Top menu

DL Spazio, l’Italia all’ombra di Starlink

DL Spazio: l’Italia rischia di consegnare le comunicazioni strategiche a Starlink di Elon Musk svendendo sovranità e sicurezza. Tra privatizzazione selvaggia, interessi USA e debolezza europea, lo spazio extraterrestre come campo di battaglia tra un capitalismo oligarchico e beni comuni.

Con la giustificazione data dalla necessità di definire un quadro normativo adeguato alle crescenti necessità della space economy, all’inizio dello scorso aprile è stato approvato alla Camera il DL Spazio, testo legislativo avente quale scopo dichiarato quello di “sostenere lo sviluppo, la crescita e l’innovazione tecnologica dell’industria spaziale italiana e della ricerca scientifica nonché del connesso rafforzamento della cooperazione internazionale, dello sviluppo di costellazioni di satelliti in orbita bassa e bassa latenza funzionali alla tutela degli interessi nazionali in materia di sicurezza, difesa e politica estera“. Già prima della sua discussione parlamentare, il testo diffuso ha  provocato numerose polemiche, messe in relazione ad un disegno di legge che, anche nelle premesse sopra riportate, si manifesta come figlio di un attento lavoro di adattamento alle necessità di Elon Musk e della sua Starlink, sistema infrastrutturale di rete funzionante con migliaia satelliti in orbita. Una “cucitura del testo” sulle specifiche necessità dell’uomo più ricco del mondo, ora anche uomo di punta dello staff di Trump, sul quale più volte Sergio Mattarella è intervenuto per indicare la necessità di limitarne ruolo ed ambizioni. 

Questo articolo ha lo scopo di aiutare a comprendere come l’economia dello spazio costituisca uno dei punti nodali nella attuale fase di tensione nello sviluppo capitalistico. In tale quadro, ben innervato dalle aspirazioni della tecnodestra al potere in America, viene infatti ad inserirsi l’italiano DL Spazio, con le giuste critiche manifestate da più parti alle sue motivazioni esplicite, ma anche con una minore consapevolezza critica verso il disegno di fondo che il DL asseconda: un disegno che con molto meno clamore sta andando avanti da anni. Un disegno che andrà necessariamente contrastato per poter attuare un recupero dei valori democratici delle nostre società.

L’economia dello spazio e la sua genesi

Lo spazio extraterrestre è andato sempre più imponendosi come terreno di sviluppo di servizi e di attività economiche private, anche se fino a pochi anni fa era percepito come terreno di pressoché esclusivo dominio degli Stati nazionali in funzione delle loro necessità strategiche civili e  militari, a partire dai primi satelliti per telecomunicazioni private e commerciali messi in orbita negli anni ’60. Così il Trattato sullo Spazio Extra atmosferico del 1967 lo definiva  “Patrimonio comune dell’Umanità” , mentre già negli anni ‘80 – con il Commercial Space Launch Act del 1984 – l’Amministrazione USA dava formale consenso all’avvio di lanci spaziali privati. E’ nel decennio tra il ’90 e il 2000 che avviene l’apertura all’utilizzo civile dei dati GPS (di qui aziende come Garmin o Trimble), un passaggio epocale. E il primo volo spaziale privato è del 2004, da cui si dà origine al cosiddetto “turismo spaziale” con la nascita di aziende come  Virgin GalacticBlue Origin. Ma il vero giro di boa è l’arrivo del Falcon 9 di SpaceX, il primo vettore spaziale, sviluppato tra il 2010 e il 2015: con il suo sviluppo ha posto le basi per altre start-up quali Rocket Lab, Astra, Relativity Space. L’approvazione statunitense del Commercial  Space Launch Competitiveness Act del 2015 dà quindi il via allo sfruttamento estrattivistico privato di risorse minerarie extraterrestri, omettendo del tutto il rispetto del trattato del 1967 e abilitando la nascita di aziende come Planetary Resources o Deep Space Industries. Segue il lancio dei primi 60 satelliti operativi in bassa orbita di Starlink, nel 2019. Oggi la rete satellitare di Elon Musk, avviata per le comunicazioni Internet su scala globale, ha raggiunto i 5.500 satelliti in orbita bassa.

