C’è un legame serio e inquietante tra Capitalismo reale e Covid-19, indica Paolo Cacciari nel libro “Ombre Verdi, L’imbroglio del capitalismo Green”, edito da Altreconomia. Perché non è la natura, di cui il virus fa parte, il nemico, ma piuttosto i nostri errori, i nostri misfatti contro la natura.
Alcuni lettori hanno l’abitudine di saltare le introduzioni e passare subito al primo capitolo. Nel caso del libro di Paolo Cacciari sarebbe una svista. Cacciari, nella sua introduzione “La nuova normalità”, affronta il tema del giorno: egli scrive di tutto quello che gli sembra non funzioni, degli errori che si sono fatti in occasione del coronavirus, nel momento drammatico di scegliere tra “il contenimento dell’epidemia e la distruzione dell’economia”. L’autore sa bene che non si arriva da nessuna parte se si pone così il problema. Egli ricorda i suoi operai di Marghera costretti a decidere ogni giorno tra “fumo o fame” dei loro impianti chimici. In termini attuali e più generali è come dire “nocività o mascherine”. Bisogna abbattere l’inquinamento che offende la natura – perché di questo si tratta – oppure è sufficiente una strategia più accomodante che scelga volta per volta tra mitigazione e adattamento? Tutto serve, tutto va utilizzato; chi mai, dotato di buon senso economico, potrebbe rinunciare alla corsa all’oro dei vaccini e alla fabbricazione dei sistemi tecnologici necessari per la sorveglianza biomedicale? In altre parole, l’incertezza tra nocività o mascherine è ben presto risolta così: nocività e mascherine. Il Covid-19 non va assolutamente sprecato. La nocività e le mascherine sono prodotti vendibili. Qualcuno organizzerà una compravendita, qualcuno farà affari, su quella e su queste. L’esame dello stato dei fatti prosegue, impietoso, nell’introduzione. “L’aziendalizzazione della sanità” trasforma rapidamente in casi di marketing le priorità nell’ammissione ai trattamenti intensivi. Si calcola in cifre il valore sociale della persona malata: non vale la pena, vale la pena, vale la pena o no… Dire che il virus fa da “livella sociale” è un inganno. Non è vero che la malattia è uguale per tutti. Oltre che favorire i giovani sui vecchi e i sani sui malati, non c’è chi non veda che il virus preferisce i ricchi ai poveri e li cura finché si può. Essi sono solvibili, essi possono pagare le cure e tutto il resto. Cacciari, nell’introduzione, riflette anche sulla metafora patriottica della guerra che impregna l’intera operazione di contrasto alla pandemia: il fronte, il nemico, la battaglia, perfino gli eroi (i medici, le infermiere). Non si tratta di una questione di stile, ma di strategia. Indicare un nemico nel virus è come perdere di vista un elemento decisivo: che non è la natura, di cui il virus fa parte, il nemico, ma piuttosto i nostri errori, i nostri misfatti contro la natura: inquinamento, deforestazione, distruzione del territorio. Tutto ciò con con allevamenti intensivi di proporzioni gigantesche, città spropositate, strade e ferrovie dovunque, fiumi reggimentati, aeroporti illimitati, zone industriali per ogni dove: il tutto nella sede abituale, nei millenni, di altri; negli habitat originari di animali liberi, grandi e piccoli, uccelli, insetti, ma anche di microrganismi come virus, con il risultato di causare le successive frequenti pandemie. Un legame serio e inquietante tra Capitalismo reale e Covid-19.
Il libro di Paolo Cacciari ha il compito di descrivere questo legame. Proprio di guerra si parla all’inizio del corpo principale del libro. Si parte con una sorta d’invocazione a Jorge Bergoglio che si esprime così: “Quest’economia uccide”. D’altra parte viene anche citato Thomas Hobbes con un’opinione diversa: egli crede in una “guerra perpetua” dell’uomo contro la “natura selvaggia”. Semplificando molto, si può notare che vi sono i pochi che hanno capito come funziona il mondo e sono appassionatamente per Bergoglio; ci sono altri, forse più dei primi, che sono partigiani di Hobbes e – ragionatamente – insistono sulla necessità di combattere e sconfiggere la natura selvaggia; in mezzo vi è un terzo gruppo, un numero crescente di persone, che dicono di essere sentimentalmente per Bergoglio, ma sono costretti a comportarsi come seguaci di Hobbes. Il libro di Cacciari, in sostanza, è dedicato a loro, alle loro bugie. Da notare che l’estrema maggioranza degli umani non prende partito, non sa niente, non si interessa di alti problemi morali e filosofici: conta di sbarcare, in qualche modo il lunario, di arrivare insomma a fine mese; ancor prima, di mettere in tavola ogni sera un piatto di minestra per i congiunti, tanto per parlare alla moda; e basta.
