Gran parte del mondo ha tratto un sospiro di sollievo con l’elezione di Joe Biden. Ma su molti dossier aperti sotto Trump, dal 5G al gasdotto Nord-Stream-2, non si prevedono cambiamenti di passo. E resta difficile un riallineamento Usa-Ue.
Con Biden l’America di nuovo al comando? Un’impresa piuttosto ardua
Un giornalista tra i più noti del Financial Times, dopo l’elezione di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti, è andato a ripescare un articolo scritto dal neoeletto presidente nel gennaio del 2020 intitolato: “Perché l’America deve essere di nuovo il paese guida”. Nel testo, Biden si lamenta del fatto che Donald Trump abbia abdicato al ruolo di leadership dell’America, ovvero al mantenimento di un ordine mondiale guidato dagli Usa e promette che la sua agenda di politica estera collocherà di nuovo gli Stati Uniti a capotavola.
Ma è molto più semplice dirlo che farlo, commenta Rachman; gli Stati Uniti non sono più così potenti come una volta, afferma il giornalista; la realtà del mondo appare molto cambiata in questi ultimi anni.
Rincara a sua volta la dose un altrettanto autorevole editorialista, con un articolo pubblicato dall’inglese New Statesman, Paul Mason. Quale che siano i mutamenti che Biden potrà portare con la sua elezione, afferma il giornalista, il dado del 21° secolo è ormai tratto: gli Stati Uniti declinano e la Cina avanza.
Anche un opinionista del New York Times, non è da meno; rispetto alle affermazioni di Biden e dei suoi, relative alla volontà che l’America guidi di nuovo il mondo, il commento del professor Beinart è sostanzialmente questo: speriamo di no, piuttosto l’America la smetta di far danni in giro.
Biden ha comunque reiterato il suo pensiero molto più di recente: il 24 di novembre, parlando nel Delaware, come riportato dai giornali, ha riaffermato tra l’altro che ”l’America è di ritorno, pronta a guidare il mondo; essa si siede di nuovo a capotavola”.
Buona fortuna. Il problema è che essa dovrà ora fare i conti con il resto del mondo, a cominciare dalla Cina e più in generale dall’Asia, area uscita ancora più forte dagli ultimi eventi. Ma forse uno dei problemi del mondo di oggi è proprio quello che gli Stati Uniti non vogliono in nessun modo riconoscere che non ne sono più i padroni.
Il primo atto, non troppo originale, della nuova strategia dovrebbe essere la convocazione rapida di un vertice dei “paesi democratici”; su questa strada appare facile prevedere il prosieguo di una nuova guerra fredda sul solco di Trump.
Gli Stati Uniti, l’Europa e la figura di Biden
E’ noto come in Europa, a parte l’area sovranista, l’elezione di Biden è stata accolta con grande sollievo, a cominciare certamente dalla Germania, il paese che ha più sofferto delle decisioni di Trump. Abbiamo anche assistito, nel nostro continente, alle prime entusiastiche lodi del nuovo presidente. Da più parti si pensa che con Biden verrà riavviata una stretta cooperazione transatlantica. Molti commentatori, nonchè gran parte dell’establishment del nostro continente, sognano già un’alleanza tra i due lati dell’Atlantico per lottare contro la Cina.
A rafforzare le loro speranze, ecco che a fine novembre ha cominciato a circolare una bozza di documento, emessa dalla Commissione europea, che domanda agli Stati Uniti di afferrare l’opportunità unica di forgiare una nuova alleanza globale tra i due continenti. Il documento propone una nuova cooperazione praticamente su tutto, dalla regolamentazione delle imprese digitali alla lotta al Covid, a quella alla deforestazione, sino – ciliegina sulla torta – al “contrasto alla sfida strategica rappresentata dalla Cina”.
Subito dopo è stato reso pubblico anche un parallelo documento della NATO che afferma che la Cina rappresenta una minaccia militare per l’Europa e gli Stati Uniti e che bisogna in qualche modo occuparsene. Si fa di tutto per trovare delle ragioni per sopravvivere a se stessi…
Ricordiamo a quelli che elogiano Biden come si tratti della stessa persona che a suo tempo aveva votato contro la legge che permetteva il matrimonio omosessuale, che si era inoltre espressa a favore invece della deregulation di Wall Street e ancora a favore della guerra in Iraq. Obama nel 2008 gli offrì la candidatura alla vice-presidenza per attenuare in qualche modo lo scandalo della presenza di un nero alla carica suprema e comunque per farsi coprire presso gli ambienti conservatori (Caviglioli, 2020).
