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I dazi contro la Cina e le resistenze in Europa

Gli Stati Uniti aumentano la pressione sui paesi alleati per contenere l’espansione economica della Cina, in particolare con la politica dei dazi sull’auto elettrica e non solo. Ma in Germania, Spagna e altri paesi questa guerra commerciale inizia a incontrare resistenze crescenti.

Gli ostacoli crescenti posti dagli Stati Uniti e dai suoi paesi alleati all’espansione economica della Cina – tra l’altro, con l’UE che appare come una molto zelante esecutrice degli ordini che arrivano dall’altra sponda dell’Atlantico-, inoltre un certo rallentamento nella crescita della stessa economia del paese asiatico, mentre avanzano anche importanti cambiamenti nella sua struttura e ancora lo sviluppo crescente dei mercati di molti paesi del Sud del mondo, senza trascurare le grandi trasformazioni tecnologiche in atto, stanno avendo tutti un’influenza molto importante sui rapporti del paese asiatico con il resto del mondo, in particolare per quanto riguarda i mutamenti nei volumi e nella direzione del commercio estero e degli investimenti diretti esteri.

-Il commercio estero

Nonostante i molti ostacoli presenti e anche di fronte ad un andamento recente non troppo brillante degli scambi generali di merci a livello mondiale, che comunque restano abbastanza resistenti, dopo una sostanziale pausa nel 2023 quelli della Cina nel periodo gennaio-luglio 2024 hanno ripreso a crescere, registrando un aumento complessivo del 6,2% sullo stesso periodo dell’anno precedente; le esportazioni sono aumentate del 6,7%, mentre le importazioni del 5,4%. La prospettive per il resto dell’anno sembrano andare nella direzione di una conferma di tale espansione, per alcuni aspetti superiore alle aspettative.

Bisogna considerare più in dettaglio che mentre il commercio estero con i paesi dell’UE, con gli Stati Uniti, la Corea del Sud e il Giappone è aumentato soltanto del 2,2% (ma con l’UE è cresciuto dello 0,4%, mentre con gli Usa del 4,1%), quello con i paesi del Sud del Mondo è invece andato avanti del 9,8%; ancora di più in particolare quello con i paesi dell’Asean, con un aumento del 10,5% – un’area che rappresenta ormai il 15,8% del commercio estero totale della Cina-, mentre con i paesi toccati dalla Belt e Road Initiative esso cresce del 7,1%, confermando alla fine un riorientamento relativamente veloce del fenomeno verso i paesi del Sud.  

Con l’imposizione di dazi ed altri ostacoli di vario tipo da parte degli Stati Uniti, la quota di merci cinesi sul totale delle importazioni degli Stati Uniti è certo passata ufficialmente dal 21,6% % della fine del 2017 al 13,5% dei primi mesi del 2014 (Ahya, 2024). Ma è noto in ogni caso che mentre gli importatori Usa di merci cinesi tendono in realtà a sottovalutare le cifre relative agli acquisti dal paese asiatico e questo per paura di ritorsioni da parte del governo Usa, parallelamente molte merci invece di passare direttamente, come una volta, dalla Cina agli Stati Uniti effettuano ora una triangolazione, transitando attraverso paesi come il Vietnam, la Thailandia, il Messico e così via. Così la caduta delle esportazioni cinesi verso gli Usa è in realtà molto da ridimensionare rispetto alle cifre ufficiali.

D’altro canto, sempre dal 2017 ai primi mesi del 2024, la quota della Cina sul commercio globale è passata dal 12,8% al 14,4%, mostrando anche da questo lato che la strategia di contenimento del paese asiatico incontra molte difficoltà sul suo cammino. Curiosamente si può ricordare a tale proposito che anche gran parte delle attrezzature sportive, dei gagdet e delle uniformi usati durante le recenti olimpiadi e paraolimpiadi erano prodotti in Cina.

Un caso particolare, oltre a quello degli Stati Uniti, è quello dell’India. Le importazioni dell’altro grande paese asiatico dalla Cina, nonostante tutte le difficoltà poste dallo stesso governo indiano, sono in costante crescita, nel periodo aprile 2023-marzo 2024 sono state pari a 102 miliardi di dollari, mentre le esportazioni si sono collocate su soli 17 miliardi, con un deficit di 85 miliardi.

