A pochi chilometri da Avellino, in una provincia segnata dalla crisi industriale e occupazionale degli stabilimenti di Stellantis e Industria Italiana Autobus, un’assemblea co-promossa dall’Alleanza Clima Lavoro sul futuro dell’automotive nella transizione verso la nuova mobilità sostenibile.
Pratola Serra e Flumeri. Sono le due località del territorio irpino in cui sono insediati, rispettivamente, gli stabilimenti di Stellantis e di Industria Italiana Autobus, ex Irisbus. Nel primo si producono dal 1992 motori endotermici per equipaggiare veicoli commerciali leggeri, nel secondo si costruiscono autobus per il traporto pubblico già dalla fine degli anni ’70. Sono quasi duemila le persone che vi lavorano oggi, senza considerare l’indotto del settore nella zona, dalla Denso alla Limasud.
Entrambi i siti vivono una fase di fibrillazione e agitazione sindacale, dettata dalle posizioni miopi e controproducenti sul governo della transizione ecologica, a livello nazionale e locale. A Pratola Serra e a Flumeri si sta consumando sulla pelle di chi lavora un altro capitolo di una lunga storia di declino industriale italiano, in cui la transizione alla nuova mobilità elettrica e sostenibile viene agitata come un alibi e uno spauracchio da parte di una classe politica e di una classe imprenditoriale senza visione né coraggio: voti e profitti, prima di tutto.
Proprio per dipanare i nodi della crisi industriale e occupazionale di un settore cruciale per tutta la provincia avellinese come quello dell’automotive e per prospettare soluzioni e percorsi di mobilitazione comuni sul duplice fronte della mobilità pubblica e della mobilità privata, lo scorso venerdì 13 settembre si è tenuta a Prata di Principato Ultra l’assemblea “L’industria della mobilità pubblica e privata. Tra elettrificazione e tutela dell’occupazione”, promossa dalla FIOM-CGIL del capoluogo irpino insieme all’Alleanza Clima Lavoro. Prosegue così, dopo gli appuntamenti dei mesi scorsi ad Atessa, San Lazzaro di Savena, Potenza, l’impegno dell’Alleanza Clima Lavoro per una giusta transizione ambientale e sociale al fianco delle lavoratrici e dei lavoratori.
Aprendo i lavori nella sala del Palazzo Baronale di fronte a ottanta delegati/e e operai/e, Giuseppe Morsa, Segretario del sindacato metalmeccanico di Avellino, ha messo in fila numeri e tendenze impietose. “Solo negli ultimi due anni a Pratola Serra ci sono stati 300 esuberi volontari e incentivati da Stellantis, senza nuove assunzioni, mentre prosegue senza sosta la cassa integrazione ed entro il 2025 si scenderà per la prima volta sotto i 1.500 occupati. Stiamo pagando a caro prezzo il drammatico ritardo sulla transizione e la totale assenza di programmazione e di investimenti sui propulsori elettrici da parte di Stellantis in Italia, che invece li destina in Francia, come nel caso dello stabilimento di Tremery”.
Per quanto riguarda Industria Italiana Autobus, ha proseguito Morsa, “di fronte a una realtà assolutamente strategica per la mobilità pubblica nel nostro paese, abbiamo assistito per anni a un comportamento pilatesco del Governo e di Leonardo e Invitalia, i due soggetti che ne detenevano le quote di partecipazione statale. Da qui maturano le condizioni di una privatizzazione calata dall’alto, senza ascoltare sindacati ed enti locali e senza prendere in considerazione le offerte di acquisto di cordate imprenditoriali alternative al Gruppo Seri Industrial Spa, che a giugno scorso si è insediato alla guida di Industria Italiana Autobus e che per dimensioni, competenze ed esperienza non appare capace di assicurare un futuro all’impresa”.
“Il Gruppo Seri”, ha specificato Silvia Curcio, Rsu FIOM della fabbrica flumerese, “fattura solo 300 milioni di euro l’anno e in tre mesi il nuovo amministratore delegato Civitillo non si è ancora fatto vivo a Flumeri per incontrare le lavoratrici e i lavoratori. Ancora oggi manca un vero piano industriale, la catena di fornitura non funziona e la produzione non riparte. Il rischio è di chiudere i battenti ancor prima di cominciare, oppure, con la preannunciata partnership in IIA di un player cinese, di vampirizzare ben presto l’impresa e la filiera della componentistica legata al territorio, producendo all’estero bus già pronti per la vendita e importandoli qui solo per apporre il marchio italiano e assicurarsi così i fondi del PNRR. Un film già visto ad esempio con l’Iveco a Foggia”.
“In Italia siamo passati dal produrre quasi 7mila autobus nel 1980 a 271 nel 2022, mentre i bus immatricolati sono saliti dai 2.381 del 2015 ai 3.221 del 2022. Al contempo, l’occupazione nei servizi del Traporto Pubblico Locale si è ridotta tra 2005 e 2021 di oltre 4mila unità, arrivando ora a poco più di 81mila, e i bus ogni 10mila abitanti sono scesi nello stesso arco di tempo da 7,82 a 7,55”. Questi i dati riportati da Gianluca Sala, ricercatore del Gruppo tecnico della Campagna per i lavori climatici portata avanti da Fridays for Future, nel presentare un dossier intitolato La creazione di lavoro potenziando il trasporto pubblico locale. “Il risultato”, ha commentato Sala, “è che oggi importiamo dall’estero, in particolare da Repubblica Ceca, Turchia, Spagna e per i bus elettrici dalla Polonia, quello che avremmo potuto continuare a produrre qui”.
