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Dopo il referendum, da dove ripartire

Se il No al referendum, anche per convergenze strumentali, ha messo in sicurezza la Costituzione formale, è stato anche una bocciatura dell’intera classe dirigente politica

La vittoria del NO ha sventato uno dei più insidiosi attacchi alla democrazia del Paese e quanto più si rifletterà, come si dovrà, su tutta la vicenda, tanto più emergerà con evidenza questa verità.

L’inusitata ed inquietante concentrazione di poteri nazionali ed internazionali, le loro spudorate interferenze ( peraltro sollecitate da un Presidente del Consiglio senza dignità ) su una materia come la Costituzione soggetta a consultazione referendaria, nel silenzio delle massime cariche dello Stato, ha certificato, ancora una volta, la ben nota subalternità dello Stato al Big business e la dipendenza estera del Paese.

Un’altra clamorosa e recente prova di dipendenza, subito rimossa, è stata la sentenza della Corte di Strasburgo che ha condannato ben quattro nostri governi, presieduti da Berlusconi, Prodi, Monti e Letta per violazione dei diritti umani ed ostacolo alla giustizia del proprio paese, con l’imposizione del segreto di Stato, per il rapimento (extraordinary rendition) di Abu Omar, chiedendo altresì, la Corte, quali provvedimenti si intendessero prendere per evitare il ripetersi di tali situazioni. Non so se e quale sia stata la risposta, ma l’unica sarebbe un sussulto di dignità nazionale (dovendo escludere altre guerre di indipendenza), e di coraggio per sopportare la verità, a cui fece appello una volta Tina Anselmi..

Una certificazione data dalle numerose imposizioni del segreto di Stato, che, al contrario di quanto previsto dalla legge, sono state verosimilmente effettuate per tutelarne la “dipendenza”. E non è mai inutile ricordare che, dal dopoguerra ad oggi, non si è mai chiarito alcuno dei tanti “segreti di Stato”.

Le numerose cerimonie che si susseguono in memoria delle vittime delle stragi, dei caduti per l’onore e l’indipendenza del Paese, dalle guerre di indipendenza alla Resistenza, alle battaglie civili per la democrazia e contro la criminalità organizzata, avvalorano purtroppo le definizione di “rito” che ne dà la Treccani: “Serie più o meno complessa o stereotipa di atti compiuta in modo ripetitivo allo scopo di ridurre l’angoscia proveniente dal confronto con una realtà inaccettabile da parte del soggetto”.

Un paese e le sue classi dirigenti che mai hanno fatto veramente i conti con la propria storia, antica e recente.

Se il NO ha fortunatamente e fortunosamente, anche per convergenze strumentali, messo in sicurezza la Costituzione formale, il NO è anche una bocciatura di un’intera classe dirigente politica ed intellettuale per aver dimenticato sempre di più il suo programma democratico e sociale. Un NO che è partito più forte dalle zone e dalle classi più disagiate, e cioè dal Sud e dai giovani, i più informati nel merito del “pasticciaccio brutto”. Una considerazione pertinentemente fatta, di recente, da Roberto Saviano.

La vittoria morale del NO è di coloro che lo hanno sostenuto con limpida convinzione, fuori da ogni altro interesse, rifiutando nel merito riforme improponibili sul piano del buon senso e contro il chiaro disegno autoritario ad esso sotteso insieme alla legge elettorale. Disegno, chiarito benissimo da uno dei suoi ispiratori e maggiore sponsor, la J.P. Morgan, che dovrebbe essere, solo per questo, cacciata dal Paese; oltre che per i danni naturalmente correlati a questi enti finanziari, da sciagure mondiali.

