Il G20 Salute ha concesso un’ingombrante titolarità al settore privato. La proprietà intellettuale è stata evocata timidamente da Italia, Francia e Spagna e neutralizzata. La proposta di India e Sudafrica esce indebolita, l’Oms ha manifestato tutta la sua marginalità. Da il manifesto.
Dissento da coloro che sostengono che il summit sulla salute globale tenutosi a Roma il 21 maggio sia stato un’occasione perduta. Il summit, condotto con sapienza da Ursula von der Leyen e Mario Draghi, ha perfettamente centrato l’obiettivo che si era dato: tastare il polso dello status quo sanitario e assicurarsi che nessuna terapia estemporanea potesse metterne in discussione l’incerto stato di salute. L’incontro internazionale, con la partecipazione dei pezzi da novanta della leadership mondiale, è stato un successo incontestabile.
L’ordine delle cose, pur imbellettato dallo sdegno retorico delle inaccettabili disparità nella distribuzione mondiale dei vaccini – l’85% delle dosi usate nei paesi ricchi, e lo 0,3% destinati ai paesi a medio e basso reddito – è salvo! La sua patogenesi del resto non colpisce indiscriminatamente.
C’è una sofisticata grammatica da decodificare nel costrutto geopolitico del primo vertice sanitario del G20, intorno al quale si è imbandita una vigilia di aspettative sorprendente. Aprendo i lavori, la presidente della Commissione europea ha dichiarato che il summit inaugurava «un nuovo capitolo nella storia della salute pubblica». Se un anno fa, a pochi mesi dallo scoppio della pandemia, l’agenda della gestione di Covid-19 si situava almeno formalmente nelle mani dell’Oms, terreno di sconto tra Donald Trump e la Cina, oggi il summit di Roma normalizza la situazione nel solco del multi-stakeholderismo – tutti al G20 partecipano alla discussione, non solo i governi – e conferma il rapporto di scambio sia fra industria e governi, sia tra paesi ricchi e paesi poveri.