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Innovazione, Italia fanalino di coda

Nonostante la crescita del 6,1% dei brevetti depositati tra il 2014 e il 2015, la quota percentuale sul totale vede l’Italia su un modesto 2%, contro valori dell’11% della Cina, dell’11% della Germania, e del 24% degli Stati Uniti

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EPO (European Patent Office) ha presentato il 6 marzo 2016 il suo rapporto annuale sui brevetti depositati presso il suo istituto. Sebbene i brevetti siano solo parzialmente un indicatore della propensione all’innovazione di un Paese, indiscutibilmente fotografano l’atteggiamento delle imprese rispetto alla tutela delle proprie ricerche e, in definitiva, della propria produzione.

Nonostante la crescita del 6,1% dei brevetti depositati tra il 2014 e il 2015, la quota percentuale sul totale vede l’Italia su un modesto 2%, contro valori dell’11% della Cina, del 6% della Corea, dell’11% della Germania, del 18% del Giappone, per arrivare al 24% degli Stati Uniti. In termini di applicazioni per milione di abitanti, ci troviamo a livello mondiale al diciottesimo posto e nessuna nostra impresa compare tra le prime 25.

Se l’Italia continua a spendere una frazione di quello che spendono gli altri Paesi in ricerca e sviluppo, gli ultimi dati parlano di un modesto 1,3%, nel mentre il PIL è crollato del 10% durante il periodo della lunga recessione (2007-2014), la ripartizione internazionale dei brevetti è proporzionale agli sforzi fatti dai Paesi e dalle imprese. Se poi guardiamo ai singoli campi “economici” dei brevetti – comunicazione digitale, computer, macchinari elettrici e apparati, misurazione, chimica organica, motori e turbine, biotecnologia, farmaceutica – possiamo quasi toccare con mano il ritardo (arretramento) dell’Italia. Solo nella farmaceutica e nei motori e turbine raggiungiamo il 3% dei brevetti totali. Nella farmaceutica ci collochiamo dietro a Germania (9%), Francia (7%), Svizzera (7%), Giappone (5%) e gli inarrivabili Stati Uniti (38%); nei motori e turbine siamo dietro a Germania (23%), Stati Uniti (33%) Giappone (14%) e Francia (5%). Nei settori emergenti come la biotecnologia l’Italia rappresenta un misero 1%, e questa è una tecnologia che cambierà non poco il profilo industriale dei Paesi. Per tutti gli altri campi “economici” l’Italia rappresenta un modesto 2%, e spesso si trova dietro ai paesi emergenti. Se consideriamo la così detta meccanica strumentale -uno dei settori storicamente di forza del nostro sistema industriale-, dove abbiamo registrato un crollo della produzione del 22% a seguito della crisi generale, le cose non vanno molto meglio. In questo settore l’Italia intercetta il 2% del totale dei brevetti EPO, contro il 18% della Germania e degli Stati Uniti, il 21% del Giappone.

Come la buona stampa riesca a ricavare elementi di soddisfazione da questo quadro è un interrogativo che solleva ulteriori domande sul tema dell’informazione, che richiede altre analisi, certamente non positive per giudicare la situazione politica-culturale del nostro Paese.

In questa occasione è sufficiente ricordare come l’andamento brevettuale del nostro paese conferma un declino che trova origine nel ritardo della nostra cultura industriale. Una questione che ha origini lontane; la questione che vogliamo segnalare sta nel fatto che l’accumulo dei ritardi hanno prodotto effetti strutturali non più rimediabili con i tradizionali interventi degli incentivi finanziari o simili per le imprese. Infatti, queste hanno una specializzazione produttiva occupati progressivamente da paesi ormai competitivi anche sul piano tecnologico, oltre che su quello del costo del lavoro. Per superare questi limiti strutturali e per guardare oltre agli attuali vincoli tecnologici, occorrono certamente investimenti a favore della ricerca delle imprese, ma non a pioggia e tanto meno per consentire una “semplice” resistenza dell’esistente. Occorrono prima di tutto capacità e strumenti tali da avviare i necessari cambiamenti tecnologici e strutturali. A questo fine è necessaria una azione politica di respiro molto ampio, incominciando dall’intervento della ricerca pubblica e da una politica industriale articolata e programmata.

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