Il termine space economy comprende l’insieme di queste attività, risorse e servizi legati all’esplorazione, all’utilizzo e alla gestione dello spazio extra-atmosferico. Il termine include pertanto le infrastrutture spaziali e i servizi basati sull’utilizzo dello spazio, compreso lo sviluppo extraterrestre di tecnologie abilitanti per attività terrestri, per successivi utilizzi in diversi settori dello sviluppo industriale. Le attività di tipo civile si affiancano e potenziano quelle tradizionalmente esistenti e una volta predominanti attività in ambito militare. Includono dunque sicurezza, difesa e intelligence (i satelliti-spia possono arrivare ad avere risoluzione spaziale di pochi centimetri), così come comunicazioni sicure e sorveglianza satellitare, anche a scopo anti-missile. Recente è lo sviluppo di tecnologie satellitari autonome basate sulla Intelligenza artificiale e di droni spaziali. Il cosiddetto dual use, con attività che possono essere fruttuosamente applicate sia in ambito civile che militare, domina il settore. Complessivamente le attività della space economy hanno un volume economico stimato pari a 630 miliardi di dollari per il 2023, ma il potenziale di sviluppo è valutato in una cifra triplicata, a circa 1.800 miliardi di dollari al 2035. Per una visione generale dell’insieme delle applicazioni legate all’economia dello spazio vedere la Tabella I.

Il Disegno di legge Spazio

Il Disegno di Legge (DL) Spazio italiano disciplina l’accesso allo spazio extra-atmosferico da parte di operatori privati e pubblici, allo scopo di promuovere investimenti nell’economia spaziale, la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico. Il testo stabilisce regole per l’autorizzazione delle attività spaziali, la sicurezza, la sostenibilità e la responsabilità civile. Con lo scopo di bilanciare innovazione, sicurezza e sviluppo economico, prevede autorizzazioni obbligatorie per gli operatori, requisiti su inquinamento luminoso, detriti, cyber-rischi e sostenibilità, un registro nazionale per i satelliti con i dati orbitali, regole per la responsabilità civile e assicurazioni, controlli ai fini della sicurezza nazionale per revoche e autorizzazioni, fondi per partenariati pubblico-privato e agevolazioni per le PMI. Sono previste specifiche esclusioni riguardanti difesa e intelligence. Così come riportato, il riassunto della parte normativa non fa emergere particolari elementi di criticità verso specifici operatori. E’ all’interno del testo approvato, tuttavia, che brillano alcune indicazioni facilmente interpretabili come “cucite addosso” per favorire Starlink, la costellazione satellitare di Elon Musk. Partendo dalla Possibilità di riconoscimento italiano di autorizzazioni estere già operative, ad esempio quelle della Federal Aviation Administration statunitense) presente nell’articolo 4, si arriva all’articolo 25 che regola la riserva di capacità di trasmissione/ricezione dati a livello nazionale. Testualmente è prevista la costituzione di una riserva di capacità trasmissiva nazionale attraverso comunicazioni satellitari, utilizzando (…) sia satelliti sia costellazioni in  orbita  geostazionaria, media e bassa, gestiti esclusivamente da soggetti appartenenti all’Unione europea o all’Alleanza atlantica (grassetto a cura dello scrivente). E’ qui che il decreto, giustificato per agevolare le attività dell’economia dello spazio in Italia, Paese fondatore e membro dell’Unione Europea, si espande politicamente verso un’alleanza militare, con scopi poco comprensibili se non valutati attraverso una lente che guardi alle attività di Elon Musk, ovvero alla rete Starlink operativa negli Stati Uniti con autorizzazioni americane. A seguire nel testo si legge che tale riserva di capacità  trasmissiva nazionale attraverso comunicazioni satellitari è finalizzata a garantire, in situazioni critiche o di indisponibilità delle principali dorsali di interconnessione delle reti terrestri, un  instradamento alternativo e con velocità di trasmissione adeguata alle comunicazioni  tra nodi di rete strategici per applicazioni di natura governativa o di interesse nazionale, ivi  comprese le  funzionalità e le comunicazioni del cloud nazionale. E’ qui che, senza batter ciglio, all’operatore di cui sopra, verrebbero consegnate le comunicazioni strategiche nonché i dati già presenti nel cloud italiano.

