Ancora non è chiaro quale sia la direttrice della politica economica del Governo Conte 2. La Legge di Bilancio per il 2020 va considerata come una manovra di galleggiamento che si colloca dentro la priorità di evitare l’aumento dell’Iva e rispondere timidamente ad alcuni dei più urgenti problemi del Paese.
Tra i Governi “Conte 1” e “Conte 2” ci sono elementi di continuità nelle politiche economiche e novità sostanziali. La continuità non è solo rispetto al Conte 1, ma anche rispetto ai precedenti Governi.
Gli elementi (negativi) di continuità si possono così sintetizzare: la mancanza di una politica espansiva e di sostegno alla domanda, il modesto livello di investimenti pubblici e di politiche industriali, la mancanza di politiche redistributive e di riduzione delle diseguaglianze, lo scarso investimento nelle politiche di welfare e dell’istruzione, l’inesistente investimento sul Mezzogiorno. Permane nelle politiche dei vari Governi il mantra del “taglio delle tasse”, senza che mai ci sia la volontà di affrontare il tema della giustizia fiscale e non solo quello – in modo insoddisfacente, peraltro – della lotta all’evasione.
Il Conte 1 aveva accentuato ulteriori tendenze negative della destra neoliberista con provvedimenti fiscali dal segno regressivo (flat tax), il rinnovo dei condoni fiscali, l’incentivazione delle privatizzazioni. Il Conte 2 ha revocato le scelte più estreme dei mesi precedenti (non tutte, e tra queste i famigerati “decreti sicurezza”) e ha timidamente avviato una stagione nuova, senza però il necessario coraggio. Ha riaperto alcune strade delle politiche dei Governi della scorsa legislatura, con la priorità della riduzione del cuneo fiscale a favore dei lavoratori, ha fermato i tagli alla spesa sociale (anche se le risorse in più in questo settore sono assai modeste), ha timidamente lanciato un segnale sulla fiscalità ecologica e ha cercato di incidere maggiormente sulla lotta all’evasione. Sono però troppo pochi i mesi di vita del Governo per dare una valutazione conclusiva e capire quale sarà la vera direttrice della sua politica economica.
Sopravvivono diverse opzioni che riguardano la politica fiscale e industriale e alcuni temi specifici del rapporto con il mondo del lavoro e delle imprese: dalla legge sulla rappresentanza sindacale alla proposta di istituzione del salario minimo. Mentre una parte della maggioranza sembra convergere su alcuni temi (tasse, imprese, liberalizzazioni) verso una politica di taglio più classicamente neoliberista, un’altra parte sembra non dimenticare alcuni aspetti importanti di politiche che evocano un’impostazione keynesiana: politica fiscale attiva, un ruolo più determinato dell’intervento pubblico, un rapporto più cooperativo con le organizzazioni sindacali e più in generale con i corpi intermedi.
La manovra di bilancio per il 2020 va considerata in questo contesto, come un primo passaggio preparato in tempi molto stretti dal nuovo Governo, dopo l’entrata in carica a settembre. Una manovra che non delinea una strategia, ma si colloca dentro l’assoluta priorità di evitare l’aumento dell’Iva e di rispondere timidamente ad alcuni dei più urgenti problemi del Paese. E in effetti, alcuni meriti li ha: oltre a scongiurare l’aumento dell’Iva e lo scontro frontale con l’Unione europea, ha archiviato la flat tax e la “secessione dei ricchi” di un’autonomia differenziata a favore del Nord, e ha iniziato a percorrere la strada del Green New Deal.
Tuttavia questa è una Legge di Bilancio con poco coraggio, ancora di “galleggiamento”: non c’è una decisa spinta agli investimenti pubblici e il Green New Deal appare ad oggi più come un titolo di testa che come un cambio di rotta verso un nuovo modello di sviluppo. Non ci sono risorse adeguate per il welfare e l’istruzione. Non c’è la riduzione delle spese militari. Aspettiamo la riforma fiscale e il DEF del 2020 per capire se si inizierà a percorrere una strada diversa.