Delude il risultato del vertice dell’Unione Europea sul bilancio 2014-2020. L’8 febbraio è passata la linea dell’austerità e dei tagli. Ma il Parlamento europeo potrebbe bloccare tutto
Per la prima volta nella storia comunitaria, la spesa della Ue è stata ridotta rispetto al periodo precedente, ritornando al livello degli anni Ottanta. Le cifre complessive sono di 960 miliardi di impegni: meno 86,6 mld di euro rispetto alla proposta della Commissione e meno 69,4 mld rispetto alle prospettive finanziarie attuali. Il premier italiano Mario Monti si è accontentato di tornare a casa con 500 milioni di euro in più e con qualche risultato sulla politica agricola comune e i fondi di coesione.
Non è un grande successo perché non s’interviene sulla qualità di questi fondi e comunque resta il forte squilibrio a favore dei paesi ricchi e “egoisti”, che – chi più, chi meno – ottengono sconti sui loro contributi. Invece, si sarebbe potuto tentare, cercando convergenze con altri paesi e anche “organizzando” il veto sull’accordo, di denunciare in modo netto l’assoluta inadeguatezza di questo modo di “dis-fare” l’Europa. È stato deciso di continuare a percorrere la strada sbagliata dei tagli e proprio nei quei settori che più servono: educazione, ambiente, innovazione e ricerca. Sono stati invece mantenuti i 2 miliardi di euro per il progetto ITER, riguardante la fusione nucleare, che resta un sogno irrealizzabile e soprattutto non prioritario.
Scelte miopi sul futuro che non possono essere giustificate con il periodo di crisi economica che sta investendo l’Europa. Il 94% della spesa torna agli Stati membri: il bilancio UE non è in deficit e non ha bisogno di essere tagliato. Anzi, potrebbe essere utilizzato al meglio, per rilanciare in modo più efficace progetti di sviluppo che possano indirizzare l’economia e produrre occupazione, magari in settori innovativi come quello della green economy.
La verità è che la maggioranza degli Stati membri non vuole un’Europa solidale, capace di uscire dalla crisi. L’accordo al ribasso è un errore, ma è anche il risultato della procedura di decisione che impone un consenso unanime o un nulla di fatto. La Gran Bretagna, seguita a ruota dai paesi scandinavi ha avuto come al solito un ruolo devastante, reso ancora più efficace dalla presidenza Van Rompuy, mai davvero in grado di imporre le ragioni dell’Europa su quella degli egoismi nazionali.
È stata persa l’occasione di intraprendere un percorso diverso e di qualità, di puntare su un vero e proprio “piano per lo sviluppo” di una nuova economia basata sul risparmio di risorse e l’efficienza, per occupazione, ricerca e innovazione. Un piano questo che non si può fare a livello nazionale ma ha bisogno di un’area vasta di applicazione per potere davvero cambiare le cose.
Dal vertice Ue emerge anche un altro segnale importante. I progetti per le grandi infrastrutture, soprattutto di trasporto, perdono il 48% dei fondi previsti dalla proposta della Commissione. È chiaro adesso che il finanziamento di grandi e inutili opere, come la linea ad alta velocità Torino-Lione, dovrà essere seriamente riconsiderato. In questo senso, il progetto potrebbe essere rivisto rinunciando al tunnel e presentandone un altro che consenta di rimodernare la linea esistente e di valorizzare i nodi di Torino e Lione.
È stata poi confermata la destinazione di almeno il 20% dell’impegno complessivo a favore dell’azione climatica e per il sostegno alla transizione verso una “low-carbon economy”, in modo da rafforzare la competitività europea e creare nuovi posti di lavoro, grazie allo sviluppo della green economy. In ogni modo, bisognerà alzare il livello di guardia per arginare gli attacchi di coloro che includono in questa voce il nucleare, il carbone pulito, incentivi ai fossili e a settori che non hanno nulla di green.
Il risultato del vertice europeo sul bilancio comunitario è dunque profondamente negativo e adesso la parola passa al Parlamento Europeo, che già, per voce del suo presidente ha minacciato di non approvarlo. Nell’interesse esclusivo dei cittadini degli Stati membri, sarebbe infatti preferibile un bilancio annuale che, in caso di mancato accordo sulle prospettive finanziarie multi-annuali, dovrebbe essere basato sul bilancio 2013, che è superiore a quello definito dall’accordo del Consiglio europeo.
Il Parlamento europeo a questo punto si gioca una grande partita: potrebbe tenere duro e imporre un contenuto migliore a questo magro bilancio comunitario. Potrebbe fare in modo che numeri usciti dal vertice non rimangano immutabili per i prossimi sette anni, ma che ci sia la possibilità di avviare una procedura di revisione nel 2015, subito dopo le elezioni europee, quando, si spera, le maggioranze politiche e la situazione economica saranno diverse. Una cosa è certa: oggi l’Europa appare sempre più frammentata e incapace di prendere decisioni costruttive e “capaci di futuro”. Avrebbe invece bisogno di politiche e risorse per innescare un processo virtuoso che consenta di avviare la ripresa e uscire dalla depressione. Un’esigenza chiave, in vista delle elezioni del nuovo Parlamento europeo, che si terranno nel 2014.