A livello parlamentare l’intervento delle opposizioni, che chiedeva l’eliminazione dei soggetti non dell’Unione Europea tra i soggetti titolati a gestire la riserva nazionale di capacità di trasmissione, si è andato ad infrangere contro la volontà del governo, che ha fatto passare il testo in maniera pressoché inalterata con 113 voti favorevoli e 89 contrari. Successivamente al primo passaggio alla Camera, e contrariamente al carattere di urgenza dichiarato del disegno di legge, si è osservato un netto rallentamento dell’iter parlamentare, come evidenziato dal tuttora mancato approdo del disegno di legge alla discussione in Senato. Certamente hanno pesato gli interventi Mattarella, quali quello all’Università di Aix-Marseille e all’Accademia dell’Aeronautica Militare. Nel suo discorso all’università francese Mattarella parlava dei “neo-feudatari del Terzo millennio – novelli corsari a cui attribuire patenti – che aspirano a vedersi affidare signorie nella dimensione pubblica, per gestire parti dei beni comuni rappresentati dal cyberspazio nonché dallo spazio extra-atmosferico, quasi usurpatori delle sovranità democratiche”, mentre all’Accademia sottolineava come “la competizione, piuttosto caotica per la verità, tra potenze, per il dominio del mondo, l’inatteso ritorno del conflitto convenzionale in Europa, le nuove minacce ibride, dalla guerra cibernetica all’uso strategico dello spazio, stanno alterando il contesto di regole faticosamente costruito dalla comunità internazionale dopo la Seconda Guerra mondiale”. Tra le motivazioni inespresse del rallentamento nella procedura di approvazione definitiva del Dl Spazio è quasi certamente da aggiungere la contrarietà a Starlink esibita su scala europea, data la decisione della Commissione di dotarsi di un proprio sistema satellitare: IRIS2, costellazione frutto di una partnership pubblico-privato che una volta implementata agirebbe in concorrenza diretta con Starlink. Nei fatti, attualmente la presidente del Consiglio Giorgia Meloni appare muoversi con maggior cautela rispetto a quanto esibiva alcuni mesi fa, con una cautela peraltro connessa e speculare alla vicinanza del vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini alle ragioni di Musk. Si deve sottolineare che, sebbene su scala globale il valore economico dell’accordo tra Musk e il governo italiano – pari 1,5 MLD$ – non sarebbe tale da cambiare le sorti dell’uomo più ricco del mondo, un eventuale via libera alla rete Starlink farebbe dell’Italia la via di ingresso per l’Europa, con un forte indebolimento della concorrenza  e l’avvio di un potenziale giro di affari complessivo ben più rilevante di quello attualmente in ballo. 

La possibilità di superare le infinite difficoltà che da tempo affliggono gli operatori italiani TIM e Openfiber nella connessione Internet delle aree marginali, come previsto da PNRR, è finora servita a giustificare l’implementazione della connessione a Starlink, balzata in evidenza come possibilità di affidare le comunicazioni, anche quelle strategiche, ad un soggetto privato quale Elon Musk, seppure lontano dai reali interessi nazionali, specie in un momento storico come l’attuale, che vede la potenziale rottura di equilibri consolidati negli ultimi 80 anni.

E’ pur vero che oggi nello spazio si gioca una partita ben più ampia di quella della connettività Internet nelle aree interne e comunque ancora non coperte dalla fibra ottica. 

Solamente Starlink?

I satelliti hanno da tempo smesso di essere strumenti riservati alle mere esigenze geostrategiche dei governi, diventando parte integrante della nostra realtà quotidiana. I satelliti infatti oggi offrono connettività per lo streaming in alta definizione, supportano la gestione delle emergenze, permettono la mappatura on demand delle strade e dei percorsi, mentre sul fronte della sicurezza e delle attività militari lo sviluppo poderoso delle tecnologie rende i sistemi satellitari strumento geostrategico fondamentale per il controllo dell’intero pianeta. L’orbita terrestre è uno dei teatri strategici dove si gioca buona parte del futuro dell’economia e della geopolitica. 

