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Armi italiane e trasparenza, ritorno al passato

L’Italia supera la Russia in export di sistemi d’arma verso Paesi aggressivi e repressivi e nello stesso tempo un disegno di legge governativo approvato dal Senato assesta un duro colpo alla trasparenza nel commercio di armi finora regolato dalla legge 185.

L’Italia supera la Russia nell’esportazione di grandi sistemi d’arma a Paesi autocratici classificati come non liberi da Freedom House. Infatti le esportazioni di armi italiane a Paesi repressivi e aggressivi sono in costante ascesa nell’ultimo decennio con un’impennata negli ultimi due anni (2020-2022) proprio nel corso della guerra in Ucraina. 

E intanto un disegno di legge, appena approvato da un ramo del Parlamento, riduce la trasparenza e i controlli nonostante la guerra nel cuore dell’Europa.

Figura 1 Export di armi a paesi autocratici e non liberi negli anni 2020-2022

1.Il peggioramento del profilo degli importatori di armi italiane e il disegno di legge di revisione della legge n.185

Secondo gli ultimi dati SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), l’Italia nel triennio 2020-2022 ha esportato verso Paesi non liberi ben il 72% del totale delle esportazioni italiane di grandi sistemi d’arma. Si tratta della quota più elevata mai raggiunta negli ultimi 34 anni, nonostante una guerra nel cuore dell’Europa. Una cifra impressionante, con la quale l’Italia supera addirittura la Russia che esporta il 54% delle proprie armi verso Paesi autocratici e che è sempre stata, tra i grandi esportatori, quello che si caratterizzava per i valori più alti di esportazioni verso Paesi non liberi.

Le percentuali sono ricavate incrociando i dati di Freedom House (che classifica i Paesi in liberi, parzialmente liberi e non liberi, sulla base del rispetto delle libertà civili e politiche) e quelli del SIPRI, che rileva i dati delle esportazioni di grandi sistemi d’arma in base alla destinazione, cioè al Paese importatore. L’Italia registra quindi una delle performances peggiori rispetto ai partner europei che sono anche i principali esportatori di armi, come la Svezia che esporta il 17,6% delle proprie armi verso Paesi non liberi nel triennio 2020-2022. O come l’Olanda, che ha esportato il 21% delle proprie armi verso Paesi classificati come non liberi, la Spagna e la Francia con una quota del 30% e la Germania con il 38%. L’export italiano che va a Paesi non liberi è superiore alla media europea (36%).

Oltre a un drastico peggioramento del profilo degli importatori italiani di armi, è in corso una discussione su un disegno di legge che rischia di colpire uno dei tre pilastri della legge che regola il commercio delle armi in Italia, quello della trasparenza. Prima di spiegarne i contenuti, è utile illustrare brevemente i tratti principali della legge n. 185/90 e ricordare i pilastri su cui poggia.

2.La legge n. 185/90

La Legge n. 185/90 recante il titolo “Nuove norme per il controllo dell’esportazione, importazione e transito di materiali di armamento” fu approvata nel 1990 per interrompere una pratica spregiudicata, a basso grado di responsabilità, dell’Italia, caratterizzata da segretezza e scarsa trasparenza. Tra le fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, infatti, il nostro Paese esportava armi verso Paesi come il Sud Africa dell’apartheid o a Paesi con regimi repressivi e aggressivi come Iran e l’Iraq di Saddam Hussein che presto si sarebbero scontrati in una violenta guerra.  

La legge subordina il commercio di armi alla politica estera italiana citando esplicitamente l’articolo 11 della Costituzione secondo cui l’Italia rifiuta la guerra come mezzo di risoluzione delle dispute internazionali e si impegna per la risoluzione pacifica dei conflitti. 

Questa normativa si basa su un principio di responsabilità condivisa: non è responsabile solo chi acquista le armi ma anche chi le vende, delineando una catena di responsabilità, suddivisa tra tutti coloro che partecipano al processo di autorizzazione e di controllo degli armamenti, dai vari ministeri, alle aziende, alle banche, fino al Parlamento e ai singoli cittadini. Tutti sono responsabili per il commercio di armamenti. La trasparenza è fondamentale per poter esercitare la propria responsabilità e controllo nei confronti di attività così delicate. 

