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Da Alitalia alla logistica, il volano della crescita

Il piano “Italia Veloce” da 200 miliardi è un buon inizio, così come i primi 3 miliardi per la nuova Alitalia. Ma per i sindacati il perno di un settore strategico per la ripresa come quello della mobilità, dal turismo alla logistica ai porti, è il contratto.

Se prima della pandemia qualcuno pensava di poter avanzare dubbi, il Covid-19 ha reso inequivocabile che l’interconnessione è il fattore principale della mobilità delle merci e delle persone, che, a sua volta, è il volano dello sviluppo e della crescita economica e sociale dei territori di ogni dove.  

Velocità, efficienza e affidabilità delle reti e delle connessioni infrastrutturali dei trasporti cambiano irreversibilmente le abitudini di vita e di consumo delle persone, accelerano la globalizzazione delle materie prime e modificano i sistemi manufatturieri di approvvigionamento, produzione ed esportazione. 

Ma la condizione di partenza di tutto ciò è che strade, porti, ferrovie ed aeroporti siano facilmente accessibili sia in termini fisici che di procedure. Questo in Italia è ben compreso da milioni di utenti, che da anni sopportano il peso degli insostenibili gap tra Nord e Sud del Paese e con il resto dell’Europa, con gravi conseguenze in termini di spopolamento e arretratezza economica di ampie zone del meridione e delle isole, di erosione di punti importanti di Pil e di svantaggio competitivo nella logistica del sistema Paese e delle imprese manifatturiere italiane sui mercati internazionali.  

Connettere i territori con una politica dei trasporti di pianificazione intermodale che abbia una visione d’insieme nazionale e non localistica è urgentissimo, e qui richiamo anche la necessità di una riforma del Titolo V per la revisione delle materie concorrenti che stanno determinando pesanti squilibri di sistema, soprattutto nei porti e negli aeroporti. Modernizzare le infrastrutture esistenti e crearne di nuove, favorire l’intermodalità fondamentale anche per lotta alle emissioni, semplificare gli iter burocratici, dare regole in materia di sicurezza (i trasporti dopo l’edilizia sono il settore con la più alta incidenza di morti sul lavoro ogni anno) e di competizione che tengano conto delle specifiche caratteristiche intrinseche dei vari settori e siano uguali per tutti gli operatori coinvolti, è quanto chiediamo da tempo e che ora è diventato improcrastinabile.  

La crisi Covid-19 ha fatto collassare i trasporti in tutto il mondo a causa dell’insieme dei provvedimenti anti-contagio noti come lockdown. In Italia questo dramma si è incardinato su una debolezza economica purtroppo preesistente, che si trascina dal default internazionale del 2008, a cui non si era riusciti a dare le risposte politiche necessarie. Infatti, sono anni che mancano all’appello gli strumenti idonei a sviluppare economie territoriali organicamente inserite in un sistema nazionale con conseguente beneficio di occupazione stabile, primi fra tutti un piano nazionale per l’industria manifatturiera e un piano nazionale di logistica e trasporti merci e passeggeri. 

Ma detto questo, ora è necessario guardare avanti, e la contemporaneità del fermo internazionale potrebbe essere una condizione che potrebbe offrire una inattesa opportunità di ripartenza alla pari, se il governo e la politica del Paese metteranno in campo strumenti idonei per le imprese, per accrescerne la competitività salvaguardando i livelli di occupazione e di reddito. Al di là delle opere strategiche necessarie per le pianificazioni degli investimenti privati di lungo periodo, molte questioni che determinano gravi disfunzioni richiedono soprattutto provvedimenti di riordino dei diversi settori. 

Al momento, dopo la breve parentesi felice del 2015, allorquando fu varato il programma Connettere l’Italia, espressione di un ampio confronto governo-parti sociali, valutiamo positivamente l’attenzione che finalmente il governo sta nuovamente riponendo nei trasporti e nella logistica. 

Lo stesso recente provvedimento varato dalla ministra Paola De Micheli “Italia Veloce”, che prevede la spesa di 200 miliardi, di cui 130 già stanziati, spalmati in 15 anni per opere nei trasporti e infrastrutture, potrebbe non solo far riaprire i cantieri e dare impulso economico immediato al Paese creando nuova domanda e occupazione, ma, se venisse strutturato in una visione complessiva di richiamo di quanto delineato in Connettere l’Italia, si guadagnerebbe tempo prezioso.

