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La nuova Commissione UE alla prova della transizione

Il punto, nome per nome e ruolo per ruolo, sulle nuove nomine della Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen: il Green deal resta forte con la spagnola Teresa Ribera, ma serve l’appoggio di società civile e industria verde. Da Greenreport.

BRUXELLES. Ursula von der Leyen ha presentato ieri con fare sicuro e autorevole la sua squadra di commissari, mettendo subito in chiaro chi è il “boss”. Si è presentata come una leader molto ambiziosa e ha costruito una macchina abbastanza complessa, che non è immune dal rischio di creare una divisione di competenze complessa e non sempre trasparente tra i Commissari e tra i vicepresidenti e i loro colleghi.

Nelle sue lettere di missione del 2019 aveva delineato una chiara gerarchia tra vicepresidenti e commissari, non è così questa volta; ha sottolineato che tutti i commissari sono uguali e responsabili della propria area di competenza, ma ci sono alcune sovrapposizioni e in questa fase non è chiaro quanto concretamente giocheranno il “reporting” e il “co-working” e la “guida” tra vicepresidenti e commissari.

Come nel caso della sua prima squadra, molto dipenderà dalle personalità e dall’affinità politica e personale tra loro e il presidente. Altro aspetto da non sottovalutare, il personale della Commissione è spesso insufficiente, sotto pressione, e impopolare, ma è purtroppo improbabile che vengano assegnate maggiori risorse per svolgere funzioni sempre più impegnative.

La presidente vuole mantenere il pieno controllo sulle grandi decisioni, come ha fatto nel suo primo mandato. Tuttavia, deve affrontare sfide importanti, tra cui quella della credibilità e della capacità di agire in un ambiente piuttosto conflittuale; le questioni relative a una “governance discutibile”, sollevate da Thierry Breton nella sua dura lettera di dimissioni probabilmente rimarranno, soprattutto perché ci sono grandi differenze di approccio e di priorità nella sua squadra. Inoltre, più che mai, diversi governi vedono il commissario nominato come il “loro” rappresentante a Bruxelles e hanno negoziato duramente per ottenere una posizione di rilievo.

La scelta di nominare vicepresidenti provenienti da grandi Paesi, indipendentemente dalla loro affiliazione politica, va nella direzione di chiarire che cercherà di mantenere una stretta collaborazione coi governi e con alcuni governi più di altri. Certo, è importante notare che nel caso di Fitto e in parte anche del francese Sejourné, la rilevanza dei loro ruoli diretti non è comparabile con quella della spagnola Ribera e molti esponenti di Paesi non grandi hanno portafogli molto rilevanti, dall’Irlanda al Portogallo ai paesi nordici e Baltici. E in effetti, in un mondo ideale e secondo i Trattati, i commissari sono indipendenti e non rappresentano i loro Paesi.

Per quanto riguarda Raffaele Fitto, proposto dall’Italia e attuale ministro del governo e del partito di Giorgia Meloni, si sa che viene dall’Ecr; il suo governo si è astenuto sulla nomina di UVDL e il suo partito ha votato ed è molto contrario (tra le altre cose) a una maggiore integrazione dell’Ue, a un ruolo forte della Commissione e al Green deal.

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