Entro il 27 marzo si dovrà scegliere una di tre opzioni rimaste sul tavolo: nessuna soluzione, ridiscussione dell’accordo (la Ue non vuole), nuovo referendum sulla Brexit. La questione irlandese è ancora il punto decisivo.
Il 17 gennaio 2019 il Principe Filippo voleva provare la nuovissima Land Rover Freelander, appena ricevuta alla residenza di Sandringham, contea di Norfolk, Regno Unito. Per qualche motivo sconosciuto, percorrendo una strada secondaria si scontrò con un’altra automobile, una Kia. La Freelander subì un triplice cappottamento, fermandosi infine sull’altro lato della strada. Il principe consorte che compirà in marzo 98 anni e che era alla guida senza scorta e senza passeggeri, è stato estratto dal tettuccio mobile senza particolari traumi. La Kia era guidata da una giovane donna di 29 anni, rimasta illesa, come illeso è risultato il suo bambino, di nove mesi. Semplice frattura a un braccio per una passeggera 49enne che possiamo immaginare essere la giovane nonna della creatura.
Se abbiamo revocato con dovizia di particolari un incidente minore sulle strade inglesi – dove è opportuno ricordare che si tiene la sinistra – è per un’ombra di pensiero che ci è entrato in mente e non riusciamo più a eliminare: abbiamo la sensazione che l’episodio stradale sia una sorta di premonizione della Brexit.
Una distrazione, un colpo di sonno, di un guidatore esperto e assai navigato ha talvolta l’esito di conseguenze imprevedibili che ne provocano altre, tante altre, a catena, senza soluzione, come un referendum consultivo che si trasforma in un atto politico d’importanza decisiva. Irrevocabile. Certo, commentare un semplice incidente stradale è più facile che dipanare un caso complicato come Brexit. D’altronde, a pensarci bene, è difficile conoscere a fondo, spiegare, interpretare e ricavare una lezione e un comportamento ragionevole per il futuro anche nel caso del cappottamento regale. Occorre notare inoltre che la casa Land Rover ha provveduto subito la sostituzione del Suv 4×4 infortunato, ritenendo di ovviare per il meglio all’inconveniente verificatosi. Ma è proprio così? Si evitano davvero altri incidenti lasciando le cose come prima? Oppure si pongono le condizioni per ripetere l’avvenimento tal quale? Alla Land Rover vogliono spavaldamente assumere le proprie responsabilità oppure vogliono soltanto vendere un altro esemplare di un modello costoso, capovolgendo la pubblicità negativa? Sono le condizioni di un secondo giro, o si vuole stabilire il principio democratico della decisione popolare, costi quel che costi, libera circolazione sulle strade minori inglesi e vinca il migliore? E anche questo è un fatto.
Uno dei massimi successi vantati dall’Unione europea, compreso il tempo in cui si chiamava ancora Comunità, è la Pace del venerdì santo stabilita tra le due Irlande, nel 1998. In seguito, giorno dopo giorno, di qua e di là del confine si è realizzata una convivenza accettabile, magnifico esempio per tutte le guerre, le tensioni e gli antagonismi presenti nei cinque continenti.
Un esempio che tutti conoscono è quello della birra Guinness, notissimo prodotto irlandese. Lavorata in Irlanda, la bevanda viene imbottigliata al Nord, oltreconfine, per poi ritornare a Dublino e prendere il largo. Ora lo stare insieme irlandese è posto a rischio per via della Brexit; anzi qualcuno suggerisce che la Brexit stessa sia in ultima analisi una conseguenza della Pace del venerdì santo, rifiutata dai guerrafondai come una pericolosa tregua sine die tra uguali. La coesistenza, un disastro intollerabile per noi che viviamo di guerre. In altre parole, un confine aperto, tra due popoli divisi da secoli che adesso vivono insieme è uno spreco intollerabile, è una promettente lotta mortale perpetua sprecata, visto che finisce in niente. (Fare accordi di frontiera, irlandesi, vorrebbe dire dar vita al Kurdistan, risolvere la contesa per Gerusalemme…oppure almeno tentare)
La questione irlandese, vecchia di secoli, è ancora viva e rappresenta il punto decisivo di Brexit e in generale dei futuri rapporti tra 27 paesi dell’Unione e Regno unito. Altri due punti importanti, seppure meno insuperabili sono la gestione delle persone – lavoratori, studenti, migranti – e la messa a punto delle questioni economiche. Riflettiamo brevemente su tali punti, prima di dedicarci al caso irlandese.