Da rilevare che la crescita delle vendite cinesi all’estero è in questo momento sostenuta almeno in parte dalla spinta del settore delle vetture e di quello delle nuove energie.

In termini più generali i dati degli ultimi anni indicano, almeno per quanto riguarda il commercio, non tanto una crisi della globalizzazione, ma semmai un cambiamento geografico dei flussi: in effetti, i paesi ricchi perdono quote di mercato a vantaggio di quelli del Sud globale. Dal quarto trimestre del 2019 al secondo del 2014 le esportazioni dei paesi emergenti sono aumentate complessivamente del 15%, mentre quelle dei paesi del Nord soltanto dell’1% (Baader, 2024). Tendono intanto a crescere proporzionalmente i commerci all’interno dei due blocchi di paesi (Usa e Cina) mentre si riducono quelli interblocchi.

-Gli investimenti diretti esteri

La spinta al riallineamento verso i paesi del Sud del mondo si registra, insieme ad altre tendenze, anche per quanto riguarda gli investimenti esteri diretti del paese asiatico, che stanno comunque aumentando in generale in misura rilevante.

Secondo la Ernst & Young, nel 2023 essi sono ammontati a 130,1 miliardi di dollari, con un incremento rispetto all’anno precedente dell’11,4%. Un’altra fonte, forse in questo caso più completa e più analitica, la fDi, parla invece di un importo per il 2023 di 162,7 miliardi, registrando anche in questo caso un importante aumento rispetto all’anno precedente; tale seconda stima è stata ripresa anche dal settimanale The Economist

Una fonte, questa volta ufficiale, quella del ministero del Commercio estero cinese, stima che nei primi sette mesi del 2024 gli investimenti esteri del paese sono ammontati a 83,55 miliardi di dollari, con una crescita del 16,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Appare molto significativo il fatto che nel tempo sia molto cambiato il rapporto tra investimenti in entrata e quelli in uscita. Mentre nel 2003, considerando come pari a 10 quelli in uscita, quelli in entrata si collocavano al livello di 90, negli ultimi tempi gli investimenti in uscita tendono a superare sia pure di poco quelli in direzione opposta. 

Come nel caso del commercio estero, anche in quello degli investimenti sta crescendo in misura rilevante la quota dei paesi del Sud del mondo. Così, sempre per il 2023, quella dell’Arabia Saudita sul totale della Cina si è collocata ad un valore superiore al 10,0%, contro quasi zero soltanto alcuni anni fa; quella della Malaysia all’8,5%, del Vietnam al 7,5%, del Marocco al 6,0%, al 5,2 sia per quanto riguarda il Kazakistan che l’Egitto; e si potrebbe continuare.

Tale crescita generale si spiega con il fatto che molti settori tendono ormai ad essere maturi in patria, con una lotta concorrenziale sempre più aspra, mentre in altri, quelli legati alle nuove energie (veicoli elettrici, pale eoliche, pannelli solari, batterie per veicoli e per l’accumulo di energia e così via) e a molte nuove tecnologie, la Cina ha dei vantaggi competitivi importanti che cerca di far fruttare anche all’estero; pesano poi le opportunità create dai mercati di molti paesi del Sud che appaiono in forte espansione, nonché le iniziative volte a schivare le barriere tariffarie e di altro tipo poste dai pasi occidentali. Crescono infine gli investimenti cinesi anche nel campo dell’estrazione e lavorazione dei minerali critici.

In specifico nel settore dell’auto, di fronte alla minaccia di alte tariffe protezionistiche da parte dei paesi occidentali (dopo gli Stati Uniti e l’UE ora è la volta del Canada), si sviluppano gli insediamenti per la produzione di vetture e di batterie in vari paesi dell’UE, dalla Germania, all’Ungheria alla Spagna, mentre si avviano quelli in paesi che hanno trattati di libero scambio con i paesi occidentali, dal Messico al Marocco, nonchè quelli in molti paesi del Sud per coprire dei mercati in rilevante espansione, in questo caso in  molti paesi asiatici, dalla Thailandia all’Indonesia, alla Turchia, nonché in Brasile. Intanto i produttori d’auto europei, a cominciare dalla Volkswagen, soffrono fortemente, e l’imposizione di dazi ai produttori del paese asiatico da parte di Bruxelles non serviranno a migliorare molto la situazione. In totale si può stimare che gli insediamenti cinesi in corso di realizzazione o in fase di progettazione avanzata nei settori dell’auto e delle batterie nel mondo sono all’incirca una ventina, se non di più.

