Operaio e poi tecnico della Borletti, tra i fondatori dei Cub e di Avanguardia Operaia, passato in Democrazia Proletaria, quindi attivista ambientalista fino al referendum sull’acqua, Emilio ha sempre cercato di capire, studiare, per cercare soluzioni, contro ogni prepotenza sulle cose di tutti.
Alla direzione, o quello che era, del Pdup, detto di Foa, si discuteva nel lontano 1975 o circa, sulle candidature del futuro partito unificato (Pdup, Manifesto, Ao) alle elezioni regionali in Lombardia. Silvano Miniati, segretario del partito, propose Molinari, di un altro partito. “E’ un compagno, sa parlare ai compagni, disse Miniati, e poi è molto bello”. Detto, fatto. Al nostro carissimo Emilio, che se n’è andato sabato, è toccata anche questa. In effetti, se si riguardano le foto di allora, per esempio quella, riprodotta nell’intervista, in cui parla dal palco, è proprio così. Nell’intervista, ricca e bellissima di quattro anni fa di Andrea De Lotto, Emilio racconta con parole sue, la sua storia; è proprio un bel tipo, il nostro amico Emilio e si spiega bene. Tutti lo capiscono e dopo, tutti ne sanno un po’ di più.
Era un operaio milanese; di Borletti, tanto per precisare. Siccome anche la madre era operaia Borletti, l’aristocrazia operaia milanese, il figlio Emilio fu assunto – sui dieci anni – come apprendista. Nel suo racconto/intervista ricorda il primo stipendio, settimanale, a sedici anni, 350 lire l’ora. Era in gamba e furono i compagni – la classe operaia – a volere che diventasse tecnico, a nome di tutti. Emilio racconta che fu un periodo durissimo: da 17 a 22 anni. Così finì al di là del vetro divisorio, non più operaio, ma tra i camici bianchi. Al primo corteo di lotta dei primi anni Sessanta, quelle che piegarono Borletti e gli altri padroni della meccanica, “Col mio camice, mi unii al corteo; non c’ero abituato e fu emozionante. Lì iniziò il mio desiderio di capire di più”.
In quei primi anni Sessanta – continua il racconto di Emilio mediato dall’abile scrittura di Andrea De Lotto – si sentì a fondo il bisogno di organizzazione. Il sindacato tradizionale, meglio Fim di Fiom certamente, non ce la faceva. Era il tempo dei Cub. I Cub erano oltretutto la prova che non era più tempo delle centrali sindacali, quelle che i padroni ormai rimpiangevano. Non era più aria neppure dei partiti tradizionali. Il partito comunista, anni dopo Budapest, non rispondeva più a sufficienza ai crescenti bisogni di libertà, uguaglianza, potere che erano espressione delle lotte che si manifestavano in gran parte del mondo: erano gli anni del Vietnam, di Cuba… Così le lotte operaie e quelle politiche crescevano di pari passo e cercavano risposte chiare. Dai Cub, con i Cub, nasceva un nuovo partito anticapitalista, Avanguardia Operaia. Nella lotta generale per più salario e condizioni migliori, più libertà in fabbrica e fuori, più potere di decidere che fare, come, quando; cosa imparare, i Cub avevano anche contribuito moltissimo alla nascita dei consigli di fabbrica, il sindacato nuovo. Poi occorreva avere più seguito, per guidare i cortei, per difendersi dai “fascisti”. Fu il momento dei servizi d’ordine; un momento breve, fatto anche di chiavi inglesi, di prepotenze ingiuste e di fatti tragici come l’uccisione di un giovane studente, Sergio Ramelli, nel settembre del 1975. I tempi erano rapidissimi, cresceva il partito armato. Come farvi fronte, come contrastarlo, senza cadere negli stessi errori? Il futuro partito unitario (di cui si è parlato all’inizio di questo ricordo di Emilio) si divise e ridivise prima ancora di nascere e anche Avanguardia Operaia, forse lo spezzone più forte, si divise in due: una parte in Democrazia Proletaria e un’altra con il manifesto e verso l’approdo nel vecchio/nuovo Pci. Emilio aderì a DP (Democrazia Proletaria) ma da buon milanese aveva capito che il mondo era vasto e terribile e Milano, capitale d’Italia, era solo un pezzettino. Nacque così un’ambientalista a modo suo, ma nei fatti uno scienziato senza pari, da noi, in Italia. Molinari aveva letto e studiato e capito tutto quello che serviva davvero.
Diversamente da altri, si occupava anche della pratica che aveva imparato ad affrontare da studente lavoratore. Così si dedicò, per molti anni, al tema dell’acqua. Lo studiò per Milano, dove l’unico problema sembrava quello di tirar su l’acqua da sottoterra, senza preoccuparsi di altro, per esempio se non fosse un’acqua piena di additivi chimici. E poi, di chi era l’acqua di Milano, l’acqua di Lombardia, l’acqua d’Italia? Come non sprecare l’acqua, spesso poca, come regolarne l’uso, senza che nessuno rimanesse senza? Senza che nessuno la pagasse troppo? Ma poi, perché pagarla, visto che l’acqua è un bene comune? Così, da un lato si occupava di beni comuni, delle loro regole difficili, dall’altro di capire, con scienza e coscienza, come fanno gli altri. L’acqua come necessità universale, per tutti i viventi, la “sora acqua” come diceva Francesco. Emilio studiava, commentava, si batteva per l’acqua di tutti, cercando di fare in modo che ogni problema fosse compreso e accettato come qualcosa da risolvere collettivamente, con una specie di gigantesco Cub dell’acqua. Si è recato in varie parti del mondo per studiare i diversi casi, aiutarli a capire e a risolvere, contro ogni prepotenza dei padroni di una cosa di tutti. Venne il referendum dell’acqua ed Emilio fu una guida per tutti. Spiegava cosa fare e come farlo, come fare alleanze, spesso controvoglia; l’importante era il risultato e non farselo portar via.
Negli ultimi tempi, negli ultimi anni, la lotta è stata quella di sopravvivere. Emilio era malato di cuore e di tumore; molto malato. Non aveva paura di andarsene ma vi era ancora tanto da fare, da vedere, da cambiare…e soprattutto vi era Tina, la sua compagna per mezzo secolo che aveva lottato, vissuto, sperato, imparato tutto con lui, lo aveva aiutato ogni giorno, ogni ora…e ora era venuto il momento di chiedersi: l’avrò ringraziata abbastanza?