I sussidi all’industria fossile, all’agricoltura e alla pesca fanno male all’ambiente ma anche al mercato e aumentano le diseguaglianze. A dirlo è un dettagliato studio della Banca Mondiale. Non si possono togliere dall’oggi al domani ma serve un ridimensionamento progressivo. In Italia ammontano a 34 miliardi.
Nel suo “The Wealth of the Nations” Adam Smith criticava i sussidi scozzesi e olandesi ai pescatori di aringhe, pensati per sostenere il settore e renderlo più competitivo rispetto a quello di altri paesi e per favorire i piccoli pescatori e i mantenere bassi i prezzi al consumo. Quei sussidi venivano però intercettati con maggior facilità da chi aveva grandi pescherecci e nel renderli meno competitivi ed efficienti. “Le “buone intenzioni, ma controproducenti” sono caratteristiche dei sussidi mantenute nei moderni programmi di sostegno”. Questo ricordo delle critiche di Smith ai sussidi pubblici alle industrie è contenuto in un lungo rapporto pubblicato della Banca Mondiale dal titolo “Detox development” (Disintossicare lo sviluppo”), uno studio molto ricco e completo nel quale si segnala, detto in estrema sintesi, che i sussidi all’industria fossile, all’agricoltura e alla pesca sono un danno per l’ambiente, rendono l’industria meno efficiente, deprimono la produttività e aumentano le disuguaglianze – e che usando quelle risorse in altro modo ne guadagneremmo tutti.
L’esempio più recente sono gli stanziamenti per contenere il prezzo del gas dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Quei sussidi avevano un senso ed erano generati da una contingenza eccezionale, ma sono un segnale di come la spesa per i combustibili fossili non rappresenti mai un problema per i governi.
Lo studio si dilunga sulla definizione di sussidio e cerca di fare una stima dei sussidi espliciti – sgravi fiscali, trasferimenti diretti, trasferimento di beni, sostegno al consumo di determinati prodotti – e impliciti – i costi dovuti agli incentivi, ad esempio le malattie generate dall’inquinamento del suolo dovuto a un uso eccessivo e inefficiente di pesticidi, le mancate entrate fiscali. Ricostruire quanto spendiamo tutti noi per incentivare l’estrazione e il consumo di petrolio e gas (o l’uso di pesticidi) non è semplice: i capitoli di spesa, gli enti che erogano questi sussidi sono tanti e un’erogazione può tenere assieme cose diverse. Va ancora peggio con i sussidi indiretti: quanto costa un aumento di determinate malattie in un territorio?
Il gruppo di ricercatori della Banca Mondiale valuta i sussidi diretti in 1.250 miliardi l’anno, suddivisi quasi a metà tra sostegno all’industria dei combustibili fossili e all’agricoltura e stima quelli impliciti in una forbice che va dai seimila ai 10 mila miliardi e 800 milioni. Si tratta della bellezza di 23 milioni al minuto o dell’8 per cento circa del Pil globale. Uno studio del 2021 del Fondo Monetario Internazionale valutava che solo i sussidi all’energia fossile fossero attorno ai 5.900 miliardi l’anno.
I sussidi diretti a gas e petrolio ammontavano a 577 miliardi di dollari nel 2021. “Si tratta di tre quarti dei sussidi al settore energetico e hanno il triplice effetto di aumentare il consumo di combustibili fossili, ridurre gli incentivi agli investimenti in tecnologie efficienti dal punto di vista energetico e rendere più difficile la concorrenza di forme di energia più pulite e rinnovabili. A titolo di esempio, nell’ambito dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, i governi si sono impegnati a raccogliere 100 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti per il clima. Meno di un quinto di quanto spendono per sostenere i combustibili fossili”. Segnaliamo che quei 100 miliardi, a differenza dei sussidi, se vengono erogati, lo sono a singhiozzo e in ritardo.