La legge n. 185/90 poggia su tre pilastri: i divieti sulle esportazioni, i controlli e la trasparenza.

Il primo pilastro è quello dei divieti. L’articolo 1.6 introduce importanti restrizioni sulle esportazioni di armi italiane. Tra gli altri, vieta i trasferimenti di armi:

– a Paesi in stato di conflitto armato (tranne nei casi coperti dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite);

– a Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa, (cui si aggiunge il secondo criterio della posizione comune dell’UE, recepita all’articolo 1.11bis della legge 185/90 con le modifiche del 2012) che vieta di sportare armi quando vi sia il rischio che siano utilizzate per repressione interna e per gravi violazioni del diritto umanitario;

E’ importante sottolineare che i divieti italiani sono legalmente vincolanti e stabiliti dal legislatore attraverso la legge primaria, che è superiore a qualsiasi atto del governo. Sono inoltre coerenti tra loro e non includono lo sviluppo dell’industria militare.

Il secondo pilastro è quello dei controlli, essenziale per dare applicazione ai divieti. Il ministero degli Affari Esteri autorizza le esportazioni, che poi altri ministeri controllano successivamente. Per combattere il traffico illegale di armi ci sono controlli doganali da parte del ministero dell’Economia e delle Finanze, mentre controlli sulle transazioni bancarie per distinguere tra il prezzo del materiale esportato e le commissioni dei mediatori sono effettuati dal Dipartimento del Tesoro e il ministero degli Esteri verifica l’arrivo del materiale alla destinazione finale. Ciò che contraddistingue la procedura italiana di autorizzazione e controllo è il coinvolgimento di diverse autorità. La collaborazione incrociata tra diversi ministeri (Affari Esteri, Difesa, Tesoro, Finanze, ecc.) riduce il rischio di collusioni e garantisce controlli efficienti attraverso il confronto di dati finanziari, fiscali, doganali ed economici, dando così concretezza alle disposizioni e ai principi della legge.

Il terzo pilastro è quello della trasparenza. La legge pone grande enfasi sulla trasparenza, prevedendo una dichiarazione ampia e significativa al Parlamento e, di conseguenza, all’opinione pubblica, sulle esportazioni di armi italiane. L’articolo 5 stabilisce che il Presidente del Consiglio entro marzo di ogni anno deve informare il Parlamento sugli armamenti autorizzati e consegnati nell’anno precedente. La relazione annuale è intesa come un mezzo per consentire al Parlamento di controllare e indirizzare la politica estera del governo in materia di commercio di armi. La relazione è composta da vari allegati redatti dai vari ministeri coinvolti nel commercio di armi. I singoli ministri devono fornire dati classificati in base al tipo, alla quantità e al valore finanziario delle armi e ai loro destinatari. Confrontando i vari allegati e rapporti, è quindi possibile ottenere informazioni sui trasferimenti e stabilire il collegamento (almeno per le principali transazioni) tra l’azienda esportatrice, la banca, il tipo di materiale, la quantità, il valore e il paese di destinazione finale. L’alto livello di dettaglio e la ricchezza di informazioni, che coprono questioni così sensibili come il nome delle banche coinvolte nelle transazioni di vendita di armi, hanno incoraggiato campagne, ad esempio, sul comportamento etico delle banche, e hanno portato alcune istituzioni di credito italiane a non sostenere più trasferimenti di armi verso destinazioni sensibili o il commercio di armi nel suo complesso.

Una caratteristica chiave della normativa italiana è che la trasparenza non è una concessione del governo, ma un requisito giuridico: è di particolare rilevanza che il legislatore abbia stabilito la qualità e la quantità dei dati che devono essere riportati al Parlamento e non abbia lasciato all’esecutivo la discrezionalità su come aggregare o presentare i dati. 

