Le carenze finanziarie, il ritardo tecnologico e la debole presenza su alcuni mercati strategici pongono il gruppo automobilistico in una situazione difficile
Prima di fare il punto su alcuni aspetti della situazione della Fiat-Chrysler (FCA), bisogna cercare di dare un quadro di alcune delle grandi trasformazioni in atto nel settore, trasformazioni che aiutano a spiegare la difficile situazione in cui si trova oggi il gruppo italo(?)-americano.
Va intanto sottolineato che il mercato dell’auto è oggi in una crescita di tipo strutturale soprattutto nei Paesi emergenti, tanto che la Cina è diventato da qualche anno il primo produttore mondiale ed è ormai anche il paese di riferimento più importante per il settore.
L’aumento di vendite che si è registrato nei paesi ricchi negli ultimi anni, e che peraltro sembra ormai arrivato ad un punto d’arresto, appare di tipo più congiunturale, legato ad un rattrapage di volumi dopo un lungo periodo di contrazioni produttive a seguito della crisi del 2008.
Per altro verso, si può pensare ad una possibile riduzione nel tempo del numero delle vetture prodotte, almeno in occidente; facciamo riferimento, a questo proposito, a una serie di fenomeni in forte sviluppo, quali quelli del “car sharing”, del “car pooling”, dell’economia della condivisione, della spinta all’affitto piuttosto che all’acquisto, dei nuovi costumi anche dei giovani e di certe tendenze rilevabili nelle grandi città del Nord Europa che puntano ad un minor coinvolgimento nella “cultura” dell’auto.
Una seconda tendenza molto importante è quella ad un completo ripensamento del prodotto; si va sempre più verso l’auto elettrica, l’auto ibrida, quella ad idrogeno, la vettura che si guida da sé, infine l’”internet delle cose”; da quest’ultimo punto di vista, le vetture tendono a diventare una specie di telefonini con quattro ruote, come dice qualcuno, con la connessa connettività. Il veicolo apparirà in sostanza in se solo come un pezzo di ferro, mentre la parte più rilevante del tutto sarà sempre di più quella digitale, dei programmi, dei sensori e delle connessioni.
Si tratta di temi su cui le grandi case automobilistiche stanno investendo a tutto spiano, al pari delle grandi imprese di altri settori, anche per paura dell’ingresso in atto nel business da parte delle grandi imprese Internet – da Google ad Apple ad Uber negli Stati Uniti, di altri nomi non meno potenti in Cina- che minacciano da vicino nel nostro caso le posizioni anche delle imprese tedesche; queste ultime si sono messe a lavorare fortemente sul tema, con il sostegno anche finanziario del governo di quel paese, temendo in effetti che domani la gran parte del valore aggiunto possa andare ad Apple o Google e ai corrispondenti attori cinesi.
Cresce intanto, peraltro, anche la pressione sui margini dei produttori finali da parte delle grandi imprese della componentistica, che, nell’ambito della rivoluzione tecnologica in atto, stanno diventando sempre più importanti.
Avanza ancora la spinta alla concentrazione: l’ultimo episodio è quello molto recente dell’assorbimento della Mitsubishi da parte della Renault-Nissan. Solo in Cina, invece, si registrano ancora un centinaio di produttori.
Ricordiamo infine, en passant, che, nonostante le note e recenti vicende, la spinta è al varo di norme sempre più restrittive in tema di inquinamento e, in tale quadro, alla probabile messa in crisi della motorizzazione diesel.
La situazione della FCA
Venendo alla nostra impresa, c’è da chiedersi come essa stia reagendo a queste innovazioni.
Marchionne afferma che il gruppo ha tutte le tecnologie necessarie alla bisogna; ma se si va a guardare alle spese per la ricerca e sviluppo dell’azienda, esse appaiono quelle più basse tra tutti i principali produttori dell’auto e lo stesso di può dire per il livello degli investimenti, mentre la stessa azienda appare invece la più indebitata; questi sono punti veramente preoccupanti e su cui ci si sofferma poco, almeno nei media del nostro paese, di solito così distratti quando si tratterebbe di disturbare un gruppo potente.
Di recente è stata divulgata la notizia dell’accordo con Google sullo sviluppo dell’auto senza pilota, ma se si guarda con attenzione esso appare veramente, almeno per il momento, ben poca cosa. Si sussurra poi di altri accordi da venire con differenti attori.
Su di un altro piano, se si leggono la note al bilancio 2015, si sente intanto affermare che non verranno raggiunti gli obiettivi che erano stati a suo tempo posti dei 7 milioni di auto nel 2018. Ora si dichiara che si produrrà di meno, cosa che gli analisti stranieri avevano peraltro già previsto a suo tempo, al momento della presentazione del piano; l’azienda, cambiando completamente idea, afferma oggi che non è necessario produrre quel numero di auto, che l’importante è invece guadagnare. Del resto, già il primo piano Marchionne, quello che prometteva grandi investimenti e grandi livelli produttivi per il nostro paese, si è rivelato in seguito un bluff.