Dal punto di vista delle tecnologie la novità essenziale rispetto a pochi anni fa è data dalle numerosa presenza dei satelliti in orbita LEO (Low Earth Orbit), cioè “costellazioni” artificiali operanti ad una distanza dalla terra compresa tra 160 e 2.000 Km. Sebbene Starlink non sia stata la prima costellazione LEO operativa (preceduta temporalmente da altri operatori, quali ad esempio Iridium per la telefonia satellitare), la rete di Musk è stata la prima a raggiungere le attuali enormi dimensioni numeriche per satelliti operativi, circa 5.500 attivi ad una orbita di circa 550 Km di distanza dalla Terra. La bassa orbita permette di fornire connettività a bassa latenza (il tempo intercorrente tra la formulazione della richiesta e la risposta del sistema) su scala globale con velocità dichiarate come paragonabili a quelle della fibra ottica (anche se su tale equivalenza sono presenti dubbi). SpaceX, azienda anch’essa di Elon Musk, con i suoi vettori riutilizzabili mette in orbita i satelliti con lanci frequenti, resi economici attraverso l’utilizzo di vettori Falcon 9 sviluppatii dalla stessa azienda e in grado di essere riutilizzabili. Attualmente Starlink ha già approvati dalla FCC (Federal Communications Commission) altri 7.500 satelliti LEO a circa 350 Km di altezza, per arrivare a un totale di 12.000 satelliti entro il 2027. A più lungo termine è prevista una costellazione addirittura di 42.000 satelliti in totale.

Le attività svolte da Starlink comprendono sia il piano civile che quello militare. Nel primo settore – che possiamo definire “internet globale” – riesce a garantire una copertura anche delle aree non coperte con altri mezzi, a servire alla navigazione aerea e marittima, alla risposta ai disastri, a implementare l’internet delle cose, attività che comprende anche la guida autonoma delle vetture e l’agricoltura di precisione. Riguardo alle attività militari è nota l’esistenza di Starshield, versione militarizzata di Starlink, rete sotto contratto con il Pentagono per comunicazioni criptate, da utilizzare per droni, missili e sorveglianza in remoto. Si deve tener conto anche è dell’utilizzo di Starlink nella guerra in Ucraina ed è verosimile, anche se non provato pubblicamente, l’utilizzo della costellazione per supportare operazioni di intelligence e spionaggio, anche attraverso l’utilizzo della rete normalmente utilizzata a scopi civili. 

Per confronto numerico, la costellazione Iridium, la prima ad esser lanciata e ancora non operativa, ha al suo attivo solo 66 satelliti.

All’atto del passaggio parlamentare del DL Spazio è stato da più parti evocato l’utilizzo di Eutelsat quale possibile alternativa europea a Starlink. L’azienda Eutelsat nasce pubblica con proprietà italo-francese, ma nel 2001, in piena ubriacatura liberista, il gruppo viene messo sul mercato e lasciato in balia di investitori speculativi. Oggi la denominazione Eutelsat fa riferimento a Eutelsat Group, società nata dall’acquisizione da parte della francese Eutelsat Communications, con 39 satelliti in orbita geostazionaria (GEO, ad una distanza dalla terra maggiore di 35000 Km), di Oneweb, azienda che possiede una costellazione di circa 600 satelliti LEO in orbita bassa. La stampa ha indicato come europea Eutelsat, ma la proprietà del gruppo vede, oltre a fondi di investimento francesi, anche fondi inglesi ed extraeuropei (tra i quali BlackRock, Vanguard, Softbank). Si tratta di una società a tutti gli effetti privata e da un punto di vista istituzionale l’utilizzo di Eutelsat non appare porre problemi molto diversi da quelli potenzialmente posti da Starlink.

