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La sponda albanese

A proposito dei rapporti tra Italia e Albania bisogna tornare con la memoria agli anni Novanta, per capire la “cooperazione profonda” che la presidente del Consiglio Meloni ha citato nell’incontro con il primo ministro Edi Rama. E comunque non sarà la minaccia di essere internati in un campo di concentramento sull’altra sponda dell’Adriatico a fermare […]

La Vlora giunse a Bari l’8 agosto 1991. Era una nave da carico, fabbricata in Italia, nei cantieri di Ancona. Arrivò a Durazzo, partita da Cuba, con un carico di zucchero. Non curanti dello zucchero, vi salirono in ventimila albanesi, a Durazzo, per andare a Brindisi, la terra felice, paradisiaca, proprio di fronte. Furono le autorità italiane, preoccupate per il porto di Brindisi, stracolmo, all’inizio di agosto, di turisti vacanzieri, a dirottare la Vlora al porto di Bari. Molte persone, del secolo scorso, hanno ancora negli occhi una folla di mille e mille, tutta stretta, immobile sulla nave e sotto, sul molo, quella parte più numerosa, quei diecimila che erano già scesi e stavano fermi, immobili; in attesa.

Giorgia Meloni aveva allora quattordici o quindici anni; si può così immaginare che si fece due promesse: rimandare tutti gli albanesi sbarcati dalla Vlora a casa loro; impedire che scempi del genere si ripetessero in futuro. Speranza di adolescente o promessa politica? Nel futuro si sarebbe visto.

Le persone arrivate con la nave Vlora furono allora rispedite, con ogni mezzo, in Albania; quasi tutte. In duemila, chissà, circa una ogni dieci, riuscirono a dileguarsi e si dispersero in Italia e – poi, forse – nei paesi alleati.  Come conseguenza fu instaurato però un efficiente sistema di guardia per bloccare gli indesiderabili albanesi (e per convincere i pugliesi troppo affettuosi); questa politica culminò il venerdì di Pasqua 1997 (28 marzo) nello scontro tra la nave militare italiana Sibilla e l’imbarcazione albanese Kater i Rades che causò l’affondamento di quest’ultima con 81 morti tra corpi recuperati e 27 dispersi e 34 superstiti. La Sibilla, come altre navi, aveva il compito d’impedire, a ogni costo, con ogni tipo d’ingaggio, lo sbarco degli albanesi; riuscì nel compito affidatole. I processi e le condanne – italiane e di tribunali internazionali – che seguirono nel corso dei dieci anni seguenti, per i comandanti italiani e per quello albanese, quale che fosse stata la sua azione (per schivare le navi italiane) sono la prova che non tutti erano d’accordo che si dovesse difendere con tale veemenza il sacro suolo della Patria e dell’Unione europea, il nome di allora. Nel 1997, Meloni, ormai ventenne, avrà forse pensato alla grave conseguenza di quelle inevitabili e imprecise – governo Prodi! –  azioni marinare. Un anno dopo, il 12 dicembre, (data che aveva allora ancora un significato) centinaia di militanti, venuti da molte parti d’Italia, presero il mare a Brindisi, per rendere omaggio alla Kater i Rades alle vittime, ai superstiti, nel mare dell’affondamento, per poi sbarcare a Valona, cioè a Vlora, in lingua albanese. Si pensava così di chiedere ancora una volta scusa e poi conoscere e abbracciare gli albanesi, fratelli del Mediterraneo. I ragazzi delle scuole di Vlora aspettarono, per ore, nelle gelide palestre, tutti in divisa, per far bella figura con i visitatori italiani. C’era un freddo becco, a Valona, quel dicembre. Un’altra storia, dopo tutto (1). 

Tutto tranquillo, o quasi, per un quarto di secolo. La nuova puntata – oggi si preferisce dire: “episodio” – dei rapporti migratori tra Albania e Italia comincia ufficialmente con l’incontro di Meloni ed Edi Rama, primo ministro di Albania. Mentre Rama esprime pensieri gentili e inconsistenti, Meloni spiega di che si tratta, o almeno quali siano i suoi desideri. Spiega cosa intenda per cooperazione. Il suo discorso pubblico è registrato:

“Il Primo Ministro d’Albania Edi Rama torna qui, a Roma, dopo poche settimane dalla sua ultima visita, non a caso. Sono molto molto contenta di essere qui con lui oggi per annunciare un importantissimo protocollo d’intesa tra Italia e Albania in materia di gestione dei flussi migratori. È un accordo che arricchisce un’amicizia storica – come voi sapete –, una cooperazione profonda tra le nostre due Nazioni.

