L’ad di Stellantis Carlo Tavares due settimane fa aveva promesso “un milione di auto prodotte in Italia”. Ma ora si scopre un piano esuberi da 3.600 addetti in tutti gli stabilimenti italiani. Airaudo (Cgil Piemonte): il governo lo convochi al tavolo. Lodi (Fiom): verso mobilitazione generale.
Volge rapidamente al brutto la situazione del comparto automotive in Italia. Dopo appena due settimane dalle tranquillizzanti dichiarazioni Carlo Tavares, amministratore delegato di Stellantis, gruppo che resta ancora l’unico produttore di autoveicoli in Italia, l’azienda franco-americana ha dichiarato poco meno di 3.600 esuberi negli stabilimenti italiani: “La presenza di Stellantis in Italia non è a rischio” e ancora “l’Italia è il Paese in cui crediamo di poter produrre un milione di veicoli” e altre belle parole pronunciate in una intervista al Sole 24 ore datata 19 marzo.
Ma gli stabilimenti Stellantis italiani continuano a produrre meno della metà del “milione di veicoli” da lui decantato e nel frattempo i posti di lavoro si riducono di un’altra bella fetta.
Non si tratta di licenziamenti tout court quanto di dimissioni incentivate e comunque, per il maggior sindacato del settore – la Fiom -, di un chiaro segnale di disinvestimento. “Noi non abbiamo firmato gli accordi per gli esodi incentivati a livello territoriale perché li riteniamo l’ennesima procedura di licenziamenti collettivi camuffati dall’incentivo. Non vediamo assunzioni da anni e non abbiamo un piano di sviluppo che preveda anche un ricambio generazionale nel personale”, spiega Samuele Lodi, responsabile del settore automotive nella segreteria Fiom.
Mirafiori è l’epicentro dell’emorragia occupazionale. A Torino Stellantis e gli altri sindacati metalmeccanici hanno siglato da poco un accordo per l’uscita volontaria incentivata di altri 1.520 lavoratori occupati in 21 società del gruppo presenti sul territorio, su un bacino di circa 12.000 addetti complessivi. Nell’enorme stabilimento, ormai per metà vuoto, della ex città operaia per eccellenza si prevedono 733 uscite incentivate nelle strutture centrali (impiegati e quadri) e 300 uscite al reparto carrozzerie di Mirafiori. E il brutto segnale ha già convinto tutti i sindacati dell’auto e persino l’UnionQuadri a proclamare uno sciopero unitario, il primo dopo 15 anni, il prossimo 12 aprile per esprimere preoccupazione per il futuro di Mirafiori e per chiedere impegni per il rilancio del settore. Alla manifestazione hanno già annunciato la partecipazione anche il governatore del Piemonte Alberto Cirio, di Forza Italia, con tanto di gonfalone della Regione oltre al sindaco Stefano Lo Russo del Pd.
Ora non c’è solo Mirafiori, dove come ricorda il segretario della Cgil del Piemonte Giorgio Airaudo “siamo ormai al diciassettesimo anno di cassintegrazione”. Negli ultimi giorni il quadro è peggiorato anche negli altri stabilimenti, da Cassino a Pratola Serra, da Melfi a Pomigliano D’Arco, da Termoli a Cento e Verrone. Totale: 3.597 uscite, di cui 500 a Melfi e 424 a Pomigliano. I lavoratori si troveranno a dover scegliere tra il rischio di venir cassintegrati, e magari in prospettiva licenziati, e accettare dalle 12 alle 33 mensilità più un bonus dai 20 ai 30 mila euro, a seconda dell’anzianità e della qualifica, per andarsene. Persino alla ex Sevel di Atessa in provincia di Chieti, stabilimento dove si produce il furgone Ducato e dove i livelli produttivi sono alti, è stato lanciato un piano di esodi incentivati. E la Fiom locale anche qui non lo ha sottoscritto.