Come alternativa alla costellazione di Musk – e probabile altro fattore alla base della cautela mostrata dalla presidente del Consiglio, perennemente in bilico tra USA ed Europa – appare poi IRIS2, progetto geostrategico europeo con il non secondario problema di non avere a tutt’oggi alcun satellite in orbita. L’acronomio IRIS² sta per Infrastructure for Resilience, Interconnectivity and Security by Satellite, e prevede il lancio di 290 satelliti in orbita bassa e media. La prima fase di dispiegamento dovrebbe iniziare a partire da quest’anno per concludersi al 2027, con il raggiungimento di una piena operatività entro il 2030. Nel dicembre 2024 SpaceRISE, il consorzio composto da Eutelsat, Hispasat e SES, ha firmato l’accordo con la Commissione europea e l’Agenzia Spaziale Europea per progettare, fornire infrastrutture e gestire IRIS² per un periodo di 12 anni. In base all’accordo con SpaceRISE, il progetto sarà sostenuto da 6,5 miliardi di euro di fondi pubblici, che rappresentano quasi il 60% dei costi totali del progetto, compresi i finanziamenti della Commissione europea, degli Stati membri dell’UE e dell’Agenzia Spaziale Europea. Vanno infine aggiunte altre iniziative, che appaiono anche queste assumere caratteristiche di urgenza, date le posizioni attualmente espresse  dall’amministrazione USA. Tra queste quella di Leonardo, che avrebbe in corso colloqui con Thales (partner di Thales Alenia Space e Telespazio) e Airbus Defence and Space allo scopo di creare una sorta di alleanza spaziale europea.

In Tabella II è riportato un confronto tra i diversi sistemi satellitari esistenti e concorrenti.

Ammessa una certa dose di candore nell’idea originale dell’affidamento a Starlink del sistema delle comunicazioni italiano, il quadro descritto mostra come in quell’idea fosse presente quantomeno una forte sottovalutazione delle sue implicazioni economiche e non solo. Lo spazio è diventato un sistema strategico complesso con molti attori e interessi in campo, anche in contrasto, in un quadro generale che vede l’emergere di conflittualità inaspettate fino a pochissimo tempo fa. Conflittualità di cui Musk è parte integrante. 

La privatizzazione dei vettori e dello spazio

Nell’analisi delle possibili costellazioni alternative da mandare in orbita manca spesso all’evidenza uno dei tasselli più importanti, costituito dai vettori con cui lanciare i satelliti. La politica di liberalizzazione statunitense, già attiva ai tempi di Obama, ha permesso a  Starlink di Musk di ottenere un vantaggio tecnologico rilevante nei vettori, ben evidenziato anche dalla loro riutilizzabilità. Sono i vettori che hanno dato a Musk il predominio assoluto nelle costellazioni a bassa orbita. La sua SpaceX, a partire da contratti con la NASA e nonostante la presenza di concorrenti importanti quali la Boeing, ha saputo sviluppare vettori spaziali riutilizzabili con bassi costi di lancio, con i quali i satelliti possono essere mandati nello spazio a gruppi di 60 alla volta. L’attività della SpaceX si inserisce in un processo di privatizzazione dello spazio per il quale si può individuare come atto di avvio il Commercial Space Launch Act del 1984. Con questa legge venne dato il via a lanci privati, e diverse aziende iniziarono a collaborare con la NASA attraverso la fornitura di vettori. La svolta nei lanci si ha nel 2006 con il programma Commercial Orbital Transportation Services, nel quale la NASA finanziò aziende private per rifornire la Stazione Spaziale Internazionale. I contratti furono vinti da SpaceX e Orbital Sciences .  E’ a partire da allora che SpaceX concentrò la sua attività di sviluppo dei vettori riutilizzabili. Quando nel 2001 lo Space Shuttle fu ritirato, la NASA affidò i rifornimenti della Stazione Spaziale a privati, accelerando lo sviluppo del settore spaziale privato. Nel 2014 con il Commercial Crew Program la NASA selezionò SpaceX (con Crew Dragon) e Boeing (con Starliner) per il trasporto di astronauti. Così nel 2020 la Crew Dragon di Elon Musk compie il primo volo umano verso la Stazione Spaziale. Nel frattempo prendono avvio  nel mercato i voli di altri competitori, quali Blue Origin, Rocket Lab e Virgin Orbit.  E’ del giugno 2024 il volo della Starliner di Boieng che ha portato verso la stazione spaziale Butch Wilmore e Suni Williams, astronauti NASA rimasti a bordo per mesi a causa di problemi emersi sul vettore Boeing. Lo scorso marzo, quasi a sottolineare la superiorità tecnologica della navicella di Musk, gli astronauti sono stati finalmente recuperati dalla Stazione Spaziale e portati a terra proprio dalla Crew Dragon di SpaceX.