In conclusione, in Italia, è il legislatore che, assumendo il controllo e l’indirizzo di una materia così delicata come il commercio di armi, detta la legge primaria; i principi da seguire da parte degli organi competenti nel processo decisionale sulle licenze, nei loro controlli successivi e nel livello di trasparenza. Tutti questi aspetti agiscono come linee guida e limitano le azioni discrezionali del potere esecutivo. Il Parlamento ha finalmente stabilito la sua prerogativa in questo campo, che fino a prima della legge in. questione era rimasto esclusiva riserva del governo.

3.Gli effetti della legge

La legge italiana così articolata e sorretta dai tre pilastri è risultata molto efficace. Infatti il panorama degli importatori di armi italiane è cambiato radicalmente negli anni successivi alla sua entrata in vigore. Nel decennio successivo all’approvazione della legge appena il 3,2% del totale delle esportazioni di armi italiane (grandi sistemi d’arma) finì nelle mani di governi classificati come non liberi da Freedom House. Ciò ha dimostrato che uno strumento legislativo ben costruito può funzionare e ridurre drasticamente il flusso di armi verso Paesi aggressivi o repressivi. La legge italiana fu presa a modello da altri Paesi europei e ispirò l’attuale Posizione Comune sulle esportazioni europee di armi.

4.Il disegno di legge: atto senato S855

Il 21 febbraio del 2024 è stato approvato dal Senato il disegno di legge S855 recante il sottotitolo “Modifiche alla legge 9 luglio 1990, n. 185, recante nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”. Il disegno di legge modifica la legge 185/90 su vari aspetti. Ci concentreremo qui su tre aspetti principali: la relazione annuale al Parlamento, la trasparenza bancaria e gli equilibri tra governo e Parlamento.

La prima modifica riguarda la Relazione annuale del governo al Parlamento sulle esportazioni di armi. Un emendamento sostituisce tutti e tre i preziosi commi dell’articolo 5, dedicato proprio a questo importante aspetto della legge. 

Il comma 3 dell’articolo 5 prevedeva che la Relazione annuale contenesse “indicazioni analitiche – per tipi, quantità e valori monetari – degli oggetti concernenti le operazioni contrattualmente definite indicandone gli stati di avanzamento annuali sulle esportazioni, importazioni e transiti di materiali di armamento e sulle esportazioni di servizi oggetto dei controlli e delle autorizzazioni previste dalla presente legge”.  Era importante che fosse il legislatore a stabilire nel dettaglio la qualità e quantità di dati da presentare. In questo modo si riappropriava di una materia che veniva spesso modellata sulle basi delle esigenze dell’esecutivo. Come spiega Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (Opal) di Brescia, si tratta di informazioni fondamentali per il controllo del Parlamento e della società civile sulle esportazioni di armamenti autorizzate dall’Italia. Il comma viene ora riformulato. In sostituzione viene solo richiesto che la Relazione indichi “i Paesi di destinazione con il loro ammontare suddiviso per tipologia di equipaggiamenti” (cosa che già avviene) e “con analoga suddivisione, le imprese autorizzate” (come già avviene) e “l’elenco degli accordi da Stato a Stato” (cosa che già avviene). 

Viene modificato anche il comma 2 che precisava come la Relazione si componesse dei vari allegati compilati dai vari ministeri coinvolti nelle fasi di autorizzazione e di controllo. Mentre prima gli allegati dei vari ministeri dovevano per legge essere inseriti nella Relazione, con il ddl approvato dai senatori ora questi allegati passano attraverso il vaglio della Presidenza del Consiglio dei ministri, che può stabilire quali aspetti riportare al Parlamento (comma 2 dell’art.5). Si svuotano pertanto gli allegati di dettagli fondamentali per realizzare raffronti incrociati tra ministeri (autorizzazioni consegne e pagamenti), precisi (su valori, quantità impresa esportatrice, paese destinatario) e diacronici (cioè su vari anni), essenziali anche per rafforzare la legalità e il rispetto delle norme della legge, e si lascia alla discrezionalità della Presidenza del Consiglio dei Ministri di stabilirne i contenuti. Se precedentemente era stato il legislatore a stabilire il livello delle informazioni, definendo nel dettaglio la qualità e la quantità di dati da riportare al Parlamento e ai cittadini, adesso la bilancia si sposta nuovamente dalla parte dell’esecutivo. La qualità della trasparenza torna ad essere una concessione del governo e così la Relazione può snellirsi dalle 350 pagine a 3 pagine. 

