Il partito democratico americano è ancora tramortito dalla sconfitta, a parte l’ala sinistra di Bernie Sanders e Alexandria Ocasio Cortez, ma il 5 aprile ci sono state 1.200 manifestazioni per la giornata “Hands off”, organizzate da piattaforme come “Indivisibile”.
Con una serie di post sul social media di sua proprietà, Elon Musk ha parlato delle proteste contro i rivenditori Tesla come orchestrate e forse pagate da qualcuno. Si tratta di un copione già visto otto anni fa, quando si disse che le manifestazioni spontanee a New York e altrove, nel giorno stesso in cui Donald Trump vinse le elezioni fossero pagate da George Soros – diversi media italiani ripresero la notizia, un po’ in malafede, un po’ perché questa cosa del fake ancora non era chiara a tutti.
Nel 2025 le proteste di massa contro il nuovo presidente non sono state immediate, ci sono voluti diversi mesi di politiche aggressive, anticostituzionali, violazioni dei diritti umani, censure, licenziamenti politici perché gli americani scendessero in strada a centinaia di migliaia. È successo lo scorso 5 aprile, con la giornata di mobilitazione denominata “Hands off”, giù le mani: 1.200 città, grandi e piccole, grande partecipazione, enorme preoccupazione. Prima di allora c’era stata la sinistra del balbuziente partito democratico a far sentire la propria voce con il tour anti oligarchi di Bernie Sanders e Alexandria Ocasio Cortez – un passaggio di testimone e un’indicazione su chi correrà per la sinistra alle prossime primarie? In Senato abbiamo assistito alla maratona oratoria del senatore del New Jersey, Cory Booker, che ha scelto di parlare per 25 ore consecutive, cercando in qualche modo di segnalare l’eccezionalità dei tempi e segnalando al suo partito come i piccoli cartelli di protesta mostrati durante il discorso di Trump a Camere riunite o la mancanza di ostruzionismo nell’approvare tutti i membri della nuova amministrazione non siano l’atteggiamento da tenere. Negli anni di Obama e Biden i repubblicani hanno fatto di tutto per impedire al Congresso di funzionare e per impedire alle iniziative legislative dei democratici di avanzare, la risposta democratica è fino a oggi molto simile al business as usual , tanto responsabile quanto totalmente inadatto a tempi come questi. Staremo a vedere se il successo di Sanders, Ocasio e Booker (un numero di visualizzazioni, email, messaggi di sostengo enorme) e quello delle mobilitazioni del 5 aprile faranno cambiare l’atteggiamento dei Dem.
Le manifestazioni del 5 aprile non sono le prime, ce ne sono state molte piccole nei luoghi dove gli effetti dei tagli al personale federale hanno colpito di più e in California dove i raid nei quartieri ispanici hanno seminato paura e sconforto. Ma contro cosa si protestava? Non contro i pericoli di recessione o la politica dei dazi, ma piuttosto contro l’avvertito pericolo per la tenuta delle istituzioni. In effetti c’è di che preoccuparsi, ecco un elenco incompleto di cose fatte da questa amministrazione: censura, attacco all’università, espulsioni di persone regolarmente residenti, attacchi al sistema giudiziario e ricatti agli studi legali, rimozioni di figure di alto profilo in agenzie federali indipendenti e nell’esercito, rimozione dei direttori di istituzioni culturali e direttive su cosa debba essere il museo di storia americana di Washington DC.
Queste scelte spaventano una parte dell’opinione pubblica americana e così quella che era la Resistance durante il primo mandato di Trump, è tornata a farsi sentire. Allo stesso modo che otto anni fa, non si tratta di una resistenza guidata dal partito democratico o dai sindacati, ma piuttosto da organizzazioni che facilitano incontri e messa in relazione. Otto anni fa questa modalità fu sperimentata riprendendo il metodo del Tea Party e facendolo proprio grazie all’intuizione di un gruppo che postò un “piano” su Google Doc che proponeva quella strategia e che oggi è Indivisible, un portale che connette le persone tra loro, organizza proteste locali, fa training e formazione su come si organizza una protesta, aiuta nel fundraising.
Un ruolo simile lo svolge anche MoveOn, che il mese scorso ha mandato un “memo” riservato ai leader del partito in Congresso spiegando che se non cambiano tono e metodi di opposizione i suoi membri smetteranno di raccogliere fondi per i candidati Dem. Diversi gruppi grassroots e la stessa Indivisible hanno chiesto al leader del Senato Chuck Schumer, visto come bollito e moderato, di dimettersi. L’idea di fondo è quella di una protesta che parta dal locale, che incalzi gli eletti repubblicani e faccia temere loro di non venire rieletti, che sia soprattutto opposizione. Il Tea Party era assieme un sentire comune e opposizione ad alcune misure dell’amministrazione Obama, presentate in forma distorta da media e politici conservatori. Oltre a far perdere male le elezioni di metà mandato al partito democratico ottenne di influenzare il discorso pubblico, dettare l’agenda politica. Per certi aspetti lo stesso avvenne con la Resistance, pensiamo ad esempio al tema del diritto d’aborto. Una differenza forse cruciale è la capacità del Tea Party di parlare a un segmento di America relativamente marginale, di mobilitare segmenti di America profonda che, nel lungo termine, diventa un fattore importante per le vittorie elettorali di Trump.
La Resistance e le manifestazioni di questi giorni mobilitano segmenti molto diversi: molte donne, età media (come per il Tea Party) relativamente alta, soprattutto bianchi, spesso abitanti in quella suburbia che è uno dei luoghi della società USA dove si vincono o perdono le elezioni – del resto la suburbia ospita quasi il 70% della popolazione. Si tratta di un segmento importante della popolazione, ma non quello potenzialmente colpito dalle politiche dell’amministrazione. Questa è una forza e una debolezza. La forza sta nel fatto che si tratta di persone che hanno capacità organizzative, che seguono la politica, che hanno risorse finanziarie e un sistema di relazioni. La preoccupazione per lo stato della democrazia veicolata da un segmento di popolazione arrabbiato ma rassicurante ha dei vantaggi. La debolezza sta nel fatto che di quei segmenti non fanno parte le minoranze e i giovani, altri tasselli determinanti della coalizione democratica. Non parliamo nemmeno di quel voto bianco working class che nel 2024 (non nel 2016, checché se ne dicesse) ha votato in maggioranza Trump. A questi i democratici potranno parlare incalzando il partito repubblicano su un budget che si apprestano ad approvare forzando le regole del Senato e che prevede tagli alle tasse e probabili tagli ai servizi di welfare. Oppure se la guerra commerciale con la Cina (e il resto del mondo) proseguirà, degli aumenti dei prezzi causati da un presidente impopolare tra la maggioranza della popolazione come le sue politiche – i dazi non stanno piacendo a nessuno. Ma per funzionare, questo è il grande punto interrogativo, i democratici dovranno avere il coraggio di rompere le regole anche loro, non pensare che tuonando contro Trump e i miliardari e allo stesso momento flirtando con i “miliardari democratici” si possano recuperare i voti persi da chi si sente vittima della globalizzazione o si è sempre sentito lasciato indietro e preso in giro da un partito che ogni quattro anni gli chiede il voto perché nel 1963 ha approvato il Civil Rights Act.