Il colosso Usa non vuole più investire in imprese che non siano “green”. Ma come socio di Benetton in Atlantia non pare molto interessato a manutenzioni di ponti e autostrade.
Una doppia mezza pagina di Le Monde diplomatique di gennaio 2020 illustra con un tono un po’ preoccupato, un po’ scanzonato, il caso di un grande gruppo finanziario, forse il più grande esistente al mondo, un agglomerato che controlla seimila miliardi di dollari, dal nome fatidico di BlackRock. (Sylvain Leder, “BlackRock, la finance chevet de retraités Français”).
Per dare un ordine di grandezza, il fatturato delle prime 500 imprese del globo, analizzate da Fortune, è di trentatremila miliardi di dollari e i profitti superano di poco i duemila miliardi. Nella sezione del diplo dedicata alla trasformazione del molto contrastato sistema pensionistico francese, e che attribuisce un non trascurabile peso ai suggerimenti – o alla moral suasion – del grande gruppo mondiale sulla governance transalpina, si indica tra l’altro chi sia il massimo dirigente e fondatore, Mister Fink, si descrivono i suoi artifici, si allude ai rapporti con l’alta finanza francese e la Borsa connessa, si insinua che vi siano vaste entrature nell’ambiente altrimenti protetto dell’Eliseo, dimora proverbiale dei maggiori poteri del Paese fratello.
Comprensibile che anche per la povera, disastrata, Italia si voglia conoscere l’eventuale interesse della grandissima e superarmata finanza mondiale, nella sua massima rappresentanza “blackrockiana”. Nell’opaco periodo attraversato da Poveritalia, l’arrivo di capitali stranieri è benvenuto. Nessuno chiede il perché e il percome. Il capofila della finanza mondiale ci stima, ci compra, non ha timore di noi, dei nostri numeri, del nostro spread. Cosa volere di più? Tra l’altro agisce anche in uno degli irrisolti casi italiani, quello delle autostrade. Perché andare per il sottile? Se si facesse qualche controllo, qualche resistenza, avvertono i competenti, l’acquisto azionario sarebbe dirottato altrove e l’italico spread crescerebbe a dismisura.
Il gruppo sullodato figura, in Atlantia, con un 5% variabile come secondo azionista a fianco del clan Benetton, titolare del 30%. Il gruppo Benetton si può descrivere, immaginosamente, come un palazzo con molti piani. BlackRock con Atlantia, sta a un piano di prestigio, mentre un piano sotto, quello della società operativa Autostrade c’è un altro socio-inquilino importante, l’assicuratore tedesco Allianz. Questi sta elevando vibrate proteste contro la legge italiana delle mille proroghe che danneggia il valore azionario del suo investimento in Autostrade. Non si tratta qui di una discussione sul funzionamento più o meno regolamentato dell’ascensore condominiale, come sono indotti a far credere quelli di Allianz. Essi ritengono che le persone normali debbano portare massima venerazione agli emblemi della finanza, tanto generale che locale, come avrebbe dovuto fare Guglielmo Tell davanti al cappello dell’imperatore.
Il mondo non va così, non va ancora così. BlackRock ha la presenza azionaria di altri 5% variabili in svariate grandi imprese italiane. Tra queste, Banca Intesa, Unicredit, Prysmian, Moncler, Enel; e poi ancora Azimut (6,5%) e Fineco (8,8%). Non siamo affatto sicuri che non vi sia dell’altro, ignoto anche alla Consob cui abbiamo affidato il controllo sulle società e la Borsa.
Solo Mediobanca, ai buoni vecchi tempi, aveva simili cifre d’investimento, ma il governo, i partiti, la Chiesa, la Fiat, le grandi imprese italiane, le partecipazioni statali, le grandi famiglie, quei Capitani Coraggiosi che uno dopo l’altro si presenteranno sul palcoscenico, tutti insieme, insomma, gli iscritti al club dei Pezzi Grossi (allora si parlava anche, borghesemente, di salotto buono) pensavano che Mediobanca fosse uno snodo del potere nazionale, della sua sistemazione autorevole e accurata, del buon patto generale, non scritto nero su bianco ma accettato da tutti. (Anche se poi, molto dopo, arrivati a metà gli anni ‘80, si seppe che il patto pubblico-privato c’era, ma ben pochi ne erano a conoscenza). Per questo ognuno dei potenti, di nascosto agli altri, cercava di contare di più in ViaFilodrammatici il nome giornalistico, per competenti, della Banca d’affari e quindi teneva celati i propri contatti, convinto di essere molto avvantaggiato da quell’eventuale rapporto coperto.
Forse è prematuro ritenere che BlackRock abbia preso il posto tenuto per molti decenni da Enrico Cuccia, fatidico capo di Mediobanca e dai suoi, ma è certo che i consigli di Mediobanca, per pessimi che fossero, non erano quelli di spremere le imprese partecipate per fare soprattutto soldi. Il disegno era più ampio (e complicato) e i poteri prima elencati pensavano – ciascuno per conto suo – di esserne al corrente.
BlackRock non è certo l’unica causa del modello ‘valoriale’ cresciuto da qualche anno nel Sistema Italia e divenuto ormai prevalente. Certo che la sua forza di persuasione è molto efficace. Il dividendo, prima di tutto è alto, che faccia invidia a coloro che non capiscono e vorrebbero investire in macchinari e crescere e assumere. Per fare dividendi, però, occorrono profitti, e quindi rilevanti tagli nelle altre voci di bilancio. Atlantia – e non solo essa – può andare avanti benissimo riducendo al minimo le manutenzioni, una spesa inutile che, come si sa bene, è fatta contro ogni prospettiva di valore sensata, non dà profitto e riduce a fine anno il dividendo. La connessione sfruttamento-licenziamenti è un po’ più complessa, ma si possono ben sfruttare i lavoratori che agiscono fuori e a bassa paga e incassare dividendi dentro o altrove.
Le ultime dichiarazioni di Mister Fink, riportate anche sulle Alpi svizzere di Davos e diffuse da un autorevole organo del gruppo finanziario mediatico Gedi, la Repubblica, lasciano pensare a un giro di walzer di BlackRock nel settore ambientale.
In primo luogo, la promessa – o la minaccia – di evitare nel futuro le iniziative finanziarie caratterizzate da eccessivi impegni fossili. Questo primo luogo rallegra molto gli industriali travestiti in verde, o grigio verde, verrebbe da dire, come gli antichi fanti italiani. Il secondo punto è assai più serio: la compagnia finanziaria americana informa che voterà contro gli amministratori delegati e i presidenti delle imprese che non terranno conto dei loro desiderata, ambientali e non, naturalmente. Amministratori delegati e presidenti, è ovvio, non possono permettersi di essere contraddetti dalla finanza mondiale.
C’è poi il caso francese, indicato dall’articolo del diplo dal quale siamo partiti. BlackRock intende partecipare, da dietro le quinte, per ora, alle contese politiche e sociali nei Paesi nei quali investe e dirige gli investimenti dei suoi clienti, risparmiatori, piccoli e grandi che siano, provenienti da ogni parte del mondo, ma sempre ben abbienti che sono, sempre o quasi sempre avidi di guadagni. Peggio dei francesi, noi italiani? Meno aperti alla finanza mondiale?
Per il futuro, si vedrà.