Appare indubbio che su alcune questioni, da quella climatica a quella relativa alla lotta al coronavirus, al dossier iraniano, i rapporti tra gli Stati Uniti e l’Europa potrebbero migliorare in misura sostanziale, anche se con qualche dubbio in più sull’Iran. Più in generale, dovrebbero diventare più distesi e meno erratici, più prevedibili.
D’altro canto, giacciono sul tavolo diversi dossier, in particolare di tipo economico, per i quali il contenzioso tra le due sponde dell’Atlantico appare difficile da sanare (Peel ed altri, 2020). E il vogliamoci-bene della Commissione europea non basterà certamente ad appianarli. Ricordiamo a questo proposito i temi più importanti. La lista è lunga.
La tassa sulle imprese digitali: è la volta buona?
Della questione della tassazione delle imprese digitali e, più in generale, dei grandi gruppi multinazionali che usano i paradisi fiscali per pagare pochissime imposte, si dibatte, o forse si fa finta di farlo, da molti anni.
Da qualche tempo sembra che alcuni paesi europei vogliano andare in qualche modo avanti, mentre gli Stati Uniti appaiono molto più reticenti, anche perché sono soprattutto le loro imprese ad essere toccate nel vivo.
Come è noto, agli inizi del 2020, dopo che alcuni paesi del nostro continente avevano minacciato di far da soli sulla questione, l’Unione europea e gli Stati Uniti si erano messi d’accordo per aprire dei colloqui in sede Ocse al fine di mettere a punto un sistema di imposizione comune; e così i paesi europei avevano sospeso l’applicazione della nuova tassa. A giugno gli Stati Uniti si erano ritirati dai colloqui e ora, scaduto l’anno di tregua, il gioco riparte.
Ha sparato il primo colpo di cannone, dopo l’elezione del nuovo presidente Usa, la Francia. Le autorità transalpine hanno cominciato a chiedere a diversi gruppi tecnologici di pagare la nuova imposta annua per i servizi digitali. Dopo la Francia seguiranno presumibilmente nelle prossime settimane diversi altri paesi europei, tra cui l’Italia, oltre a Gran Bretagna, Austria, Spagna.
Gli statunitensi hanno preso molto male la questione, accusando da tempo l’Europa di mirare a mettere in difficoltà le proprie imprese e minacciando ritorsioni, quali, per il momento per quanto riguarda la Francia, un dazio del 25% su 1,3 miliardi di dollari di prodotti di tale paese.
Comunque il recente documento della Commissione europea, citato all’inizio, ci fa temere come probabile un nuovo rinvio della questione.
Il gasdotto Nord-Stream-2 verrà completato?
Un altro tema su cui i politici Usa avanzano compatti, mentre i paesi europei procedono invece in ordine sparso, riguarda il gasdotto Nord-Stream-2.
Come è noto, gli Usa sostengono che la costruzione dell’impianto legherebbe troppo l’Europa alla Russia e per questo da molti anni cercano di sabotarlo in tutti i modi. In realtà, oltre alla motivazione ufficiale, c’è anche quella, sottintesa, relativa alla volontà di cercare di vendere all’Europa, in alternativa a quello russo, il gas statunitense, che peraltro è molto più caro.
Oltre ad esercitare forti pressioni diplomatiche, gli Stati Uniti hanno minacciato nel tempo varie sanzioni nei confronti delle imprese che partecipano al progetto, sino ad ottenere, circa un anno fa, che la società svizzera che si stava occupando della posa dei tubi si ritirasse, lasciando in sospeso il completamento dell’opera (il progetto è, sia pure con molti ritardi, arrivato da tempo oltre il 90% del programma).
Da rilevare che le sanzioni sono di tipo extraterritoriale, colpendo le imprese non americane coinvolte. Si tratta di uno degli esempi con cui da molti anni gli Usa cercano di imporre al mondo le loro decisioni.
Gli Stati Uniti non mancano di complicità in Europa: anche la Polonia, attraversata da un forte sentimento antirusso, sta cercando da tempo di sabotare il progetto e da ultimo ha imposto delle sanzioni molto pesanti, per il momento solo teoriche, a Gasprom e a diverse imprese europee coinvolte.