In ambito europeo, è da poco operativo Ariane 6, vettore non riutilizzabile il cui primo lancio è avvenuto nel 2024. Di questo vettore sono in via di sviluppo due derivazioni con diverse capacità di carico verso orbite LEO e GEO, mentre il vettore VegaC – italiano, sviluppato da Avio per ESA – è utilizzabile per piccole capacità di carico in orbita LEO, con motore riutilizzabile. Ai vettori europei si affiancano i Soyuz-2 e Angara 5, russi, a cui vanno aggiunti i vettori cinesi Long March 5, Long March 7 e 8, con versioni parzialmente riutilizzabili. Sia i vettori europei, che quelli russi e cinesi, sono a prevalente o totale controllo pubblico. In Cina sono però anche operativi vettori di start-up private. 

Per quanto riguarda l’Europa, e quindi l’Italia, siamo al paradosso che seppure avessimo pronti un numero sufficiente di satelliti per costruire una costellazione LEO, le condizioni geopolitiche e tecnologiche obbligherebbero a effettuare i lanci proprio attraverso la  SpaceX di Elon Musk (essendo inaccessibile la Soyuz per la guerra russa in Ucraina). Tutto ciò non basta a definire lo stato delle cose.

C’è poi il problema del potenziale intasamento di banda nelle frequenze di comunicazione tra i satelliti in orbita e la Terra, una questione destinata a farsi via via più centrale man mano che l’affollamento dello spazio nella fascia 500-2.000 km diventerà di maggior rilievo. Infine, ma altrettanto importante per quanto riguarda la navigazione satellitare, l’addensamento di oggetti in orbita cui andremo ad assistere, creerà rischi di incidenti, con produzione di rottami che si andranno ad aggiungere ai rifiuti fisiologicamente prodotti dall’obsolescenza accelerata dei satelliti LEO, che operano in presenza di atmosfera residua.

La situazione che si configura è qualcosa che va oltre la questione dei satelliti. Nello spazio si sta verificando una appropriazione di un bene comune che, a partire dagli atti formali statunitensi del 1984 e del 2015, soffoca e uccide il precedente (e mai formalmente decaduto) trattato sullo Spazio Extra atmosferico del 1967, nel quale lo spazio e i corpi extraterrestri sono stati definiti come patrimonio comune per tutta l’umanità e secondo il quale le attività spaziali dovrebbero avvenire nel quadro di un beneficio di tutta l’umanità medesima. Allo stato dei fatti invece sono coinvolte un pugno di aziende, prevalentemente americane, con in testa la SpaceX di Elon Musk, e questo oligopolio si avvia a mettere il sigillo ad una gestione capitalistica dello spazio extraterrestre, con atti che ben ricordano l’espropriazione delle terre comuni in Inghilterra durante la fase nascente del capitalismo e che si avviano, almeno nelle idee di Musk e dei suoi emuli, a ripetere verso le terre di altri pianeti le ingloriose imprese dell’espansione coloniale. Si deve aggiungere, per avere un quadro d’insieme, lo stato proprietario delle reti terrestri, a ben vedere anch’esse in mano ad un pugno di privati, gli stessi che governano, anche insieme a Musk, le tecnologie digitali di cui siamo pervasi. Un pugno di giganti tecnologici avrà in mano le reti del mondo. E’ questo il futuro che vogliamo?

In questo quadro quasi-monopolistico di appropriazione dello spazio satellitare in orbita bassa dovrebbe essere ben chiaro a tutti che consegnare all’oligarca Elon Musk una parte significativa della rete di comunicazione nazionale è un atto di vendita di una parte della sovranità del Paese a un soggetto con interessi esteri e fini diversi. Perdita di sovranità  assolutamente non giustificabile con l’incapacità di TIM ed Openfiber di portare a compimento le azioni di connettività terrestre previste dal PNRR . Al contrario, seppure in affanno, rimane assolutamente necessaria una ripresa di autonomia dell’Unione Europea, che metta in grado sé stessa e l’Italia, che pure ha carte tecnologiche da giocare, nel costruire una comune infrastruttura a controllo pubblico, tale che possa rispondere in maniera opportuna alle esigenze di comunicazione in condizioni di scarsa connettività terrestre che dovessero venire a verificarsi. E sarebbe bene che TIM ed Openfiber si mettessero in grado di chiudere positivamente le pure necessarie operatività mancanti per la piena connessione terrestre nazionale.

