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I dilemmi di Syriza sono anche i nostri

Tsipras ha detto la verità dicendo che l’accordo con l’Unione europea è pessimo. Per questo bisogna continuare a battersi

Gli «accordi» del 13 luglio a Bru­xel­les tra l’unione euro­pea e la Gre­cia segnano la fine di un’epoca? Sì, ma cer­ta­mente non nel senso indi­cato dal comu­ni­cato con­clu­sivo del «ver­tice». In effetti gli «accordi» sono fon­da­men­tal­mente inap­pli­ca­bili e tut­ta­via costi­tui­scono una for­za­tura altret­tanto vio­lenta, e ancor più con­flit­tuale, di quanto è già avve­nuto negli ultimi cin­que anni. Si è par­lato di dik­tat e que­sta dram­ma­tiz­za­zione è basata su fatti concreti.

Le pro­po­ste con le quali Ale­xis Tsi­pras è arri­vato a Bru­xel­les erano in con­trad­di­zione con il risul­tato del refe­ren­dum, ma face­vano ancora parte di un pro­getto sul quale aveva l’iniziativa per potere spe­rare di svi­lup­pare una poli­tica nell’interesse del suo popolo. I suoi «inter­lo­cu­tori» si sono impe­gnati a far fal­lire que­sto ten­ta­tivo. Il risul­tato è un anti-piano senza alcuna razio­na­lità eco­no­mica, che asso­mi­glia a un salasso e a un sac­cheg­gio dell’economia nazionale.

Peg­gio ancora, le misure di «messa sotto tutela» isti­tui­scono un pro­tet­to­rato nell’Unione Europea.

La Gre­cia non è più sovrana: non nel senso di una sovra­nità con­di­visa, che impli­che­rebbe un pro­gresso verso il fede­ra­li­smo euro­peo, ma nel senso di un assog­get­ta­mento al potere del Padrone. Di quale «Padrone» si tratta? Per descri­vere il regime che governa oggi l’Europa, il filo­sofo tede­sco Jür­gen Haber­mas ha par­lato di «fede­ra­li­smo ese­cu­tivo post­de­mo­cra­tico». Ma que­sto «ese­cu­tivo» è occulto e infor­male. La Com­mis­sione ha ceduto il potere all’Eurogruppo, che non dipende da alcun trat­tato e non obbe­di­sce a nes­suna legge. Il suo pre­si­dente si limita a essere il por­ta­voce dello Stato più potente.

Que­sto signi­fica che il nuovo regime non è altro che la maschera dell’imperialismo tedesco?

L’egemonia è senz’altro reale, certo, ma è espo­sta a nume­rose con­te­sta­zioni, tra cui quella della Bce. Pro­sciu­gando la liqui­dità di emer­genza, la Bce ha svolto un ruolo deter­mi­nante, «ter­ro­ri­stico», per pie­gare Atene. Que­sto non signi­fica tut­ta­via che la con­cer­ta­zione tra Ber­lino e Fran­co­forte fun­zioni sem­pre, né che gli inte­ressi e le ideo­lo­gie siano iden­ti­che. Que­sta divi­sione dura­tura nell’«esecutivo» euro­peo fa parte della sua costi­tu­zione materiale.

Come ne fanno parte le diver­genze tra governo fran­cese e tede­sco. È impor­tante capire ciò che li ha sepa­rati, senza natu­ral­mente pren­dere per oro colato le loro giu­sti­fi­ca­zioni. Per quanto riguarda i tede­schi, le ragioni poli­ti­che della loro «intran­si­genza» sono state più rile­vanti di quelle eco­no­mi­che. I due schemi del Bun­de­sfi­nan­z­mi­ni­ste­rium: uscita «prov­vi­so­ria» della Gre­cia dall’euro, o espro­pria­zione delle sue risorse nazio­nali, erano in fondo equi­va­lenti, se si con­si­dera che l’obiettivo ultimo era (e resta) la caduta di Syriza.

Sul lato fran­cese si era con­vinti che l’unica maniera per far pas­sare l’aumento dell’austerità tra la popo­la­zione greca era quella di sca­ri­carlo su Syriza. Dopo tutto lo stesso Hol­lande ha una certa espe­rienza nel tra­di­mento delle pro­messe elet­to­rali… Ma la chiave è la pre­oc­cu­pa­zione evi­den­ziata da Varou­fa­kis: resi­stere al modo in cui la Ger­ma­nia si è ser­vita della situa­zione greca per «disci­pli­nare la Fran­cia». Si può dire che, nella notte fati­dica, Hol­lande abbia «vinto» sul man­te­ni­mento della Gre­cia nell’euro, ma abbia «perso» sulle sue con­di­zioni. Quando si cono­scerà il seguito di que­sta vicenda, è pro­ba­bile che la sua vit­to­ria non lo por­terà lontano…

Que­ste trat­ta­tive sulle spalle dei greci non hanno evi­den­te­mente risolto nes­suno dei pro­blemi che sono alla radice della crisi. Anzi, li hanno aggravati.

Il debito euro­peo accu­mu­lato, quello pub­blico e soprat­tutto quello pri­vato, rimane incon­trol­la­bile. Volerlo fis­sare in Gre­cia non serve ad altro che a farlo aumen­tare, man­te­nendo l’insicurezza della moneta comune.

Qual­siasi solu­zione si scon­tra con un pro­blema ancora più pre­oc­cu­pante per il futuro dell’Europa: l’aumento delle dise­gua­glianze e la loro tra­sfor­ma­zione in rap­porti di domi­nio. Un abisso si è allar­gato in un’«Unione» il cui pro­getto asso­ciava la ridu­zione delle ini­mi­ci­zie seco­lari con l’apertura di una pro­spet­tiva di pro­spe­rità e di com­ple­men­ta­rità tra i popoli.