Mentre ora sono gli stessi russi a cercare, con qualche difficoltà, di completare la posa dei tubi, anche Biden ha confermato la forte opposizione americana al progetto.
La Germania appare indignata in quella che essa correttamente vede come un’inammissibile intrusione degli Stati Uniti in questioni che riguardano la sovranità nazionale tedesca e quella degli organi di governo dell’Unione europea, che pure si erano a suo tempo mostrati compiacenti rispetto ad alcune richieste statunitensi.
Il caso Huawei e le resistenze tedesche
C’è un altro caso di patente ingerenza degli Stati Uniti verso i paesi europei che, per le sue molte ramificazioni, può apparire anche più rilevante della questione del gasdotto. Si tratta di Huawei. Un punto cruciale del teso rapporto tedesco-statunitense.
Gli Stati Uniti esigono dai paesi europei che bandiscano la cinese Huawei dall’elenco dei loro fornitori per le nuove reti di tlc 5-G. Alcuni Stati, a cominciare dalla Gran Bretagna, si sono piegati a tale richiesta, anzi vanno ora mostrando persino un eccesso di zelo; altri, come l’Italia, cercano di rimanere in una posizione più o meno ambigua. Invece la Germania si rifiuta di bandire a priori qualsiasi impresa in particolare.
La posizione tedesca, almeno tra i grandi paesi, è quella meno condiscendente. Nessun paese sarà messo all’indice, secondo quello che si capisce delle intenzioni tedesche e il testo di legge in preparazione dovrebbe solamente definire le misure di sicurezza che si applicheranno a tutti i fornitori, nessuno escluso. La Germania può, da una parte, fondare la sua posizione sulla sua importanza economica e politica sullo scacchiere internazionale, mentre dall’altra deve proteggere i propri interessi specifici; la Cina è ormai il suo più importante partner commerciale.
Si pensa che Biden, d’altro canto, manterrà la posizione di intransigenza degli Stati Uniti su questo tema e quindi si profila un’area di conflitto non trascurabile (Boutelet, 2020).
La disputa Boeing-Airbus forse verso una soluzione
Una questione che si trascina ormai da 16 anni riguarda i sussidi alle compagnie aeree.
I due contendenti si sono a suo tempo accusati reciprocamente di indebiti sostegni finanziari pubblici alle rispettive industrie aeronautiche. La questione è stata portata davanti all’Omc, l’Organizzazione mondiale del commercio o Wto, che ha statuito come in effetti sia gli Stati Uniti che l’Unione Europea avessero torto; così ha autorizzato prima Stati Uniti e, qualche tempo dopo, anche l’Ue a mettere dei dazi compensativi. Trump non ci ha pensato due volte e ha subito eseguito. La sentenza dell’Omc a favore dell’Europa è arrivata soltanto poche settimane fa e ora l’Ue si appresta anch’essa a porre in atto le sue misure.
Forse si tratta della questione che tra tutte quelle citate potrebbe essere risolta più facilmente tra i due contendenti.
Le imprese digitali: si può riuscire ad indigarle?
Il dibattito sull’opportunità di mettere sotto controllo le grandi imprese statunitensi del digitale è in atto da molto tempo sia in Europa che negli Stati Uniti, anche se ad oggi i provvedimenti concreti sulla questione sono stati abbastanza scarsi e tutti comunque provenienti dal fronte europeo. Ora, di nuovo, l’Ue sembra volere fare sul serio, mentre negli Usa le misure che verrebbero prese appaiono più blande. Mentre si discute e passa il tempo, le grandi imprese del settore diventano sempre più grandi e potenti e sempre più in grado di condizionare le decisioni politiche nei loro riguardi.
Di recente Ursula von der Leyen ha auspicato che l’Unione europea prenda l’iniziativa sul tema ed eventualmente si associ agli Stati Uniti e ad altri partner per, secondo le sue stesse dichiarazioni, scrivere un libro delle regole per l’economia e le imprese del digitale, libro che dovrebbe coprire tutti i possibili soggetti, dal Big Tech all’uso dei dati e alla privacy, dall’infrastruttura della rete alla sicurezza e al rispetto delle regole della concorrenza.
