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L’auto elettrica, la Cina, gli Usa, l’Europa

Negli Stati Uniti gli incentivi per l’acquisto di auto elettriche sono riservati a prodotti Mede in Usa e mentre la Germania irrobustisce gli scambi con la Cina nel settore, Stellantis perde occasioni di partnership.

Le trasformazioni in atto nel settore dell’auto

E’ noto come l’auto stia attraversando un periodo di grandissime trasformazioni, plausibilmente le più importanti dal tempo in cui fu inventata. Con lo spostamento verso l’Asia del baricentro del mercato e della produzione si va affermando in maniera progressiva l’auto elettrica, nonché, sia pure più lentamente, quella a guida autonoma, mentre avanza rapidamente l’inserimento sempre più massiccio della rivoluzione numerica nelle autovetture. Tutto questo ha grandi conseguenze sul fronte della quantità e qualità del lavoro, sui processi di mobilità, sull’ulteriore spinta alla localizzazione del settore verso l’Asia, sull’ingresso nel settore di nuovi e potenti protagonisti, sulle trasformazioni nel campo della componentistica, in un business che è ancora fondamentale per le economie di moltissimi paesi, in particolare di quelli europei, della Germania in primo luogo, ma anche di molti altri, compresa l’Italia. 

I progressi delle auto elettriche e il ruolo della Cina

I fari sono puntati dunque sull’auto elettrica, che, dopo un primo periodo di ostacoli, dubbi ed incertezze, da qualche tempo è decollata come vendite in tutto il mondo, escludendo al momento i paesi più poveri; e questo sia pure a ritmi diversi da area ad area.

Ad oggi la sua diffusione, pur per molti versi incoraggiante, si trova ancora di fronte ad alcuni problemi molto rilevanti:

-intanto bisogna registrare il costo elevato di tali vetture, di almeno il 20-30% superiore di norma a quello delle auto tradizionali. Si stima che ci vorranno dai cinque ai sette anni per annullare tale scarto nei paesi occidentali, dove le nuove vetture sono ad oggi abbastanza fuori portata per una parte molto importante dei consumatori. Vanno poi ricordate la durata ancora limitata di una ricarica della batteria, i lunghi tempi di attesa per la stessa ricarica e contemporaneamente la carenza di punti dove effettuarla. Le case automobilistiche ed i centri di ricerca stanno lavorando su questi temi, ma il lavoro da svolgere appare ancora abbastanza lungo. Da ricordare ancora gli sforzi portati avanti, in particolare da alcune case dell’auto, per ostacolare o almeno rallentare l’affermazione delle nuove vetture, sforzi peraltro in via di esaurimento e sostanzialmente votati al fallimento. 

Si fa intanto sempre più chiara l’affermazione nel settore dei produttori cinesi, che appaiono più avanti anche sui temi specifici sopra citati. Le vetture Made in China tendono a costare dal 20 al 30% meno di quelle occidentali, cosa che ha origine da diversi fattori: un grande livello di produzione che fa scattare economie di scala (segnaliamo a questo proposito che, secondo alcune previsioni, nel 2022 si dovrebbero vendere in tutto il mondo 10 milioni tra auto full electric e ibride, mentre la sola Cina ne dovrebbe produrre e vendere più di sei milioni); bisogna poi considerare che il paese asiatico possiede un elevato livello di controllo di tutta la filiera produttiva, dall’estrazione delle materie prime – comprese le terre rare necessarie alla produzione delle batterie – alla produzione delle stesse batterie (i primi due produttori sono cinesi e insieme controllano all’incirca la metà della produzione delle stesse); mentre le società cinesi sono avanti nel riciclo delle vetture alla fine della loro vita.

Al recente salone dell’auto di Parigi, che ha registrato l’assenza dei produttori tedeschi e statunitensi, ha destato una certa meraviglia la presenza invece in forze dei produttori asiatici con molti modelli di auto elettriche (nel mercato cinese, in questo momento, sono presenti ben 300 modelli di questo tipo); e va segnalata anche la presenza di un produttore vietnamita. 

Tale presenza si svolge in concomitanza al progressivo arrivo sul mercato europeo, arrivo che dovrebbe cominciare ad essere molto consistente a partire dall’anno prossimo, dei produttori cinesi, arrivo che potrebbe portare molto scompiglio nel continente. Già oggi la BYD vende nel mondo più vetture elettriche di Tesla e bisogna ricordare che i produttori cinesi hanno già una rilevante presenza nel nostro continente, possedendo la Volvo con la sua sussidiaria per l’elettrico Polestar, quindi la MG e la Lotus, mentre l’italiana DR, che sta avendo un discreto successo nel nostro paese, monta componenti di modelli cinesi. Ha avuto poi molta risonanza l’accordo sempre di BYD con la tedesca Sixt, società per il noleggio delle vetture, per la fornitura in un colpo solo di 100.000 auto elettriche.  

Segnaliamo a latere il forte dinamismo mostrato più in generale dai produttori cinesi sui mercati esteri. Nel 2022 dalla Cina si dovrebbero esportare circa 3 milioni di auto, con un incremento di più del 50% rispetto all’anno precedente. 

La reazione delle case europee all’avanzata cinese

Appare interessante registrare il tipo di reazione che a tale minaccia hanno messo in campo i vari produttori europei, reazione che è stata molto diversa da caso a caso. 

