a l’inarrestabile ascesa delle energie rinnovabili
Mi sembra che alcune “dritte” possano essere risolutive.
Dobbiamo creare un’economia delle risorse in grado di conciliare il suo peso con la capacità di carico della biosfera, tenendo conto dell’intero ciclo di vita di ogni fattore esaminato e della possibilità di dematerializzare il benessere. “Una tecnica ecocompatibile si basa su flussi della natura, come il vento, il sole, l’acqua o altre forme di crescita organica; li cattura e li dirige in modo da renderli utilizzabili per gli scopi umani allineandoli al tempo che scorre ora”, al contrario del ricorso alle fonti fossili prodotte nelle viscere del pianeta dal lavoro del sole miliardi di anni fa e immessi istantaneamente nell’ambiente attuale.
Se pure si stanno facendo passi rilevanti verso un sistema a energia solare, occorre ricordare che i flussi della natura sono riserve da preservare e non da depredare, segnando l’avvento di una società della conoscenza con un livello energetico di grado intermedio, la cui struttura non seguirà il modello a isola, ma quello del calcolo distribuito: le unità decentrate non opereranno isolate una accanto all’altra, ma collegate in una rete energetica e informatica. La “regionalizzazione” dell’economia che ne seguirà è – aggiungo io – l’esatto contrario delle pretese dell’”autonomia regionale differenziata” cui puntano le destre nel nostro Paese.
Viene poi colta una caratteristica insostituibile delle rinnovabili: in ogni parte del mondo la somma dei loro singoli contributi si presenta quasi sempre costante e perciò fruibile immediatamente e sostituibile alle energie fossili, estratte a grandi distanze e concentrate nella fase di combustione, in cui sottostanno a forme d’impresa centralizzata e imperialista sfavorevoli al controllo di una democrazia partecipata.
Interessante, ancora, l’adesione di Wolfgang alla tesi dello storico indiano Dipesh Chakrabarty che propone due prospettive ai nostri giorni: una antropocentrica, foriera di calamità e una zoocentrica, che considera la natura come forza della Storia, le foreste pluviali tanto quanto le umane, la rete sotterranea di funghi quanto l’atmosfera che circonda la Terra.
Insomma, risulta impossibile immaginare cosa potrebbe succedere se la tecnosfera prendesse costantemente e sempre di più il sopravvento sulla biosfera. Ma sta per prendere posto una nuova epoca: salvare la natura e i suoi processi biologici dal predominio dell’uomo.
L’antidoto alla modernità espansiva è la sufficienza, con cui si assume un atteggiamento scettico nei confronti delle conquiste tecniche dell’epoca moderna. Il progetto di civilizzazione da essa guidato consiste nel conciliare le risorse della modernità industriale con la capacità di rigenerazione della biosfera. Si tratta di un progetto tecnologico, politico, ma anche personale, sufficiente per tutta l’umanità, sempre a patto di ristabilire “e mantenere in vita gli ecosistemi locali e globali”
Qui viene parafrasato Alex Langer con il rigetto dell’’imperativo di crescita del “più veloce, più lontano e più cose”. Al contrario, occorre una “modernità riduttiva”, ossia una modernità ricondotta a tecnologie e infrastrutture progettate per le medie velocità, per ridurre quantità di beni e scegliere l’alimentazione in gran parte vegetariana. La conseguenza di questa intuizione sta nell’abbracciare il compito principale della politica energetica: evitare la domanda di energia e impedire che passi un “tacito consenso”, come se la produzione di energia elettrica verde si possa espandere all’’infinito: si sostituirebbero i fossili e le energie rinnovabili prenderebbero semplicemente il loro posto, mentre tutto il resto rimarrebbe lo stesso.
Se la sufficienza sarà già applicata come un principio tecnico di progettazione, non vi è dubbio che lo sviluppo delle energie rinnovabili sia inevitabile e importante, ma non possiamo non chiederci dove e, soprattutto, in che misura e con quali materiali rari e sfruttamento del lavoro si possano ricreare condizioni di ingiustizia sociale e ambientale. I limiti della domanda di elettricità devono quindi da subito essere collocati nell’orizzonte del dibattito sociale.
Molte altre indicazioni e suggestioni caricano di significato questo libretto minuto, da infilarsi in tasca per un viaggio o da far leggere davanti ai falò serali nei campi estivi dove accorreranno gli studenti e i giovani durante le vacanze.
Concludo con un’unica considerazione critica: viene data un’importanza forse decisiva alla verifica anche estetica degli stili di vita più sostenibili, come movente “dolce” che mette al riparo dal catastrofismo che agita spesso i movimenti che lottano contro il cambio climatico. La mia impressione è che “per riprendere il controllo del proprio tempo”, come si augura Sachs, occorra anche rendersi conto che questo tempo potrebbe, a causa del brusco cambiamento climatico da noi provocato, venire a mancare se non si drammatizzano razionalmente le grandi emergenze in corso.