Infine il comma 1 dell’articolo 5 prevedeva l’obbligo di riportare nella Relazione i dati sulle licenze generali, globali, globali di progetto, ovvero tutte quelle licenze che prevedono corsie semplificate e che coprono una parte consistente delle nostre esportazioni, circa il 50%. Negli anni, nonostante si siano succedute modifiche procedurali per facilitare gli scambi in ambito NATO e UE, il legislatore ha avuto sempre l’accortezza di aggiungere le nuove licenze nel comma 3 dell’articolo 5, estendendo quindi la trasparenza anche a questi nuovi tipi di licenze, nonostante la successione di governi di colore diverso. Con il disegno di legge 885°, invece, scompare ogni riferimento a queste licenze che vengono avvolte da un velo di opacità. Non è prudente che questo accada proprio quando abbiamo una guerra nel cuore dell’Europa e sarebbe necessario avere informazioni (anche da parte degli stessi ministeri) sulle movimentazioni anche di pezzi e componenti in uscita dall’Italia, e in entrata, anche se provengono da partner UE. 

Uno degli aspetti innovativi della legge era costituito dai controlli e dalla trasparenza bancaria previsti dall’articolo 27. Tra le altre cose il comma 4 del suddetto articolo prevedeva che nella Relazione annuale fossero riportati i dati delle transazioni bancarie connesse ad esportazioni o importazioni di armamenti dell’anno precedente. Ciò ha una duplice valenza: di trasparenza e di controllo effettivo del materiale di armamento, con attenzione anche ai compensi di intermediazione segnalati nella Relazione. Questo articolo è nato anche per limitare i casi di corruzione e collusione che erano accaduti in passato, con il coinvolgimento della filiale statunitense della BNL nelle esportazioni di armi all’Iraq, favorito proprio dall’opacità bancaria. Inoltre l’articolo ha favorito una responsabilizzazione dei cittadini e degli istituti finanziari, che hanno sviluppato linee di responsabilità sociale in riferimento alle esportazioni di armi, anche queste molto importati e prese a modello da altri istituti di credito europeo e agenzie di rating etico. In tal modo anche i risparmiatori e le banche hanno contribuito a evitare un commercio di armi a basso grado di responsabilità. Il ddl abroga il comma 4 dell’art. 27 e con esso la trasparenza bancaria. 

Come conseguenza degli emendamenti all’articolo 5 (commi 1,2 e 3) e all’articolo 27 (comma 4), la trasparenza ne risulta gravemente compromessa.

Oltre a queste modifiche merita ricordare quella che ha motivato la presentazione del disegno di legge originario, ovvero la riattivazione del CISD (il Comitato Interministeriale per gli Scambi di materiale di armamento per la Difesa), cui si affida il compito di applicare i divieti stabiliti dalla legge 185/90 che non derivino da obblighi internazionali e di formulare degli indirizzi generali per l’applicazione della legge (art. 6). 

Se da un lato la collegialità delle decisioni è una delle caratteristiche distintive della legge che ne incarna il principio di co-responsabilità, dall’altro il rischio è che tale modifica sposti nuovamente gli equilibri a favore dell’esecutivo, muovendo de facto a rango inferiore i divieti di cui alla legge 185/90 rendendoli applicabili o meno a seconda della discrezionalità dei governi in carica. Cosa che accade già nella prassi e che è facilitata da un’importante anomia che è emersa in questi ultimi anni, in seguito ai processi avviati da organizzazioni non governative per far valere i divieti relativi al rispetto del diritto internazionale umanitario o delle convenzioni sui diritti umani: mentre sono previste fattispecie sanzionatorie per le imprese che violano la legge e i divieti, questo non accade per i governi che violino la legge. La prossima discussione alla Camera potrebbe essere l’occasione per colmare questa lacuna legislativa della legge, che prevede solo sanzioni per le imprese, e non per i governi.