Togliamo di mezzo subito gli ultimi punti. Le regole dell’Unione sarebbero 80.000, a detta dei cultori della materia. Ognuna di esse potrebbe essere presa a pretesto di una rottura. La parola che conta è appunto pretesto. I tempi moderni sono scanditi dalla Cina, entrata nel WTO. La Cina litiga ogni giorno con gli Stati Uniti, su questo e su quello. Non è probabile – ne siamo ben convinti – che uno dei due antagonisti faccia saltare tutto. In un mondo siffatto non è probabile che Regno Unito e Unione si mettano a litigare per una, otto o ottantamila regole commerciali e bancarie. Si metteranno d’accordo, in qualche modo.
Quello di lavoratori, studenti, immigrati era un problema serio nel 2014 e prima ancora e sempre. Non per gli studenti, sempre bene accetti nel Regno, i ragazzi a imparare l’inglese, o l’economia, i fratelli maggiori. Piuttosto il caso grave si riferiva a lavoratori e immigrati che spesso rappresentavano un problema solo. L’immigrazione nel Regno unito era temuta ma sopportata – qui la capitale dell’impero, là le colonie devote – quando funzionava il Commonwealth.
Nel 2014, al tempo delle ultime elezioni europee era sorto un problema nuovo e diverso: come ostacolare in ogni modo l’immigrazione dai nuovi Paesi associati nell’Ue, rumeni, bulgari, slavi in genere, polacchi, tutti in un solo calderone. Si doveva impedire che venissero a inquinare, rubare, togliere il lavoro, e causare altri guai, anche peggiori, turbando la pace di sua maestà la regina. Il fatto che venissero per cercare e finalmente trovare pace e democrazia era poco considerato. Contava molto di più Ukip, il partito di estrema destra, che la sparava più grossa di tutti, si presentava per la prima volta al voto e avrebbe finito per vincere a mani basse, favorito dal sistema proporzionale che anche nel Regno Unito si adotta alle elezioni europee.
Tra i parlamentari degli altri partiti, soprattutto tra i conservatori, risultati terzi ma ancora al potere in Parlamento, alcuni capirono l’antifona e promossero il referendum consultivo che in effetti si svolse due anni dopo, nel 2016. La morte sul campo di Jo Cox, parlamentare laburista, decisa sostenitrice del Remain, uccisa da un fautore del Brexit, non bastò a capovolgere il risultato e vinsero coloro che volevano abbandonare l’Europa, o meglio isolarla, come tra i conservatori più scherzosi si usa dire. L’anno successivo, 27 marzo 2017, si fissarono i termini della discussione; secondo la più importante delle 80.000 regole, il famoso articolo cinquanta, c’era un tempo di due anni per definire tutto. 27 marzo 2019, la data finale.
Rimane il caso irlandese. Come risolvere il problema di una frontiera aperta con merci e persone, con servizi e capitali provenienti da un Continente fastidioso e maleducato, costoso e imprevedibile? Non esiste più come problema eminente l’aspetto politico che per decenni aveva tenuto sul chi vive il Regno unito. L’autonomia dai poteri di Bruxelles non è più in conto. In cambio non si è ottenuta l’indipendenza e Rule Britannia, tutti lo sanno. Ora una parte cospicua dei gruppi dirigenti di Westminster e della City vorrebbe iscriversi a un’associazione anglosassone, con Usa, Canada, Australia, Nuova Zelanda per far fronte ai cinesi, ai russi, agli altri con i quali disputare l’ordine mondiale. Oceania contro Eurasia ed Estasia, come prevedeva George Orwell settanta anni fa nel suo 1984. L’Irlanda starebbe in Oceania, un caso di guerra tra i tanti. Quasi tutti gli irlandesi preferirebbero l’Eurasia, a conti fatti. Guinness, in Oceania, risolverebbe i problemi produttivi, ma taglierebbe della metà o ancor più le vendite.
Per il 27 marzo dovrebbe essere decisa una di tre soluzioni rimaste sul tavolo: nessuna soluzione, oppure ridiscussione che però Bruxelles detesta e infine nuovo referendum. Tre soluzioni cattive, se manca lo spirito attivo, la volontà di andare d’accordo, di costruire un ponte ideale, di qua di là dell’Irlanda. Sul quale ponte anche il Suv di Filippo potrebbe rovesciarsi e rimettersi sulle quattro ruote senza danni.