Quella più scomposta è stata messa in campo da parte di Tavares, amministratore delegato di Stellantis, che al Salone di Parigi ha chiesto che la Unione Europea difenda i costruttori del continente dall’avanzata cinese. Tavares ha poi ribadito per l’ennesima volta che il limite del 2035 fissato dalla Commissione e dal Parlamento europei per la produzione di auto ad alimentazione con energie fossili andrebbe ripensato. Da ricordare a latere che tutti i tentativi della Fiat e della Citroen-Peugeot di penetrare in maniera significativa sul mercato cinese sono sostanzialmente falliti, al contrario di quelli portati avanti dalle case di altri paesi. 

Molto diverso l’atteggiamento di De Meo, amministratore delegato della Renault, che, mentre sta presumibilmente ridimensionando i suoi accordi con i giapponesi di Nissan e Mitsubishi e mentre la stessa Renault presenta problemi di dimensione produttiva, sul fronte cinese sembra seguire la strada del “se non li puoi battere, unisciti a loro”. Alla fine di agosto l’agenzia Reuters ha diffuso l’indiscrezione secondo la quale la società francese intenderebbe creare una divisione per i motori termici e ibridi in cui entrerebbero come azionisti la cinese Geely (al 40%) e la saudita Aramco (con il 20%). Sarebbe parallelamente creata una seconda divisione per le vetture elettriche nella quale Renault manterrebbe il controllo pieno, anche se verrebbe avviata una relazione speciale con la stessa Geely per lo scambio di tecnologie. Al momento Renault si è rifiutata di commentare la notizia, ma nel frattempo la società francese e quella cinese stanno avviando una joint-venture (con rispettivamente i due terzi ed un terzo del suo capitale totale) per la produzione e la vendita in Corea del Sud di una vettura comune su di una piattaforma Volvo. In ogni caso De Meo non ha inveito contro la UE e non ha chiesto barriere contro le auto cinesi.

Anche i produttori tedeschi si sono ben guardati dal farlo. Hanno una fortissima presenza produttiva e di mercato nel paese asiatico, dove producono e vendono più che in Germania e vi registrano una fetta molto importante dei loro utili (la Volkswagen circa il 50%). Semmai sono da segnalare i rapporti sempre più fitti tra aziende tedesche e cinesi nel settore automotive.

Gli accordi messi in campo di recente dai costruttori tedeschi e di altri paesi con gli attori cinesi sono ormai molti, mentre va ricordato che Stellantis ha rotto quelli che già aveva in essere. Segnaliamo così il varo di una joint-venture tra Volkswagen e la cinese Horizon Robotics, con un investimento da parte della sola Volkswagen di 2,1 miliardi di dollari, quella tra l’Audi e la FAW, quella infine tra la Toyota e la Byd per la produzione e la vendita in Cina una vettura elettrica compatta. 

Segnaliamo infine il prossimo viaggio del cancelliere tedesco Scholtz in Cina insieme ad un corteo di rappresentanti dell’industria tedesca, con in prima fila quelli del settore dell’auto. Tale viaggio dovrebbe servire a rafforzare ulteriormente i legami tra i due paesi nel settore automotive, mentre Tavares pronuncia parole non certo concilianti verso Pechino.

Arrivano gli americani   

Non ci sono solo i cinesi a preoccupare i produttori europei, nonché quelli coreani e giapponesi. Negli Stati Uniti Joe Biden ha varato da qualche tempo un provvedimento, l’Inflation Reduction Act, che tra l’altro incentiva, con un credito d’imposta sino a 7500 euro, l’acquisto di auto elettriche. L’obiettivo dichiarato è quello di raggiungere nel 2030 una quota del 50% di auto elettriche vendute sul totale dell’anno. Ma per ottenere le agevolazioni le vetture devono essere montate negli Stati Uniti, mentre anche le batterie devono essere prodotte in loco, con minerali estratti negli Stati Uniti o in paesi amici (una misura chiaramente volta ancora una volta contro la Cina). Il provvedimento ha suscitato le proteste dell’UE, dell’associazione dei costruttori del continente, nonché della Corea del Sud e del Giappone. Il presidente ameriocano ha promesso di attenuare in qualche modo la norma, ma nessuno sa come andrà a finire. Secondo le nuove regole la grande maggioranza delle vetture oggi vendute sul suolo americano non potrebbero ottenere le agevolazioni descritte, mentre si sottolinea anche l’impossibilità di raggiungere l’obiettivo previsto al 2030. 

Conclusioni 

I mutamenti recenti nel mondo dell’auto pongono delle sfide inedite ai produttori europei e anzi all’intera filiera dell’automotive, stretta sempre più tra l’offensiva produttiva e tecnologica cinese nel settore e il nuovo protezionismo statunitense, nonché tra le esigenze dell’economia e quelle della politica; il tutto sullo sfondo di un ambiente produttivo, tecnologico, di mercato, molto turbolento.

E’ difficile immaginare la conclusione finale di tali vicende, ma, in ogni caso, i produttori tedeschi, che pure non mancano di problemi, sembrano potersela cavare meglio di quelli francesi (con l’appendice italiana), mentre le possibili ricadute future sulle nostre deboli strutture nazionali nel settore non appaiono per nulla chiare: non sembra possibile sperare in esiti brillanti.