E va giustamente ricordata forse la più nobile figura di questo schieramento, Carlo Smuraglia, anziano e giovanissimo presidente dell’ANPI. E proprio per questo praticamente rimosso, a cominciare da un penoso editoriale del direttore di la Repubblica (di lunedì 5/12/ 2016) che menziona solo, nel fronte del NO, considerato ovviamente conservatore, la “rissosa minoranza del PD” ; dimenicando la CGIL, l’ARCI, Libertà e Giustizia e tante altre associazioni, intellettuali ed artisti, a cominciare da quelli che coraggiosamente hanno partecipato allo spettacolo organizzato da Il Fatto Quotidiano e non sospettabili certo di strumentalità ed opportunismo, nel clima allora montante di premiante o vendicante regime,

Ma ancor di più è la vittoria di milioni di cittadini, soprattutto di quelli in gravi difficoltà, che con dignità ed intelligenza hanno rifiutato il terrorismo economico, i pelosi consigli di tutto il mondo, e le mance “laurine” e corruttive del Governo e associati.

Il lungo e drammatico tormentone delle controriforme costituzionale ed elettorale ha avuto almeno un aspetto positivo. Ha fatto chiarezza sui tanti trasformisti, milionari di pretesa sinistra, falsi difensori della democrazia, confusi o troppo furbi filosofi, editorialisti e provetti cuochi al servizio e su quelli che “basta un sì” per un profumato contratto RAI, o per gettare i “ponti” alla Pisapia a prescindere dai disastrati piloni; con colpi di scena sino all’ultimo minuto nella sagra del soccorso al ( creduto ) vincitore e dei “gradisca eccellenza!” ( copy Federico Fellini ).

Dal padronato italiano, uno dei peggiori al mondo salvo rare eccezioni, e dei banchieri alla canna del gas e dai vertici delle tante associazioni laiche e confessionali della società poco civile, è arrivata la consueta conferma. Poco seguite dalla base che evidentemente non si sente rappresentata. Grazie a Bergoglio, questa volta, le gerarchie ecclesiatiche vaticane e italiane, almeno ufficialmente, si sono astenute. D’altronde penso che il processo di laicizzazione degli italiani credenti o meno è ormai molto più avanti delle classi dirigenti, cattoliche e non.

Da questa vicenda sono emersi dunque il meglio e il peggio del Paese: ancora una volta la sua autobiografia. Meglio e peggio, sia chiaro, che sono passati trasversalmente ai due schieramenti perché, anche nel SI, molti sono coloro che hanno scelto per libera convinzione e non per opportunismo, pensando erroneamente che la riforma Napolitano – Verdini – Finocchiaro, risolvesse veramente alcune reali esigenze, ingannati dalla politica del terrorismo, e non cogliendo il disegno politico e di vero strumentale populismo ad essa sotteso.

Ma non è finita.

Una nostra antica tara è la ben nota ricerca dell’ “uomo della provvidenza”, sia questo in orbace, in loden o in maniche di bianca camicia, rimboccate alla giovanilistica post socialdemocrazia; il “servo encomio” nella sua fortuna; e la ricerca del “capro espiatorio”, generalmente lo stesso, in caso di sfortuna. Capro espiatorio, che tutto il male e le sconfitte se le porta via. Come fa la befana per tutte le feste.

Un’operazione già in corso da parte di quelle élite e centri di interesse, nazionali ed internazionali, sempre a stampa e reti unificate, che sino a ieri sostenevano e incitavano Renzi, e che sono, ancor prima di Renzi, i veri sconfitti del NO, insieme, come detto, ad un’intera classe politica ed intellettuale, a cominciare ovviamente dall’intero Governo e della sua maggioranza.

Assisteremo al già visto, e cioè alle grandi manovre della politica politicante delle ricollocazioni e del trasformismo accelerato, oltre che alla demolizione (non difficile) della figura politica di Renzi (che farebbe bene a seguire l’esempio di Cameron), già accusato da Ezio Mauro di “non aver saputo dare un’anima (!) alla riforma” (la Repubblica del 6/12/2016). Doveva forse meglio sondare quella dell’editore del giornale e del suo fondatore, e naturalmente di Giorgio Napolitano, sempre pronti all’oracolo domenicale e al sacro monito.

