Trump vuole da Zelensky un accordo di “risarcimento” più ampio di quello che era pronto a firmare prima della lite. Miliardari del cerchio magico trumpiano sono in pedana per accaparrarsi l’oro bianco, il litio, e il gas russo. Ong ucraine chiedono un audit sulle risorse e aste per le licenze.
Un accordo di “risarcimento” più ampio, che non riguardi più soltanto le terre rare e i materiali critici come il litio, ma anche le centrali nucleari, il petrolio e il gas. È questo ciò che la Casa Bianca sotto Donald Trump sembra voler negoziare ora con il presidente ucraino Volodimir Zelensky e con quello russo Vladimir Putin in Arabia Saudita.
Il Segretario di Stato per l’energia Chris Wright ha dichiarato al canale Fox che gli Usa sono pronti a prendere il controllo delle centrali nucleari ucraine, in modo da metterle più “al sicuro”. Zelensky a stretto giro ha risposto che se gli Stati Uniti intendono impegnarsi nel restauro della centrale di Zaporizhzhia – che è tecnicamente spenta da più di due anni e per altro è ancora in una regione in gran parte controllata dalle truppe russe – ben vengano, ma che alienarne la proprietà è tutt’altra cosa e soprattutto non è legale. In effetti per riattivare i sei reattori della centrale più grande del Paese secondo gli esperti servirebbero almeno due anni, oltre a una gran mole di investimenti di cui l’Ucraina attualmente non dispone, e inoltre esiste una legge costituzionale che proibisce espressamente all’impresa statale ucraina che l’ha legalmente in gestione, Energoatom, di privatizzarla. Ma l’appetito americano sugli asset strategici ucraini sembra in pieno risveglio.
L’accordo quadro sui minerali legato al fondo d’investimento congiunto per la ricostruzione che il presidente ucraino era pronto a firmare il 14 marzo, prima di entrare nello Studio Ovale della Casa Bianca, sembrerebbe non bastare più per convincere il presidente americano a riattivare il sistema di targeting dei droni armati Fpv, cioè a offrire la copertura satellitare per gli attacchi e non soltanto per la contraerea: ovvero ciò che il comando militare ucraino chiede. Il Finacial Times ha intervistato due funzionari dell’intelligence trumpiana i quali hanno riferito, in anonimato, che “si sta cercando di arrivare ad un accordo più grande e migliore”. Trump vuole di più, ma cosa?
Sono due gli asset centrali, a quanto pare: il litio – appunto – materia prima fondamentale sia per l’industria civile della transizione energetica sia per quella militare per il quale l’Ucraina potrebbe essere la più grande riserva geologica in Europa, pari secondo incappo del Servizio geologico statale Roman Opimakh all’1 per cento di quelle mondiali, e il corridoio del gas russo attualmente in letargo.
Non lontano dalla centrale di Zaporizhzhia c’è il sito di Shevchenko, nel Donetsk, in una enclave solo recentemente riconquistata dagli ucraini. È lì, in un territorio ancora rurale, che si trova uno dei giacimenti più promettenti di spodumene, una roccia particolarmente ricca di litio, e di altri materiali critici come il tantalio, il niobio, il berillio, il cesio. E sempre nella regione di Zaporizhzhia ricade anche il sito di Kruta Balka, occupato da oltre un anno dai russi, nelle cui profondità è indicato un altro giacimento importante di litio e terre rare.
Gli altri due giacimenti già esplorati in terra ucraina sono invece situati lontano dalla linea del fronte e sono Polokhivske, nella regione di Kirovograd, distante circa trecento chilometri da Kiev, quindi nell’area centrale del Paese. Su Polokhivshe ha un permesso di estrazione la società Ulm legata alla famiglia Tabalov, uomini d’affari della locale nomenklatura filorussa che si sono arricchiti durante l’era dell’ex premier Viktor Yanukovich che fu diretta espressione di Mosca. E infine c’è il sito di Dobra, ricco a quanto pare sia di petalite sia di spodumene, i minerali che contengono litio in alte concentrazioni, che fa molta gola alla società d’investimento minerario TechMet.
