Da tempo gli ucraini colpiscono oltre il confine russo. L’obiettivo Nato sembra essere una gestione più accorta di quanto è già in atto: bilanciare l’equazione delle risorse e impedire al momentum russo di culminare. Nel frattempo, di tavolo negoziale non si parla.
Eccoci dunque al momentum russo: attacchi su tutta la linea del fronte, con gli ucraini a consumare riserve e ripiegare davanti all’offensiva che si annuncia a settimane verso Sumy e Kharkhiv. Putin esibisce il cambio di passo.
Non più l’autocrate sostenuto coreograficamente da una popolazione resa inerte, ma il leader che mentre minaccia i vicini (‘piccoli e densamente abitati’) e mobilita i russi, incitando ciascuno a vivere ‘come al fronte’.
La difesa ucraina stenta a reclutare i numeri necessari e ancora fatica a stabilizzare l’apporto di aiuti occidentali, mentre l’aggressione russa conta ormai su mezzo milione di combattenti ed una solida capacità di produzione di munizioni, missili e repliche di droni iraniani. Mesi di operazioni di terre e cielo hanno fiaccato le infrastrutture critiche ucraine. I successi di Kyiv sono in questo momento circoscritti ai mari attorno alla Crimea. Gestendo il fuoco dell’artiglieria da una ventina di chilometri di distanza – cioè all’interno del confine russo – le forze di Mosca operano praticamente immuni, fuori dalla gittata delle armi ucraine dispiegate sul fronte. Così le pesanti bombe-aliante russe planano oltre le linee, sbaragliando le difese missilistiche Patriot e Heimat, mentre i barrage di armi termobariche fanno terra bruciata di bunker, fortificazioni e villaggi.
A sguarnire la difesa ucraina c’è un altro fattore spesso omesso: l’efficacia dei sistemi d’arma occidentali sta diminuendo rapidamente, per effetto degli adattamenti tattici russi, soprattutto sul versante della guerra elettronica. Il jamming manda in tilt comunicazioni e puntamento, con il risultato che lo hit rate ucraino oggi e lontano da quello che consentì i successi nel primo anno di guerra.
La nomina di un economista a capo della macchina bellica di Mosca ci dice che in termini strategici siamo davanti a una guerra di attrito e di materiali, orientata sulle risorse prima che sul terreno. L’artiglieria russa martella 10 mila volte al giorno, quella ucraina si ferma a 2 mila. I russi sanno che gli ucraini oggi non risponderanno al fuoco.
Non esiste soluzione militare così come non esistono armi risolutive: le armi più precise in arrivo non ribalteranno gli esiti a breve. Per raggiungere l’effetto di saturazione è necessario un impiego continuativo. È un fatto che la guerra è già più avanti rispetto al dibattito sulla stessa, che sembra sempre inseguire il fatto compiuto delle realtà sul terreno. Da mesi vanno a fuoco obiettivi sin nella Russia profonda, e da qualche settimana questo avviene anche in Europa. Dell’impiego di addestratori e forze speciali hanno parlato le cronache. Da tempo, del resto, gli ucraini colpiscono oltre il confine russo. L’obiettivo Nato sembra essere una gestione più accorta di quanto è già in atto e rischia continuamente di debordare: bilanciare l’equazione delle risorse riportando l’Ucraina in condizione di rimotivare i propri combattenti ed impedire al momentum russo di culminare. In questa prospettiva, arginare l’offensiva russa significa recuperare quantomeno una posizione negoziale.
È in questo quadro che arriva dalla Casa Bianca e della principali capitali europee (Italia esclusa), il via libera all’uso di armi occidentali contro le basi di lancio in territorio russo. Di per sé, se circostanziata e modellata sul principio di proporzionalità, la risposta militare ad attacchi dal territorio nemico non infrange il diritto internazionale (ius in bello). Si tratta degli stessi cardini di principio invocati dalle corti internazionali dell’Aia per limitare e sanzionare l’azione di Israele. La stessa Germania di Scholz si è impegnata a rispettare tale quadro normativo, nonostante una posizione marcatamente pro-israeliana. Va ricordato che Putin ha sistematicamente minacciato l’escalation nucleare – sin dalla fornitura, nel 2022, dei primi Javelin anticarro. Lo schema si è ripetuto ad ogni annuncio di nuovi di sistemi d’arma per consentire agli ucraini di reggere l’impatto dell’invasione e cercare di liberare i propri territori.
Stante il deterioramento dei rapporti Zelensky-Biden, Macron cercherà un momento iconico per mettere l’Europa al centro di un risveglio di volontà delle democrazie occidentali, propiziando un incontro sull’ottantesimo anniversario dello sbarco in Normandia, il 6 giugno. Siamo nell’imminenza del voto europeo, e questo schema può essere anche letto come una risposta alla campagna sempre più tetramente militarista della destra che guarda a Ursula Von del Leyen.
Questo ragionamento parte da un assunto ineludibile (la necessità di dissuadere Putin) ma mostra numerosi limiti, a partire dalla controversia su cosa sia proporzionato a cosa; o il fatto che i governi occidentali tendono ad agire in ordine sparso, con i paesi più a est in prima linea nel condizionar l’agenda. Al tempo stesso, non si possono escludere azioni provocatorie, considerate anche le incertezze del corso politico a Kyiv così come a Mosca. Il Cremlino certamente invocherà il diritto a difendersi, includendo le basi in Europa da cui “è partito l’attacco” al proprio territorio. Come ripetiamo da tempo su queste pagine, più che di escalation verticale, dunque, il rischio riguarda l’escalation orizzontale, ovvero il nostro crescente coinvolgimento.
Nel frattempo, di tavolo negoziale non si parla. Americani e cinesi gireranno alla larga dalla conferenza convocata in Svizzera a metà giugno. Tutto sembra appeso alle tornate elettorali attese in Occidente, con le sorti di Vladimir Putin che restano legate a doppio filo a quelle delle destre populiste. A riprova che il tornante che ci aspetta è quantomai politico.
Articolo pubblicato da il manifesto del 1 giugno 2024