Vedremo dunque un nuovo Governo con il programma (più o meno esplicito) di arrivare a i 4 anni sei mesi e un giorno della legislatura e alla presa con i difficilissimi problemi e le macerie lasciate da Renzi, che pare voglia insistere; oltre che con i conti da fare con l’Europa che si appresta a stringere di nuovo il cappio dopo averlo un po’ allentato per agevolare il pupillo di Shauble e di Blair e, last and least, Romano Prodi.

Ma, come nella favola di Cenerentola, l’incantesimo è finito alla mezzanotte del 4 dicembre. E il cocchio d’oro è tornato una misera zucca.

Ma con quali programmi? Hanno capito che la richiesta popolare è per un radicale “controverso” ? Niente bufale e mance elettorali. Intanto l’ ISTAT ci ricorda che una persona su 4 è a rischio di povertà, e con gravissime differenze territoriali.

Da più parti si denuncia con allarme la situazione del sistema bancario che è diventata irresponsabilmente, grazie a Renzi e al suo Governo, materia di battaglia strumentale anche in occasione del referendum, con ricatti ai risparmiatori e persino ai dipendenti. Visto che non si conosce nemmeno la vera situazione, nell’inerzia delle autorità di garanzia e controllo, un Governo e un Parlamento responsabili aprirebbero immediatamente un’inchiesta con ispezioni a tappeto sul sistema a cominciare dalle più grandi, con gli interventi conseguenti, a partire dalle regole di governance, anziché lasciarle alle manovre opache, a dir poco, dei banchieri nostrani e della finanza internazionale pronti a sottarre altri pezzi dell’Italia a prezzi stracciati. L’art 47 della Costituzione lo permette, anzi lo rende obbligatorio (“La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese” ). E quando mai?

E che dire della stampa e dei media mai così sdraiati sul potere (del SI) che d’altra parte li possiede? A quando un minimo di riforma decente in tale settore, compresa la RAI, peraltro decisivo per l’esercizio informato e critico del voto?

E non si farà la riforma più urgente e fondamentale e cioè quella dei partiti.

Uno Stato, in cui i partiti svolgono un ruolo fondamentale, per le liste elettorali e i programmi, è a rischio se questi sono ormai in stato confusionale e senza regole affidabili in termini di democrazia e trasparenza, a cominciare dai finanziamenti.

Il centro destra è stato sempre un partito padronale, mai un congresso, ed oggi è quanto mai diviso e con un leader in fase di progressivo indebolimento. Il Movimento 5 Stelle sembra nemmeno in grado di autogovernarsi, con un “garante” non eletto e non eleggibile e non si sa se ancora a metà tempo come comico e un gestore della piattaforma informatica non si sa bene con quale ruolo. Ci sarebbe un “non statuto ” pure contestato, manca un gruppo dirigente eletto ed un programma.

Il PD è l’unico partito che abbia uno statuto, ma da tempo è diventato un partito dell’uomo solo al vertice e, a livello locale, ricettacolo anche del peggio, con un programma dettato per buona parte dal padronato. E’ ormai un partito senz’anima. Non perché non sia riuscita la fusione tra le due anime di origine, ma perché le due anime si erano perdute già da tempo. Sia la cristiana, sia la socialista , senza aver mai acquisita quella liberale e laica. Valori, non a caso, che sono quelli della disattesa Costituzione.

Dalla riconquista di quei valori si dovrebbe ripartire. Ma chi porrà mente e mano ad essi?

Un aiuto, non una sostituzione ai partiti, può e deve venire dai tanti che hanno sostenuto, con limpida convinzione e non per strumentalità e interesse il NO. Si ascolti lo splendido intervento della giovane Anna Falcone del Comitato per il NO allo spettacolo del Il Fatto Q. Ma anche da parte dei molti che, con altrettanta limpidezza e disinteresse, si sono battuti per il SI.