L’amministratore delegato della TechMet, che ha sede a Dublino, si chiama Brian Menell e ha recentemente dichiarato che la società ha posizionato il suo radar di investimento su Dobra già da due anni per intendere che il progetto non è subordinato all’accordo quadro su terre rare, materiali critici e quant’altro tra Trump e Zelensky. Tuttavia – ha ammesso al FT – “se l’accordo sui minerali dovesse concretizzarsi, sicuramente aumenterebbe il nostro interesse e creerebbe un quadro che giustificherebbe di fare meglio, di più e più velocemente”. Non sfugge agli analisti del Financial Times che il partner d’investimento della TechMet nel progetto Dobra è il miliardario Ronald Lauder, uno dei miliardari della cerchia ristretta di Donald Trump, anzi proprio colui che gli avrebbe suggerito al presidente usa gli sforzi per acquistare la Groenlandia, la terra dei ghiacci che si sciolgono con il cambiamento climatico portando alla luce materiali critici di ogni tipo in grande quantità. La TechMet si è costituita durante il primo mandato di Trump come costola del US International Development Finance Corporation – fondo statale statunitense – con il sostegno e la partnership del Fondo sovrano del Qatar. E il ceo Menell ha ammesso che oltre a Dobra, la società sta esaminando possibilità di investimento su altri giacimenti di materie prime strategiche in Ucraina in funzione dell’accordo quadro che Trump intende firmare con Zelensky.
E se è vero che Trump è interessato, oltre alle terre rare, al litio, alla grafite, anche ai prodotti fossili – tanto che pare voglia cambiare il nome all’accordo da sottoscrivere con Kiev in “Accord Fossil” – bisogna allora segnalare che un altro miliardario americano, Steven Lynch, ha presentato richiesta per partecipare all’asta fallimentare della società Nord Stream 2 in Svizzera. Il gasdotto di Gazprom avrebbe dovuto fungere da corridoio diretto dalla Russia alla Germania ed è stato prima bloccato e poi sabotato nei primi giorni dell’invasione russa in Ucraina, ma è stato conservato in perfetto stato dalla Danimarca e sembrerebbe veramente strano se non entrasse a far parte del negoziato tra Trump e Putin. Sempre ammesso e non concesso che agli Stati Uniti interessi rafforzare la capacità produttiva tedesca con gas russo a prezzo cinque volte più basso del gas liquefatto americano.
Infine è da sottolineare che attraverso l’accordo che Zelensky sembra determinato a voler firmare con Trump le concessioni per i giacimenti dovrebbero essere sottratti alle normali procedure di asta, che invece le organizzazioni della società civile come l’ong Automaidan Kyiv hanno sempre chiesto, intavolando negli anni proprio per questo una complessa controversia legale con quello che era il principale pretendente alla estrazione del litio dal sito di Dobra: Mykhaylo Zhernov. Zhernov è un imprenditore cresciuto nella cerchia di Petro Poroshenko, oligarca e politico nazionalista ucraino sconfitto alle presidenziali del 2019 da Zelensky. Per accreditare la sua candidatura su Dobra ha cambiato nome alla vecchia società ucraina Petro Consulting che è così diventata la European Lithium Ukraine, quotata a Francoforte. Inoltre ha aperto i cancelli della ex compagnia statale alla società mineraria australiana Cyclone Metals, che è diventata il maggior azionista della European Lithium Ukraine. La European Lihium Ukraine è dunque tutt’altro che europea e l’Australia è in effetti leader nell’estrazione e raffinazione del litio per le batterie e gli accumulatori di energia da fonti rinnovabili.
L’ong Automaidan Kyiv rimarca inoltre come nei documenti preparatori dell’accordo Trump-Zelensky sulle materie prime critiche non sia stato coinvolto il Servizio Geologico Statale, massima autorità nazionale preposta, e chiede che prima di qualsiasi nuova concessione per attività estrattive dal sottosuolo sia condotto un audit pubblico su tutte le licenze in essere, le licenze dormienti e i requisiti richiesti. Sarebbe coerente con la tanto sventolata difesa dei valori democratici in Ucraina e forse eviterebbe un saccheggio delle risorse minerarie al di fuori di qualsiasi regola e compensazione.