 “…Allora noi abbiamo lavorato insieme ad un accordo che rafforza proprio questo genere di cooperazione e che si pone sostanzialmente tre obiettivi: contrastare il traffico di esseri umani, prevenire i flussi migratori illegali e accogliere solamente chi ha davvero diritto alla protezione internazionale. In che cosa consiste l’accordo? L’accordo consiste nel fatto che l’Albania darà la possibilità all’Italia di utilizzare alcune aree in territorio albanese nelle quali l’Italia potrà realizzare, a proprie spese, sotto la propria giurisdizione, due strutture dove allestire centri per la gestione dei migranti illegali. Queste strutture potranno accogliere inizialmente fino a tremila persone, che rimarranno in questi centri il tempo necessario a poter velocemente espletare le procedure per la trattazione delle domande di asilo ed eventualmente ai fini del rimpatrio. (….)

Chiaramente si tratta di massimo tremila persone contestuali, ma è chiaro che utilizzando le procedure accelerate che consentono, grazie a questo governo, di processare le richieste in ventotto giorni, io intendo che con questo progetto, a regime, questi numeri possano essere considerati come mensili e che quindi il flusso complessivo annuale possa arrivare fino a trentaseimila persone che si alternano. (….)

(….) Voglio anche dire che questo accordo e questa possibilità non riguarda i minori, non riguarda le donne in gravidanza, non riguarda gli altri soggetti vulnerabili.

(….) La giurisdizione, come dicevo, all’interno di questi centri sarà italiana. Nel porto di Shengjin, l’Italia si occuperà delle procedure di sbarco e di identificazione. Qui realizzerà un centro di prima accoglienza dove operare una prima attività di screening, mentre in un’altra area più interna (Gjader, ndr.) si realizzerà una seconda struttura (modello Cpr) per le procedure che invece sono successive. E l’Albania collabora, con le sue Forze di polizia, sul fronte della sicurezza e sul fronte della sorveglianza esterna delle strutture”. 

Il significato e i pericoli del patto Meloni-Rama riporta alla mente episodi molto gravi del passato e suggerisce che nella migliore delle ipotesi i due contraenti non sappiano effettivamente cosa aspettarsi in futuro. Può darsi invece che lo sappiano e cerchino così di migliorare il loro futuro politico: Meloni ritiene di mostrare il proprio impegno nei confronti di quello che si immagina sia il tema delle future elezioni ovunque si facciano, in Italia; crede insomma di migliorare il voto per il suo partito “fratelli d’Italia” nei confronti della legge suprema in cui crede fermamente: l’opinione pubblica, che sarebbe decisamente orientata sul tema del “no all’immigrazione, soprattutto a quella dei neri africani “. Su tale “NO” è orientata massimamente la Lega, il partito alleato e rivale del partito di Meloni. Rama, dal canto suo, vuole giocare la carta di ingresso dell’Albania nell’Unione Europea ed è convinto che riuscirà a spiegare ai concittadini, alle prossime elezioni, quanto serva avere un alleato ben disposto e favorevole; fino al punto di rinunciare (temporaneamente!) a una parte del territorio. Entrambi gli statisti non tengono conto del temporale imminente. Si tratta (per dirla in breve) delle grandi migrazioni internazionali, in un mondo dominato dal cambiamento climatico. Le migrazioni internazionali non si possono affrontare moltiplicando per due o per tre lo spazio dell’isola di Lampedusa, deportando senza criterio, ma con un prevedibile uso della forza, tutto quello che arriva dall’Africa via mare (o dai Balcani). Non basta minacciare di spostare tremila o trentaseimila migranti arrivati con molta fatica e peripezie in vista della ricca Europa, in temibili campi di concentramento. Non basta per famiglie ormai prive di tutto in Africa (e nei Balcani) e scafisti senza dio che si moltiplicano nei sette mari e lungo le coste selvagge. Almeno nei campi di concentramento si mangia, spiegheranno gli scafisti; e poi – prima o poi – si riesce a scappare. Famiglie e scafisti mostrano di sapere, rozzamente certo, di che si tratta. Credono, le une e gli altri, che il cambiamento climatico, quale che sia la sua origine – la stupidità degli uomini, la plurimillenaria impassibilità degli dei – è in atto. Non saranno Rama e Meloni a porvi rimedio.