Una road map democratica e di buon senso per chiamare ad un voto consapevole i cittadini dovrebbe essere quella di una legge rigorosa sui partiti, chiedere loro un congresso perché si sappia chi veramente li rappresenti e su quali programmi e una legge elettorale che responsabilizzi l’eletto soprattutto nei confronti dell’elettore. Con partiti senza tensione ed omogeneità ideale e con poca democrazia interna, introducendo il vincolo di mandato e rispondere solo al partito significa rispondere solo al capo.

Un grande fisico e un grande uomo, per la strenua battaglia che conduce da anni la sua mente eccezionale contro lo sfacelo del propro corpo, alla luce del disagio e della rivolta montante di tanta parte dei popoli occidentali, fa un atto di umiltà riconoscendo di non aver capito, e invita a fare altrettanto le élite. Comprendere le trasformazioni del mondo con le sue iniquità e le altre culture e soprattutto che la conoscenza globale di tali ingiustizie comporta l’inevitabile e legittimo rifiuto. Che non è populismo, ma rischia di essere strumentalizzato dai populisti, se non viene fatta giustizia da chi dovrebbe (S. Hawking, Le élite imparino l’umiltà o trionferà il populismo, la Repubblica del 7/12/2016) .

Eppure non sono mancati in Italia, ancorché isolati e dimenticati, intellettuali che avvertirono in tempo la deriva e la tragedia intellettuale e sociale del paradigma economico dominante (economics), logicamente inconsistente e storicamente falsificato più volte dalla storia, maschera pretesamente scientifica del potere economico che sta inquinando lo Stato di diritto, come Caffè, Vicarelli, Sylos Labini, Leon, De Cecco e Gallino con il suo La lotta di classe dopo la lotta di classe (Laterza, Roma-Bari, 2012). Per rimanere in Italia basti ricordare il risultato del SI nei centri benestanti di Milano e Roma, rispetto al No delle periferie e del resto del Paese.

Altra cosa è l’economia civile, quella della Costituzione, che accompagna storicamente la società nell’avanzamento civile, allargandone gli spazi di libertà con il superamento delle ristrettezze e condizionamenti fisici; valorizzando il lavoro e la conoscenza dell’ uomo, vera ed unica fonte, diretta ed indiretta, della ricchezza, come già affermato da A. Smith e ripreso analiticamente da L. L. Pasinetti.

Economia e sviluppo civile che richiedono il rfiuto dello scambio tra equità ed efficienza sul piano economico e quello tra democrazia ed efficienza sul piano politico, secondo l’insegnamento di Caffè, Calogero, Calamandrei; la sola via che è veramente liberale perché veramente sociale, dimostratesi pericolose ed illusorie le secondo o le terze.

Quel richiamo all’umiltà vale per tutti e anche per noi. Vale per la politica, gli intellettuali e non meno per il sindacato, il quale dovrebbe meditare sulle parole di uno dei padri costituenti quando, ad una assemblea di lavoratori, subito dopo l’approvazione della Costituzione, diceva:

“Le norme scritte nella Costituzione rimarranno sulla Carta, non si relizzeranno automaticamente se i lavoratori stessi non agiranno, non veglieranno affinché gli organi dello Stato le volgano in nuove leggi e l’Amministrazione pubblica non eseguisca ciò che queste leggi disporranno. Se, cioè, i lavoratori non opereranno per permeare tutta la vita politica del nostro Paese dello spirito nuovo e trasformatore che ha dettato le formule costituzionali, pur nella loro edizione ancora troppo spesso timida ed incerta” (in Dalla Monarchia alla Repubblica, 1943-1946. La nascita della Costituzione italiana, a cura di E. Santarelli, Editori Riuniti, Roma 2007, pp. 224-225).

Una Costituzione che estende i diritti universali e di dignità dell’uomo e dei lavoratori ben oltre i confini nazionali e in un mondo pacificato anche perché più giusto.