Il gruppo Stellantis ha grandi piani di investimento, ma altrove. In Sudamerica in particolare, dove solo poche settimane fa il gruppo ha annunciato di voler investire, dal 2025 al 2030, la bellezza di 5,6 miliardi di euro e di voler produrre 40 nuovi modelli di veicoli tra tecnologie bio-ibride e full-electric, accedendo anche al mercato delle compensazioni ambientali. In Brasile, segnatamente, ma anche in Argentina e Cile, il gruppo che ha incorpora la Fiat già produce 878 mila veicoli e copre il 23,5% del mercato, soprattutto pick-up Fiat Strada. E pensa probabilmente di poter sfruttare, per l’elettrificazione, gli enormi giacimenti di litio del deserto di Atacama in Argentina, per le batterie, che sonogran parte del costo dell’auto elettrica.
Non solo. In Europa Stellantis ha appena annunciato l’arrivo di una nuova berlina, la Lancia Ypsilon Cassina Limited edition. Un’auto di alta gamma, che punta tutto sull’esclusività del design italiano, sfruttando lo storico studio torinese Cassina per garantire “confort tipico delle case italiane”. Peccato che a produrla non saranno gli operai torinesi quanto. piuttosto quelli spagnoli di Saragoza.
In Italia qualche modello nuovo da produrre di Alfa-Lancia e Maserati arriverà a Cassino, però non basterà a invertire un trend che somiglia a una sostanziale dismissione. “Il fatto che per queste vetture di alta gamma i volumi di produzione non basteranno a consentire nuove assunzioni e infatti a Cassino si parla comunque di 150 esuberi – dice il segretario Fiom Samuele Lodi -, per volumi più alti e più occupazione bisognerebbe che negli stabilimenti italiani si decidesse di produrre city-car e auto di classe B mentre modelli nuovi come la panda elettrica che va in Serbia o la 500 elettrica che va in Polonia”.
Al convegno sul futuro dell’auto elettrica che sindacati e ambientalisti riuniti nell’Alleanza Clima Lavoro hanno organizzato a Torino a gennaio sulla transizione verso la mobilità elettrica è stato molto discusso il problema dei materiali critici per le batterie, la cui disponibilità accentra in quei luoghi le produzioni, come in Cina o come può essere per il litio in Argentina. “Il problema esiste ma non è l’unico fattore – interloquisce ancora Lodi -, sono necessari impianti di raffinazione così come di riciclo in un ottica di economia circolare, in modo da recuperare parte dell’occupazione che si va a perdere con la diminuzione dei componenti per l’auto elettrica rispetto a quelli per i veicoli con motore endotermico. Serve pertanto una politica industriale, che è esattamente ciò che chiediamo al governo”.
Attualmente il governo Meloni ha invece soltanto pensato a dare 1 miliardo dei 6 previsti nel fondo automotive per garantire gli incentivi all’acquisto dei privati,come erano stati chiesti dall’ad Tavares. “Gli incentivi sicuramente servono – continua Lodi – ma sono solo l’ultimo anello di una catena, vanno vincolati ad un quadro di investimenti sulla transizione ecologica, condizionati al mantenimento dei livelli occupazionali negli stabilimenti italiani e in questa ottica i restanti 5 miliardi del pacchetto sono persino insufficienti”. Il governo Meloni ha convocato, a partire dal 2 aprile vari tavoli sull’automotive, affrontando le problematiche stabilimento per stabilimento. Il venerdì di Pasqua, quindi a distanza di soli due giorni lavorativi, il ministro del Made in Italy Urso ha sconvocato i tavoli, per poi riconvocarli, dopo le proteste dei sindacati – il 2 quello su Melfi – per i quali già era stato un errore convocarli in modo spezzettato, senza un piano e delle condizionalità. E ancor di più con il rinvio il confronto con i sindacati rischia seriamente di arrivare a babbo morto, come si usa dire. La Fiom nazionale ha svolto incontri con tutti i suoi delegati territoriali di stabilimento, prima degli appuntamenti fissati al Mimit. Al termine della consultazione e del confronto con il governo – conclude il segretario generale Fiom – “faremo appello agli altri sindacati metalmeccanici per una mobilitazione generale di tutto il settore automotive”.
Il segretario della Cgil Piemonte Airaudo sostiene che “non ci serve affatto che il governo dica che se ne occuperà. Così come non ci servono le solidarietà bipartisan dal mondo della politica. Ci servono i fatti. Ci serve che il governo faccia sedere al tavolo Tavares, il quale finora da Parigi dove si trova, ha detto tutto e il contrario di tutto”.