Gli utili del 2015 – se togliamo la Ferrari – sono poi praticamente nulli; per andare in negativo sarebbe bastato un batter di ciglia, un magazziniere
di un qualche stabilimento che il giorno dell’inventario fosse stato ubriaco ed avesse contato qualche pezzo in meno. Se,comunque, aggiungiamo i risultati della casa di Maranello, siamo a 377 milioni di utili su 110 miliardi di fatturato, ancora un’inezia. Un rischio supplementare è rappresentato poi dal fatto che all’incirca l’85% dei margini operativi dell’azienda sono forniti dal solo mercato statunitense.
Così anche i risultati economici del Gruppo sono – a nostra conoscenza – i peggiori del settore. La PSA, ad esempio, pur producendo molti meno veicoli della FCA e con un fatturato pari a circa la metà, ha guadagnato nel 2015 (citiamo a memoria) circa 3 miliardi di euro. Per altro verso, i margini operativi della FCA sono stati pari nel 2015 all’1,9% del fatturato, circa la metà di quelli delle due case francesi.
Il mercato statunitense ha tirato fortemente negli ultimi anni, ma ora sembra aver raggiunto il punto di saturazione. L’azienda non riesce ad entrare seriamente in Cina, che, come abbiamo già visto, è oggi l’area più importante. In Brasile c’è una caduta forte della produzione, mentre entra peraltro in funzione un altro stabilimento FCA. La Maserati non ha raggiunto per nulla gli obiettivi che si era prefissi: nel 2015 doveva vendere 50 mila auto, ma ne ha esitate 32 mila, meno delle 40 mila del 2014; in realtà, fare concorrenza ai tedeschi non è impresa facile e, d’altro canto, le vetture, a sentire qualche voce, sembra abbiano avuto qualche problema di messa a punto. L’Alfa frena il progetto dei nuovi modelli – avrebbe dovuto produrre 400 mila auto a regime, nel 2018, ma ora il piano slitta al 2020-, mentre anche in questo caso gli analisti finanziari appaiono da tempo piuttosto scettici sulle quantità che si potranno esitare.
Nelle previsioni attuali il fatturato del 2016 sarà uguale a quello del 2015, mentre la produzione diminuirà leggermente e mentre anche i risultati economici non dovrebbero scostarsi di molto da quelli dell’anno precedente.
Per quanto riguarda ancora il piano al 2018, il fatturato è stato rivisto al rialzo, a 136 miliardi di euro, ma in realtà si tratta di un aumento dovuto soltanto al mutamento nei rapporti di cambio tra dollaro ed euro, mentre, nella sostanza, c’è un certo ridimensionamento nelle prospettive.
Conclusioni
L’azienda è riuscita a suo tempo ad uscire dalla situazione quasi fallimentare in cui si era venuta a trovare diversi anni fa, ma ora le carenze finanziarie, il ritardo tecnologico, la debole presenza su alcuni mercati strategici, la pongono in una situazione difficile e tendono a rendere assai complicato non solo il presentarsi tra i protagonisti del settore, ma anche forse di tenere le posizioni attuali.
Chiudiamo soltanto con due osservazioni.
La prima riguarda il livello di occupazione in Italia. Marchionne ha promesso a suo tempo a tutti i cassintegrati un rientro entro pochi anni; qualche settimana fa, invece, la direzione ha incoraggiato qualche dipendente di Torino a lasciare l’azienda. Al 2018 si può fare la previsione, per quello che si riesce a vedere ora, che non tutti i cassintegrati verranno riammessi sulle linee.
La seconda osservazione fa riferimento all’ ipotesi, che ci appare molto plausibile, che la FCA da sola non ce la farà a stare adeguatamente sul mercato, mentre gli ormai quattro grandi dell’auto (GM, VW, Toyota, Renault-Nissan-Mitsubishi) e le due tedesche specialistiche (Daimler,BMW) non sembrano interessati all’acquisizione del gruppo.
E’ quindi plausibile individuare altrove il possibile destino futuro dell’azienda, ma naturalmente si tratta di valutazioni basate su poche concrete informazioni. Almeno una banca, la UBS, tende comunque ad indicare come l’ipotesi più plausibile sia quella di un’integrazione con il gruppo PSA; noi siamo sostanzialmente d’accordo con tale idea. Secondo i calcoli della banca, l’unione tra le due strutture potrebbe fruttare delle sinergie annue valutabili tra i 2,3 e i 5,3 miliardi di euro. Forse, visto che nella eventuale fusione c’è sicuramente bisogno di qualcuno che porti i soldi, un’alleanza FCA-PSA-produttori cinesi (Dongfeng) sembrerebbe la più sensata; del resto la stessa Dongfeng è già presente, apparentemente con soddisfazione degli altri soci (lo Stato transalpino e la famiglia Peugeot), nel capitale della casa francese. Ma d’altro canto, la famiglia Peugeot ha manifestato l’intenzione di riprendere totalmente il controllo dell’azienda.
Staremo a vedere.