Lo studio del Fondo Monetario del 2021 sosteneva: “Una tariffazione efficiente dei carburanti ridurrebbe le emissioni globali di anidride carbonica del 36% rispetto ai livelli di riferimento, in linea con il mantenimento del riscaldamento globale entro 1,5 gradi, raccogliendo al contempo entrate pari al 3,8% del Pil globale e prevenendo 0,9 milioni di morti per inquinamento atmosferico”. Una differenza cruciale tra quello studio e quello della Banca Mondiale è di natura politica: il primo è un paper di ricercatori del Fondo, il secondo è un rapporto che contiene suggerimenti di policy da parte della Banca.
Ma facciamo due esempi: i sussidi ai combustibili fossili rendono l’aria più inquinata e quindi moltiplicano le malattie respiratorie più spesso nei paesi e nelle aree più povere – le centrali a carbone non si costruiscono nelle Ztl – mentre gli incentivi al consumo che abbassano il prezzo favoriscono i paesi e le persone più ricche – chi ha case e auto più grandi spende di più per scaldare, raffreddare, viaggiare. Lo studio segnala che tagliare tutti i sussidi non è forse fattibile perché c’è un limite a quanto il costo dell’energia al consumatore possa arrivare per non generare problemi sociali ed economici, ma ridurli sarebbe un primo passo.
Se parliamo di agricoltura, sappiamo di come e quanto gli incentivi all’allevamento e consumo di carne siano dannosi in termini di produzione di gas serra. “I sussidi all’agricoltura raramente raggiungono il loro scopo e spesso causano danni ai terreni, alle riserve idriche e alla salute pubblica. Sebbene siano spesso destinati ad aumentare l’efficienza della produzione, di solito hanno l’effetto opposto, rendendo l’agricoltura meno efficiente”. I soldi spesi dagli Stati Uniti per sostenere i loro allevatori e aumentare la produzione di carne bovina alimentano ad esempio la deforestazione dell’Amazzonia, dove gli alberi vengono abbattuti per fornire soia e mais da mangime per le mucche nordamericane.
In questo caso, poi, come per le aringhe di Adam Smith, i sussidi a cui ci si riferisce per dire che aiutano i contadini più poveri, tendono a finire con più frequenza nelle mani dei contadini dai redditi più alti – il rapporto fa gli esempi di Tanzania e Malawi. Anche in questo caso però tagliarli del tutto significherebbe colpire i contadini più poveri per la cui sopravvivenza gli aiuti sono cruciali.
Che fare allora? Il rapporto suggerisce una serie di strade e segnala anche le difficoltà di una riforma coraggiosa. Come per la transizione ecologica in generale, ogni taglio a sussidi che implichi aumenti dei costi o riorganizzazione di settori produttivi può produrre tensioni sociali e politiche che rendono quelle riforme necessarie impopolari: “Costruire l’accettazione e la credibilità per una riforma dei sussidi nell’opinione pubblica è fondamentale”. E poi individuare quali saranno le categorie colpite dall’eventuale riforme dei sussidi e prevedere delle compensazioni, individuare i problemi causati dalle riforme e immaginare soluzioni (aumento del prezzo della benzina deve implicare miglior trasporto pubblico), trasparenza e popolarità dell’impiego delle risorse risparmiate (investire in sanità, istruzione, trasporti i soldi risparmiati e comunicarlo bene).
Sono tempi complicati e le crisi si succedono. Spesso uno dei problemi che i governi e le istituzioni sovranazionali affrontano è la scarsezza di risorse da investire per affrontare le crisi senza fare sempre e solo deficit. Il rapporto della Banca Mondiale ci ricorda una volta di più che ci sono enormi capitoli di spesa pubblica che non vediamo e che alimentano un modo di organizzare l’economia dannoso per l’ambiente, dannoso per gli umani e persino inefficiente dal punto di vista del mercato.
A volte capita anche di sentire un deputato della Repubblica parlare della necessità di ridimensionare la portata dei sussidi ambientalmente dannosi. Ma non capita in prima serata in Tv e se e quando un eletto o un’eletta nomina quei sussidi verrà guardato con simpatia e commiserazione, trattato come un ingenuotto che non capisce come funziona il mondo. Quel mondo che, per come lo conosciamo, quei sussidi contribuiscono a cambiare in un luogo inabitabile per la nostra specie. (PS secondo Legambiente in Italia i sussidi dannosi ammontavano a più di 34 miliardi).