Contemporaneamente bisogna monitorare e intervenire, laddove necessario per correggerne la direzione, l’evolversi dei processi che vedono ampio impiego della tecnologia da remoto nel mondo dei trasporti, già evidenti prima della pandemia e che adesso, nella fase di ripresa, hanno necessità di azioni decise per tutelare l’anello più debole e fragile: i lavoratori coinvolti. Mi riferisco in particolare alle piattaforme elettroniche della logistica distributiva, ai processi di automatizzazione delle operazioni di movimentazione delle merci e alla guida da remoto dei mezzi di trasporto.  Il sindacato non è contrario allo sviluppo tecnologico che facilita il lavoro dell’uomo, ma lo è certamente e fermamente quando l’applicazione tecnologica viene interpretata come occasione di sfruttamento dei lavoratori e di riduzione dei livelli occupazionali al solo scopo di aumentare i dividendi dei soci azionisti. Da qui le nostre battaglie per l’inquadramento contrattuale delle nuove figure emergenti, come ad esempio i riders, e per proteggere con la formazione quei lavoratori che operano in settori oggetto di processi di automazione. 

In questa fase di avvio alla ripresa delle attività, il sindacato in generale e quello dei trasporti in particolare, ha portato all’attenzione della politica molti temi, tutti urgenti e rilevanti, ma tra questi voglio segnalare il confronto governo-sindacati sul trasporto aereo, coinvolgendo non solo Alitalia ma un intero settore fortemente contendibile, che nonostante la sua altissima strategicità è stato abbandonato per anni nella  liberalizzazione sfrenata, aggravata da decisioni politiche spesso campanilistiche adottate dagli enti locali e dalle società di gestione aeroportuale. Le crisi Alitalia, oltre che con manager incapaci e speculazioni di ogni tipo, si sono dovute confrontare con una situazione caotica e senza regole del trasporto aereo italiano, un caso unico in Europa, che ha penalizzato non a caso tutte le compagnie aeree italiane, ben prima del Covid-19.

Una delle conseguenze politiche più interessanti e di vasta portata del Covid-19 è stato l’aver fatto cadere il tabù della nazionalizzazione che per anni ha dominato la politica europea: le conseguenze del lockdown hanno fatto rivalutare come necessario l’ingresso dello Stato negli asset strategici di un Paese, quando la loro sopravvivenza è seriamente compromessa, per tutelare leve geopolitiche ed economiche dagli appetiti di altri Paesi. 

A questo si è aggiunta una chiara presa di coscienza della indispensabilità per un Paese come l’Italia di disporre di un proprio grande vettore aereo: Alitalia negli 85 giorni di lockdown ha operato 320 voli speciali, rimpatriato 80.000 connazionali rimasti bloccati all’estero, trasportato 82 milioni di mascherine protettive, garantendo servizi e rifornimenti vitali, in un momento in cui nessun vettore voleva volare. 

Questa considerazione non deve essere messa nel dimenticatoio, soprattutto quando tutto il Paese ha bisogno come il pane del turismo estero per riprendersi, turismo che viaggia prevalentemente in aereo e che sceglie le destinazioni in base agli scali negli aeroporti vicini. In questa luce, apprezziamo particolarmente il piano del Mit “Italia Veloce”, per la parte che punta al collegamento diretto treni- aeroporti. D’altra parte è il turismo e l’enorme movimentazione negli aeroporti hub, che hanno spinto Germania e Francia, analogamente a tanti altri Paesi, a stanziare risorse molto più consistenti delle nostre, per impedire il crack delle proprie compagnie di bandiera.

Alitalia è un asset indispensabile al Paese e a tutti i suoi 20.000 dipendenti diretti e indiretti e ci trova d’accordo la previsione in Decreto Rilancio di una dotazione di 3 miliardi di euro per il rilancio della compagnia, che certo da soli non bastano. Serve un piano industriale di investimento sugli aerei per i voli intercontinentali, sulla manutenzione che può lavorare anche per altre compagnie come era nel passato, sull’handling e sul cargo. Serve un manager che sia competente, perché il trasporto aereo è un settore difficile che richiede esperienza sul campo, e all’altezza della sfida. Infine serve un partner industriale che veda in Alitalia una opportunità di crescita e non l’occasione di liberarsi di un concorrente scippandole tutto quel che è possibile, come abbiamo visto nel passato.

Serve anche, come ci chiede l’Europa, trovare una soluzione di discontinuità, che c’è e che non deve tradursi  in tagli del personale, la cui competenza è preziosa per garantire il buon andamento della compagnia, come del resto dimostrano i conti positivi finora presentati dai commissari che si sono avvicendati in questi ultimi anni. E su questo punto come sindacato non faremo sconti a nessuno.