Nel dossier si calcola anche che se si esaudisse la richiesta della Conferenza Stato-Regioni di aggiungere un miliardo di euro l’anno al Fondo nazionale per il Trasporto pubblico locale, che per il triennio 2024-2026 ammonta a poco più di 5 miliardi di euro per ciascuna annualità, si potrebbero creare mille posti di lavoro nella produzione di autobus, oltre 4.200 posti nelle aziende del TPL e oltre 1.500 nell’indotto dei servizi di trasporto su strada. Investire sulla mobilità pubblica significherebbe quindi muoversi nella direzione di una giusta transizione, aprendo nuove prospettive occupazionali su produzioni e servizi che abbattono le emissioni e che guardano alla sostenibilità ambientale e al benessere collettivo, a partire da quello delle fasce meno abbienti della popolazione che per spostarsi dipendono più di tutte dal trasporto pubblico locale.
Come ha sottolineato Giulio Marcon, Portavoce della Campagna Sbilanciamoci!, per fare questo servirebbe innanzitutto la volontà – prima che la capacità – dell’attore pubblico di mettere in campo una vera politica industriale per la transizione, mentre in Italia “da anni la politica industriale si fa solo con gli incentivi auto sul lato della domanda, che premiano anche l’acquisto di vetture inquinanti e, sul lato dell’offerta, con gli sgravi orizzontali per la detassazione delle imprese, che poi dirottano i propri guadagni nella speculazione di borsa. È il frutto di una pesante subalternità politica e culturale nei confronti del mercato e dell’idea, tutta sbagliata, che si debbano rimuovere gli ostacoli al dispiegamento delle sue forze per garantire lavoro e benessere”.
Per rilanciare il settore automotive italiano in crisi da oltre venti anni e per indirizzarlo sulla via di una transizione giusta, ha concluso Marcon, “chiediamo l’istituzione di un’agenzia nazionale per la politica industriale con un ruolo di regia e indirizzo per tutto il comparto, insieme a un piano del lavoro e a un piano per il trasporto pubblico locale concertati con le forze sociali e sindacali e con gli enti locali. L’obiettivo deve essere quello di tutelare il lavoro e di promuovere una mobilità sostenibile centrata sull’elettrico, sostenendo la riconversione delle attività produttive. Le risorse ci sono, per reperirle occorre una politica di spesa pubblica all’insegna della giustizia e della progressività fiscale, eliminando i Sussidi Ambientalmente Dannosi, diminuendo drasticamente le spese militari e per le grandi opere inutili, tassando le grandi ricchezze e i grandi patrimoni, la speculazione finanziaria, le produzioni inquinanti legate alle fonti fossili”.
Anche il Segretario generale della FIOM-CGIL, Michele De Palma, ha insistito su questi temi nel suo intervento centrato sulla crisi industriale e occupazionale nel Mezzogiorno: “la politica industriale è completamente assente, e non ci sono né un’idea di sviluppo, né una visione sulla transizione che faccia leva sulla creazione di un ecosistema industriale tra enti locali, imprese, sindacati, università e istituti secondari, centri di ricerca e formazione, né investimenti e programmi sull’infrastrutturazione digitale e materiale. L’autonomia differenziata darà il colpo di grazia, favorendo l’applicazione di contratti regionali differenziati, sia nel pubblico sia nel privato, che penalizzeranno ulteriormente chi lavora al Sud”.
Per quanto riguarda la situazione della Campania, ha proseguito De Palma, “di fronte all’immobilismo dell’organo di governo regionale, è arrivato il momento di imporre alla Giunta la costituzione di un tavolo in cui vengano ascoltate le proposte del sindacato sul lavoro e l’industria nella transizione”. Il Segretario ha poi ricordato la lotta solitaria della FIOM, che dieci anni fa ha impedito la cessazione di Irisbus a Flumeri e ha portato alla nascita di Industria Italiana Autobus avvenuta con la fusione con Bredamenarinibus: “gli autobus per il trasporto pubblico locale sono elementi essenziali per ripensare i territori, generando servizi che aiutano le persone e cambiano in meglio la società”.
“Pochi giorni fa a Bruxelles”, ha concluso De Palma, “gli operai dello stabilimento Audi che rischia di chiudere hanno sequestrato le chiavi di 200 vetture e non le faranno uscire dallo stabilimento fino a quando dalla Volkswagen non otterranno garanzie sul loro futuro. Lo striscione appeso fuori dai cancelli recita ‘La fabbrica è nostra’, un messaggio semplice ma pieno di significato, che ci dovrebbe ricordare che le imprese appartengono innanzitutto ai lavoratori e alle comunità”.