Anche in questo caso il documento della Commissione europea potrebbe portare a un nuovo rinvio. E forse la sua pubblicazione potrebbe servire proprio a tale scopo.
Miscellanea
L’elenco dei problemi in sospeso tra le due rive dell’Atlantico non finisce a questo punto. Esistono diverse altre questioni alle quali, per necessità di spazio, accenniamo soltanto o poco più: le spese militari, la Cina, l’acciaio e l’auto, lo sbilancio commerciale Usa-Ue, la riforma del Wto.
Per quanto riguarda la Cina, come conciliare un approccio Usa molto duro con una strategia europea che, nonostante il documento recente della Commissione già citato, appare invece più complessa, indicando una strategia fatta insieme di cooperazione, concorrenza e rivalità (Peel e altri, 2020), appare un problema.
Biden ha promesso che l’America riunirà presto un vertice dei paesi che inquinano di più al mondo; ma sembra del tutto improbabile che la Cina si troverà d’accordo nel partecipare a una iniziativa promossa dagli Stati Uniti e attraverso la quale Biden promette di spingere i vari paesi a impegni vincolanti e controllabili per ridurre le emissioni. La cosa appare quasi grottesca. Ovviamente la Cina e diversi altri paesi ricorderanno, tra l’altro, a Biden che l’unico forum possibile per le questioni del clima è l’Onu (Rachmann, 2020).
C’è poi il problema del deficit commerciale statunitense, con un contenzioso non solo nei riguardi della Cina, ma anche dell’Ue; Trump aveva a più riprese affrontato l’argomento minacciando a suo tempo sanzioni al nostro continente, in particolare sull’auto e sull’acciaio. E’ possibile che ora Biden lasci cadere del tutto la questione? Non sembra realistico pensarlo.
Ricordiamo ancora la questione delle spese militari. Gli Stati Uniti insistono da molto tempo perché i paesi della Nato portino il rapporto tra tali spese e il loro Pil almeno al 2% annuo, di fronte a soggetti europei che sembrano per la gran parte riluttanti a farlo. Anche in questo caso appare difficile che gli Usa cambino idea, mentre sulle questioni militari va registrata l’esistenza di rilevanti divergenze tra Francia e Germania.
Ricordiamo infine il problema della riforma dell’Omc, tema sul quale di nuovo Usa e Ue sembrano avere dei punti di vista abbastanza distanti.
Conclusioni
Se escludiamo dei paesi come il Brasile, l’India, la Gran Bretagna, Israele e l’area del Golfo, nonché forse la Russia, gran parte del mondo ha certamente tratto un sospiro di sollievo con l’elezione alla presidenza degli Stati Uniti di Joe Biden, anche se i tanti voti usciti dalle urne a favore del suo concorrente fanno aleggiare una ipoteca abbastanza pesante sul futuro politico del paese.
Ma, a parte l’apparente mediocrità del personaggio Biden e le sue convinzioni largamente conservatrici, anche con la nuova amministrazione i rapporti con l’Europa potrebbero non essere idilliaci; essi si dovranno confrontare con diversi temi molto importanti e impegnativi sui quali trovare un accordo sarà abbastanza complicato. L’entusiasmo mostrato dalla Commissione europea in proposito si potrà rivelare presto mal riposto.
Tutto questo con sullo sfondo il problema non risolto per l’Unione europea relativo a come trovare al più presto (il tempo scorre veloce) un’unità di intenti e un equilibrio adeguato per quanto riguarda i rapporti con le due superpotenze che si contendono i destini del mondo e che esercitano delle forti spinte ovviamente divergenti nei confronti del nostro continente.
Testi citati nell’articolo
-Beinart P., Biden wants America to lead the world. It shouldn’t, www.nytimes.com, 2 dicembre 2020
-Butelet C., 5G : un conflit Berlin-Washington s’annonce, Le Monde, 1 dicembre 2020
-Caviglioli D., La profonde fausseté de Joe Biden, www.nouvelobs.com, 20 novembre 2020
-Mason P., The UK must embrace a European future or accept isolation and decline, www.newstatesman.com, 18 novembre 2020
-Peel M. ed altri, EU braced for battle despite new faces in White House, www.ft.com, 25 novembre 2020
-Rachman G., Biden’s flawed plan for global leadership, www.ft.com, 16 novembre 2020