Vi sono infine una serie di altre modifiche che per quanto piccole tracciano una traiettoria piuttosto chiara: si abolisce l’UCPMA (l’Ufficio di coordinamento della produzione di materiali di armamento, che si doveva occupare anche di riconversione dal militare al civile); si dilatano i tempi di presentazione della documentazione di arrivo a destino, documentazione importante per evitare illeciti e triangolazioni, si reintroducono le variabili economiche e industriali tra quelle da prendere in considerazione nello stabilire da parte del CISD le direttive interpretative della legge, si dilatano i tempi di presentazione della Relazione al Parlamento, si tolgono i riferimenti alle organizzazioni non governative da consultare per le violazioni dei divieti, mentre rientrano le variabili economiche e industriali che il legislatore aveva chiaramente subordinato a quelle politiche etiche.

Conclusioni

In conclusione, con il disegno di legge in corso di dibattimento, la trasparenza sulle esportazioni di armi risulta gravemente compromessa. Il grado di dettaglio, la qualità e la quantità della trasparenza sono elementi fondamentali per rendere efficace il potere di indirizzo e di controllo parlamentare in questo campo e gli stessi controlli per garantire la tracciabilità delle armi oltretutto in un momento molto delicato in cui c’è una guerra nel cuore dell’Europa.

Complessivamente, uno sguardo ai dati e al dibattito parlamentare mostra come il pilastro dei divieti, così come quello della trasparenza, si siano indeboliti, facendo di fatto cadere l’intero impianto della legge n. 185/90. Un raffronto, tra il profilo degli importatori di armi italiane nei primi anni Novanta, subito dopo l’approvazione della legge, e lo stesso profilo ma relativo a periodo 2020-2022, dimostra quanto sia peggiorato: dal 3,2% si passa al 72% di “Paesi non liberi” nel triennio 2020-2022. 

Sia l’impennata dell’export verso Paesi autoritari che le modifiche proposte nel disegno di legge sono indicatori di un cambiamento più profondo degli equilibri tra Stato e imprese, a favore delle seconde, tra legislativo ed esecutivo, a favore del secondo, tra variabili politiche dal un lato ed economico-finanziarie dall’altro, a favore delle seconde, tra interessi di molti e interessi di pochi, a favore dei secondi, tra ruolo degli uffici legislativi volto a stabilire regole universali e stabili alle boutades sui social networks.

Questi cambiamenti degli equilibri investono, in un modo o in un altro, tutti i soggetti coinvolti nella catena di responsabilità prevista dalla legge n.185/90, dalle imprese, al governo, al Parlamento, fino alle altre forme della rappresentanza. E richiedono un ripensamento radicale, volto alla riaffermazione della democrazia, della partecipazione e del diritto, in armonia con gli sforzi e i segnali che provengono anche dal panorama internazionale.

Indebolire uno strumento che ha funzionato ed ha ridotto drasticamente il flusso di armi a Paesi autocratici, contraddice non solo i principi del diritto internazionale, dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, ma anche quelli strategici e di difesa, che sono quelli di non armare governi che gli stessi esportatori potrebbero trovarsi a fronteggiare in un futuro. Armarli per poi doversi difendere da questi sembra una scelta illogica che si spiega solo con interessi di natura economica e finanziaria. 

Il disegno di legge come approvato dal Senato sembra il risultato della combinazione di due elementi: l’avidità di pochi da un lato e la superficialità e stupidità da quell’altro. Una combinazione che John Maynard Keynes ravvide anche nella classe politica che portò l’Italia e l’Europa alla prima guerra mondiale. 

Chiara Bonaiuti è consigliera scientifica di Opal (Osservatorio Permanente Armi Leggere)