Il 13 luglio ha evi­den­ziato soprat­tutto la gra­vità del pro­blema demo­cra­tico in Europa, e della man­canza di legit­ti­mità che esso induce. Il più serio degli argo­menti sol­le­vati con­tro le richie­ste gre­che è quello che ha riba­dito che la «volontà di un solo popolo» non può pre­va­lere su quella degli altri. È incon­te­sta­bile, ma non ha senso senza un con­trad­di­to­rio al quale tutti i cit­ta­dini euro­pei siano invi­tati a par­te­ci­pare insieme. La tec­no­strut­tura e le classi poli­ti­che dei dif­fe­renti paesi non vogliono nem­meno sen­tirne parlare.

Il males­sere e la col­lera gene­rati da que­sto spo­sta­mento di potere verso le isti­tu­zioni sovra­na­zio­nali e gli orga­ni­smi occulti con­ti­nue­ranno così ad aumen­tare. In «com­penso» si è messo in moto un dispo­si­tivo inquie­tante: i con­tri­buenti dei diversi paesi sono stati mar­tel­lati dall’idea che non smet­te­ranno di «pagare per i greci» e che lo faranno di tasca loro. Que­sta pro­pa­ganda genera un potente popu­li­smo «di cen­tro» che ali­menta le pas­sioni xeno­fobe in tutto il con­ti­nente. Sarà l’estrema destra a capi­ta­liz­zarne i frutti.

In que­sta situa­zione, Syriza si trova di fronte a un dilemma ter­ri­bile. Il memo­ran­dum è pas­sato al Par­la­mento greco per­ché i vec­chi par­titi di governo hanno votato a favore, ma con una forte mino­ranza di oppo­si­tori, tra i quali ci sono una tren­tina di depu­tati di Syriza. Assu­men­dosi le sue respon­sa­bi­lità, il primo mini­stro ha dichia­rato di «non cre­dere» nelle virtù del piano di Bru­xel­les, ma che biso­gnava accet­tarlo per evi­tare un «disa­stro». Ci sono già stati scio­peri e mani­fe­sta­zioni. La crisi è aperta e continuerà.

Il prin­ci­pale appog­gio «esterno» di cui dispone al momento Tsi­pras è giunto para­dos­sal­mente dal Fondo Mone­ta­rio Inter­na­zio­nale. Pub­bli­cando la sua ana­lisi sull’insostenibilità del debito greco, chie­dendo agli euro­pei di «alleg­ge­rirlo», ha avviato una sorta di rine­go­zia­zione stri­sciante. Ma Schäu­ble ha subito rilan­ciato l’idea di una «Gre­xit tem­po­ra­nea», che ha come posta la stessa appar­te­nenza della Gre­cia all’Unione Europea.

La situa­zione interna è quella deter­mi­nante. Da anni, la società greca si è difesa con­tro l’impoverimento e la dispe­ra­zione svi­lup­pando straor­di­na­rie lotte e mol­te­plici forme di soli­da­rietà. Ora è esau­sta, divisa secondo linee che pos­sono diver­gere brutalmente.

Molto dipen­derà dal modo in cui sarà per­ce­pita l’azione di governo: come «tra­di­mento» o come «resi­stenza». È fon­da­men­tale che Tsi­pras abbia per­se­ve­rato nella deci­sione di dire la verità. Ha dovuto però fare un rim­pa­sto di governo e annun­ciare la pos­si­bi­lità di ele­zioni anti­ci­pate, che si pre­sen­tano come alta­mente rischiose.

Sog­getta a simili ten­sioni, Syriza resterà unita?

La spinta verso implo­sione viene dall’esterno, ma anche dai «mar­xi­sti» che hanno sem­pre visto nella Gre­xit un’occasione da cogliere. Pur legit­tima, ci sem­bra che la con­te­sta­zione non dovrebbe por­tare a fare il gioco dell’avversario, pre­ten­dendo di mono­po­liz­zare la potenza espressa dal «No» del 5 luglio, che costi­tui­sce la forza del movi­mento. O l’unità tiene, e allora la dia­let­tica tra attua­zione dell’«accordo» e resi­stenza potrà svi­lup­parsi in forme ine­dite, in cui un ruolo fon­da­men­tale dovrà essere svolto dalla mobi­li­ta­zione sociale. Oppure cederà, sep­pel­lendo la spe­ranza era nata in Gre­cia, in Europa e nel mondo.

Aggiun­giamo solo un’ultima battuta.

Tsi­pras lo ha detto chia­ra­mente: la solu­zione che abbiamo dovuto sce­gliere non era la migliore, è stata solo quella meno disa­strosa per la Gre­cia e per l’Europa. Que­sto impe­gno al ser­vi­zio dell’interesse comune ci asse­gna grandi respon­sa­bi­lità. Fino ad oggi, biso­gna pur dirlo chia­ra­mente, il nostro soste­gno non è stato all’altezza della situa­zione. Ma la «lunga mar­cia» per l’Europa soli­dale e demo­cra­tica non è finita il 13 luglio 2015. Con­ti­nuerà anche in Gre­cia, men­tre altri movi­menti cari­chi di spe­ranza ne pren­de­ranno il testi­mone. L’unione fa la forza.

 

Il manifesto 21 giugno 2015 Il pre­sente testo sarà pub­bli­cato dal quo­ti­diano Libe­ra­tion in Fran­cia e dal gior­nale Der Frei­tag in Ger­ma­nia. Una ver­sione più ampia si può leg­gere nel sito di Open Demo­cracy.

 

Tra­du­zione di Roberto Ciccarelli