La bocciatura dei piani del governo è secca: nel sondaggio di Swg per Greenpeace a metà gennaio gli italiani si rivelano contrari all’aumento al 2% del Pil delle spese militari e favorevoli a una forte tassazione degli extraprofitti di guerra. Gli investimenti? Per le rinnovabili e per contrastare l’inflazione.
La maggioranza degli italiani è contraria all’aumento della spesa militare al 2 per cento del Pil così come invece è stato indicato dal ministro della Difesa Guido Crosetto in Parlamento per soddisfare le richieste Nato. Il 55 per cento dei cittadini intervistati dalla società demoscopica Swg per conto di Greenpeace ha espresso un’opinione contraria e solo il 23 per cento si è detto a favore mentre il resto del campione ha preferito non prendere posizione a riguardo. La domanda era specifica, il campione di 1.200 persone intervistate rappresentativo e le interviste sono state compiute dall’11 al 16 gennaio di quest’anno. “Si tratta di una bocciatura molto forte dell’aumento della spesa militare, non ci siamo concentrati sull’invio di armi”, segnala Simona Abbate di Greenpeace che mette in risalto come l’opinione pubblica italiana abbia espresso una posizione opposta a tutta la linea del governo sugli investimenti e la spesa da autorizzare. Non solo gli italiani non vogliono spendere di più per gli armamenti ma vogliono che gli extraprofitti sia delle aziende energetiche sia di quelle militari siano fortemente tassati e reinvestiti in fonti rinnovabili e in aiuti alle famiglie contro l’inflazione. “L’Italia vuole per sé un futuro verde e di pace”, sintetizza Abbate. Solo il 9 per cento vuole infatti che gli introiti dell’extragettito siano reinvestiti in infrastrutture di fonti fossili. “Ciò significa che i cittadini non vedono bene che l’Italia diventi il nuovo hub europeo del gas”, riassume.
Il sondaggio di Greenpeace in effetti è significativo e spiega che gli italiani preferirebbero di gran lunga che gli investimenti fossero concentrati sulla transizione energetica o in parti uguali nelle fonti rinnovabili e in una diversificazione di approvvigionamento delle fonti fossili.
Ma soprattutto il campione preso in esame risponde quasi in blocco a favore di una tassazione al 100 per cento degli extraprofitti delle grandi industrie energetiche guadagnati in questo periodo di speculazione e guerra, da reinvestire in abbassamento delle bollette per famiglie e imprese (80%) e in fonti rinnovabili (76%). Non solo. Due italiani su tre, pari al 69% degli intervistati, sarebbe favorevole a tassare anche gli extra profitti per la guerra in Ucraina delle aziende armiere.
Ciò che viene bocciato senza appello dai risultati del sondaggio è in ogni caso proprio il piano illustrato da Crosetto di aumentare la spesa militare di 12 miliardi nei prossimi sei anni (Crosetto aveva parlato di 10 miliardi ma aggiungendo che le richieste Nato ora sono passate dal 2 al 3 per cento del Pil e che attualmente sono “solo” pari all’1,4 per cento).
In un sondaggio Euromedia la quota di cittadini contrari a proseguire nell’invio di armi come risolutivo del conflitto cresce addirittura al 58% e addirittura il 68,5 del campione si dichiara nettamente contrario al coinvolgimento diretto della Nato nel conflitto in Ucraina.
In un precedente sondaggio su tre paesi soltanto (Germania, Spagna, Francia e Italia) realizzato da Youtrend nel maggio dell’anno scorso sempre per Greenpeace, più centrato sull’export delle armi, oltre l’80 per cento non approvava l’esportazione di armamenti verso regimi dittatoriali o che non rispettino i diritti umani e al 55 per cento riteneva che gli unici a guadagnare dall’export di armi fossero le stesse aziende che le producono.
Eurobarometro ha monitorato le opinioni sulla guerra e la crisi economica a metà gennaio attraverso istituti demoscopici nazionali, tra cui per l’Italia Swg. Il monitoraggio ha riguardato 9 paesi europei, Italia inclusa. Una stragrande maggioranza degli europei risultano impazienti di arrivare ad una fine dei combattimenti in Ucraina e al ripristino di condizioni di pace. In particolare austriaci e tedeschi in maggioranza (60%) vorrebbero arrivare alla pace rapidamente e sarebbero disposti, per raggiungere questo obiettivo, anche alla rinuncia ucraina di alcuni territori annessi dalla Russia. Di opinione opposta su questo punto restano polacchi e portoghesi.
Il supporto agli investimenti prioritari nel sistema di difesa ha ricevuto in questo sondaggio complessivamente il 56 per cento di favore tra gli europei ma con diversità importanti da paese a paese. In questo sondaggio gli italiani risultano i più preoccupati di un peggioramento delle condizioni economiche familiari nel corso dell’anno e tra i meno speranzosi che il conflitto in Ucraina possa avere un termine in tempi brevi. I paesi più preoccupati dall’inflazione e dal caro bollette per la guerra sono Grecia, Cipro, Italia e Portogallo.
Francia, Austria e Polonia sono le popolazioni meno preoccupate sotto questo aspetto. I polacchi sono i più favorevoli all’invio di armi per la risoluzione del conflitto con la Russia; la Polonia è il Paese che ha accolto la maggior parte dei rifugiati ucraini ed è la nazione più militarmente coinvolta nei programmi e nelle basi Nato.
Un sondaggio risalente all’aprile scorso condotto da YouGov con l’Istituto universitario europeo di Firenze ha rilevato che la stragrande maggioranza dei cittadini dei paesi dell’UE attribuisce la responsabilità della situazione in Ucraina alla Russia. Lo studio si basava su campioni rappresentativi delle popolazioni di 16 paesi dell’Unione Europea più il Regno Unito, con un lavoro sul campo condotto tra il 1° e il 25 aprile.
In Scandinavia, Regno Unito, Polonia e Paesi Bassi oltre il 70% delle persone ha individuato la Russia la principale responsabile. Tuttavia in Bulgaria e in Grecia la maggioranza riteneva che la responsabilità fosse anche della NATO o sia della NATO che della Russia allo stesso modo. In Slovacchia e Ungheria la maggioranza non era d’accordo sul fatto che la guerra fosse principalmente responsabilità della Russia.