Un libro politico deve avere un avversario da affrontare e confondere. Quello scelto da Cacciari è “L’imbroglio del capitalismo green” come dichiarato apertamente nel sottotitolo. D’altra parte il pensiero dell’autore risulta nel titolo stesso, indirizzato contro le “Ombre verdi”. Si tratta di fare i conti con l’eminente, esperto e ben pasciuto terzo partito, collocato al centro, tra Bergoglio e Hobbes. “Tutti sanno tutto”, rileva ironicamente Cacciari, riferendosi soprattutto a noi di sinistra. Ma c’è mai qualcuno che riflette sui 510 milioni di jeans cuciti ogni anno nelle fabbriche del Bangladesh e degli altri paesi dell’Asia povera da milioni di ragazze? Oppure sulle loro sorelline, che partendo a migliaia dal mondo povero, diventano schiave sessuali, nel mondo ricco, tanto per sopravvivere e aiutare la famiglia? Per aiutarci a riflettere, l’autore salva, nella sinistra Sergio Bologna, Gorz e pochi altri. Una è Naomi Klein che interpreta il nostro modo di pensare i fatti come “dissonanza cognitiva”: la logica è poi quella di “dare, contro il capitalismo, il mondo alle fiamme per salvare il pianeta”. Viene citato il grande pensatore Woody Allen che, cinicamente, osserva: “I soldi non fanno la felicità; figuriamoci la miseria”.
In generale la coscienza corrente è che il denaro è indispensabile e per averlo distruggiamo tutto. È in corso una “guerra planetaria permanente” per le risorse; un tempo petrolio, prima ancora carbone e gomma naturale, poi tutto il resto: beni materiali sofisticati, come i metalli rari, l’acqua potabile, l’energia, le comunicazioni, il lavoro specialistico, il lavoro operaio. Averlo, per il proprio guadagno; averlo per toglierlo agli altri. L’arma di distruzione di massa, in una lotta senza quartiere tra gli Stati e tra le imprese ultrapotenti, è il clima. Nei fatti, i signori del mondo con una mano lo compromettono, con l’altra lo riparano. “Mettono a fuoco il pianeta” e impongono le contromisure. In parole diverse: “Offrono soluzioni che non guariscono il male profondo, ma lo ingegnerizzano, lo radicalizzano, lo istituzionalizzano”. La catastrofe ambientale diventa così un business. “L’aria – per dirla altrimenti – è una merce e respirare ha un prezzo. Prima la si rende scarsa, inquinandola; poi la si tecnologizza, infine la si rivende”.
Capitoli significativi del libro di Paolo Cacciari hanno per titoli: “Il clima come bene di consumo”; “La guerra alla natura e ai poveri”; “La natura come capitale”; “La finanziarizzazione del clima”; “Arrivano i soldi”; “Le contorsioni del capitalismo”. Il filorosso è chiarissimo. Saltando qualche titolo si raggiunge “Il falso mito del consumatore sovrano”; e così via. Un’aspra critica a ogni tentativo di conciliare l’economia capitalistica e il buon vivere delle persone comuni. Verrebbe voglia di riprendere tutto, di discutere tutto, sottolineare ogni sfumatura, rileggere ogni autore citato. Ne uscirebbe però un altro libro, lungo quanto quello di Cacciari e certamente più brutto. Può servire allora un espediente: affrontare la critica compresa nel capitolo 14mo “The European green new deal”. Saltando così, per carità di patria, le posizioni di sviluppo sostenibile all’italiana (sinistra compresa) , si arriva a leggere il parere di Ursula van der Leyen, esponente massima dell’Unione Europea e in questo caso veridica portavoce, che propone di “riconciliare l’economia con il pianeta” e di farlo secondo gli schemi di Jeremy Rifkin, indicato come il massimo cantore della green economy, assertore di un’era ecologica a “emissione di carbonio vicina allo zero“. Un progetto molto costoso, raggiungibile solo investendo grandi fortune economiche in progetti tecnologici e scientifici alternativi; e quindi in altra ricerca, costosa, in diversa applicazione delle persone: tecnici, operai, disoccupati inutili, da scartare; insomma in una rinuncia, dolorosa quanto basta, di ricavare il massimo, secondo i principi affermati e mai veramente posti in discussione. Renderebbe altrettanto, oppure renderebbe abbastanza, questo impegnativo progetto in termini di economia? Sarebbe davvero sostenibile? Tutto questo putiferio soltanto per un po’ di green, per non far più guerra alla natura? Più che discutere sul piano numerico i risultati del gigantesco progetto, Cacciari fa capire che non solo sarebbero ovviamente negativi, ma anche privi di senso. I capitalisti, a partire dai pochi, veri, padroni dell’economia, si ribellerebbero subito, mandando a monte l’iniziativa dello sviluppo sostenibile, in ogni declinazione.
Che fare, allora? Prima di tutto svolgere una critica, secolare, a tutte le malversazioni fatte o accettate nel corso di un paio di secoli, quelli del capitalismo imperante, quelli della distruzione naturale, chiedendo anche, una volta per tutte, scusa alle persone umane derubate, agli altri esseri viventi maltrattati, costretti, distrutti. Poi cercando nelle nostre memorie, nelle nostre letture, come il cantico di Francesco, nella nostra cultura di economisti, di sociologi – Stuart Mill e prima e dopo – nella nostra immaginazione, nella nostra coscienza, qualche risposta che metta insieme quel che sappiamo al buen vivir. A una decrescita felice, direbbero autori assai cari a Paolo Cacciari.