Abbiamo adesso una sola preoccupazione: il tempo non stringe, di più, sfugge! Mentre i concorrenti stanno gradualmente ripartendo, è necessario passare dalle parole ai fatti. 

Fatti che riguardano anche questioni di contesto fondamentali. Le compagnie aeree low cost finora, senza alcuna trasparenza né per i criteri né per le cifre accordate, hanno goduto ufficialmente di almeno 390 milioni di euro di incentivi all’anno, percepiti in termini di forte scontistica, gratuità sulle tariffe o di rimesse in co-marketing, direttamente pattuiti tra vettori stranieri e concessionari. Questo ha generato un dumping insostenibile, la cui portata ce l’ha mostrata in questi giorni l’episodio che ha coinvolto l’aeroporto di Trieste, che da sempre, come la maggior parte degli aeroporti italiani, applica tariffe maggiorate senza motivo alcuno ad Alitalia ed elargisce invece enormi vantaggi alle compagnie low cost, le quali adesso non fanno scalo a Trieste per scarso traffico, mentre si pretenderebbe da Alitalia il pagamento di tariffe fuori mercato.

A questo si aggiunge il rifiuto di diverse compagnie low cost di riconoscere il diritto italiano, e di adeguare i trattamenti retributivi minimi a quanto previsto in Italia dal Ccnl di settore, che ha generato contenziosi nei tribunali italiani ed europei, procedimenti che finora hanno dato ragione puntualmente al sindacato. 

Per questo abbiamo proposto al governo, che finalmente ci ha ascoltati nel Decreto Rilancio, di prevedere come punto di riferimento minimo per tutto il settore il contratto collettivo di lavoro nazionale sottoscritto dai sindacati confederali dei trasporti con le parti datoriali, per eliminare diffuse forme di sfruttamento e zone d’ombra che si tramutano in una profonda distorsione della competizione tra vettori e servizi di terra. Questo modello è applicato con successo da molti anni nei porti, altro settore strategico e altamente specializzato, con ottimi risultati avendo eliminato la precarietà e lo sfruttamento dei lavoratori, e consentito una competizione tra imprese non giocata al ribasso, che è sempre sinonimo di precarietà, bassi e salari e cattiva sicurezza sui luoghi di lavoro e nanismo imprenditoriale. 

Ciononostante, si è sollevato da tempo nei porti un contenzioso con gli armatori di navi RoRo, che con la crisi dei traffici per la pandemia deve essere immediatamente risolto.  La questione riguarda l’autoproduzione delle operazioni di rizzaggio/derizzaggio a bordo delle navi traghetto, che gli armatori vorrebbero far svolgere ai marittimi imbarcati per le operazioni di navigazione. Una ipotesi sulla quale siamo assolutamente contrari, in quanto lede la sicurezza sul lavoro, aumenta lo sfruttamento dei marittimi e crea crisi occupazionale nei porti. Non siamo contrari alla autoproduzione a prescindere, che, anzi, va normata e prevista solo su autorizzazione quando non è presente in porto il servizio e la tabella di imbarco dei marittimi del traghetto che preveda personale aggiuntivo dedicato a queste operazioni di sbarco/imbarco. Su questo stiamo preparando una forte mobilitazione.

Anche per quanto riguarda le low cost del trasporto aereo, non siamo contrari ad esse, che, anzi, hanno ampliato enormemente l’offerta per le nostre destinazioni, con una domanda stimata recentemente dalla ministra pari a oltre i 200 milioni di passeggeri l’anno, un mercato tale che certo non può essere soddisfatto e gestito da una unica compagnia o da pochi operatori e pochi aeroporti. Ma riteniamo, per la continuità e la strutturazione dei servizi sui territori, contro la volatilità ampiamente dimostrata in questi anni, che le compagnie di volo che operano in Italia con proprie succursali e società, debbano essere depurate dalla speculazione e messe e in condizione di lavorare entro parametri di regole uguali per tutti gli operatori, di terra e di volo.  

Infine, va bene la strutturazione del finanziamento del Fondo di solidarietà del settore, che era stato definanziato dai precedenti governi, mettendo a repentaglio il reddito di molte migliaia di famiglie, sia di quelle coinvolte dal lockdown e sia quelle che una liberalizzazione scellerata, anche nei momenti di fortissima espansione del traffico, incredibilmente ha mandato in crisi  molte società, soprattutto dei servizi a terra. Il Fondo si finanzia con un surcharge minimale sui biglietti, che non danneggia il cliente, ma assicura futuro alle imprese e ai loro lavoratori. 

 

 Segretario generale Uiltrasporti