Una proposta in conclusione: lo spazio come bene comune

Aggirato e sottoposto negli anni ai colpi delle amministrazione americane, democratiche e repubblicane, il Trattato sullo Spazio Extra-Atmosferico  firmato nel 1967 da USA e URSS e ratificato da 110 nazioni è ancora formalmente operativo. Il testo, nel definire lo spazio come patrimonio comune dell’umanità, impedisce qualsiasi appropriazione nazionale o privata di corpi celesti e ne impone l’uso pacifico e a beneficio di tutti i popoli. Si tratta di  un documento molto importante, ma figlio di un tempo in cui lo spazio era esclusivo appannaggio di poche entità statali. Ciò rende non chiara l’applicabilità di alcune regole alle società private. Chiunque abbia un piano per atterrare sulla Luna o su Marte, e qui ancora Elon Musk, si imbatterà nel Trattato sullo Spazio Extra-Atmosferico, ma avrà soldi e potere in grado vincere contro un vecchio documento diventato inevitabilmente pieno di scappatoie. 

Negli Stati Uniti il senatore repubblicano non trumpiano Ted Cruz ha già chiesto che vengano apportate modifiche al trattato e, data la crescente quantità di denaro che le aziende spaziali private spendono per l’attività di lobbying, nel futuro prossimo numerose saranno le azioni di questo tipo. È imperativo quindi attualizzare il trattato rivitalizzandolo. In questo tempo di cambiamenti accellerati la sua rivitalizzazione appare uno dei compiti di primaria importanza per una comunità europea che voglia mantenere un proprio ruolo nelle attività spaziali, evitando di subire passivamente (come troppo spesso accade) scelte non proprie. Una Iniziativa Europea per lo Spazio potrebbe riguardare la riforma globale del diritto spaziale, con la costruzione di una Agenzia Spaziale Globale, sotto la guida dell’ONU e con poteri di regolamentazione e controllo; una tassazione delle attività spaziali private con cui finanziare un Fondo per lo sviluppo tecnologico dei Paesi più poveri; l’assoluto divieto di proprietà (da parte di nazioni o privati) dei corpi celesti e la promozione di attività scientifiche spaziali orientate secondo priorità pubbliche. Parallelamente a questa iniziativa è imperativo avviare una azione per limitare i monopoli delle Big tech nello spazio. Prendendo ad esempio l’americano Public Utility Holding Company Act del 1935, è doveroso rompere i monopoli che le Big tech stanno costruendo nello spazio e nelle comunicazioni. Non si parla solo SpaceX, che domina il mercato dei lanci e dei satelliti LEO, ma anche di Amazon, Google, Microsoft e di altri che affiancano alle infrastrutture terrestri gli investimenti in infrastrutture spaziali. Si tratta di un sistema oligopolistico di controllo dei dati e delle comunicazioni, in grado di  bloccare l’accesso a Paesi e imprese meno gigantesche. Molti Paesi, tra cui ora anche il nostro, hanno già dato le chiavi dell’amministrazione pubblica in mano a questi oligopolisti. A partire dai sistemi di comunicazione spaziali vanno invece separati infrastrutture e servizi, impedendo ad un’unica azienda di controllare l’intera catena tecnologica, quale razzi, satelliti e dati, siano essi di Musk o di altri.

Apparentemente il quadro tratteggiato può sembrare costruito da uno sguardo troppo proiettato nel futuro, una realtà da cui facilmente ci si può sentire estranei. Ma è proprio questo il momento giusto per tentare di evitare che nello spazio accada quello che è già accaduto sulla Terra, cioè una nuova predazione coloniale dei luoghi e una espropriazione esistenziale dei diritti dell’umanità.

Per provare a costruire un futuro che non sia un nuovo medioevo oligarchico.