Intanto diminuiscono gli investimenti esteri diretti in entrata nel paese, in un quadro nel quale un ridimensionamento va registrato anche a livello globale. Il calo cinese è in ogni caso percentualmente superiore a quello generale.

Nel 2023 quelli verso la Cina sono ammontati a 163,25 miliardi di dollari, con un calo del 13,7% rispetto al 2022, quando essi si collocavano intorno ai 189,1 miliardi, punta massima raggiunta del fenomeno nel tempo. Essi sono ancora diminuiti nei primi sette mesi del 2024 del 29,6% sempre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. 

Ma rispetto al calo degli investimenti diretti in arrivo nel paese, si manifestano alcune eccezioni; la più clamorosa appare quella della Germania.

Nonostante che il governo tedesco, l’UE, gli Stati Uniti, spingano le imprese tedesche a diversificarsi dalla Cina, i loro investimenti diretti nel paese asiatico aumentano in misura rilevante. Nei primi sei mesi del 2024, secondo le cifre della Bundesbank, sono ammontati a circa 7,3 miliardi di euro, contro i 6,5 miliardi di tutto il 2023.

La Camera di Commercio tedesca in Cina stima nell’agosto del 2024 che più della metà delle imprese tedesche progetta di aumentare i propri investimenti nel paese.

Un manager tedesco di stanza in Germania sottolinea in un’intervista (Xinhua, 2024) come prima le imprese tedesche presenti in Cina mirassero ad espandere la loro capacità produttiva e commerciale nel paese, mentre ora mirano anche ad entrare nel fondamentale sistema di innovazione del paese.

Ragionamenti simili stanno facendo peraltro anche altri paesi. Si pensi ancora al caso dei paesi del Golfo, con i quali si stanno attivando grandi progetti di investimento di comune interesse a valle del petrolio ma anche nel settore delle nuove tecnologie, mentre dovrebbero ora svilupparsi in misura rilevante anche quelli con il Brasile.

-Il caso del Messico

Il caso del paese latino-americano, stretto economicamente e politicamente tra Stati Uniti e Cina, mostra tutte le complessità attuali del quadro relativo al commercio estero e agli investimenti diretti sempre esteri. 

Le esportazioni cinesi in Messico si sono collocate nel 2023 intorno ai 114 miliardi di dollari, contro soltanto 10,1 miliardi di importazioni, un caso su questo fronte simile a quello dell’India. Va peraltro considerato che una parte di tali merci vengono incorporate in prodotti che il paese latino-americano esporta negli Stati Uniti. 

Di recente lo stesso paese ha posto delle barriere tariffarie alle esportazioni di molti prodotti cinesi. Ufficialmente la mossa viene collocata nell’ambito di una spinta da parte del Messico verso la Cina affinché essa accresca invece i suoi investimenti diretti. 

Il caso di Byd, la grande impresa cinese leader nel settore delle vetture elettriche, mostra le difficoltà reali del caso. L’azienda vuole aprire uno stabilimento di produzione in loco, che dovrebbe all’inizio far uscire dalle linee di montaggio 150.000 vetture all’anno, per poi arrivare eventualmente sino a 500.000 unità.  Ma gli Stati Uniti esercitano forti pressioni sul paese latino-americano perché l’impianto non sia utilizzato per esportare vetture verso il loro mercato, mentre spingono il paese a non fornire a livello federale le consuete agevolazioni per l’installazione in loco dell’impianto. Ma tre Stati della Confederazione sono pronti a farlo e l’azienda cinese deve ora solo scegliere dove insediarsi. La società ha sospeso la decisione finale in attesa dei risultati delle elezioni americane. 

Curiosamente anche Tesla progetta un impianto nel paese latino-americano ed anch’essa attende ora di sapere chi sarà il vincitore della gara Usa di novembre. Da notare che già Volvo, società controllata da capitali cinesi, produce nel paese e che sono comunque presenti con le loro vetture sul mercato locale ben venti produttori del paese asiatico. E anche la Chery progetta di aprire un impianto nel paese latino-americano.

Alla fine, in ogni caso, il minaccioso e ingombrante paese vicino al Messico non fa più paura come una volta e sempre il paese latino-americano, sia pure tra qualche contorsione e qualche problema, non vuole di certo perdere gli investimenti cinesi.

-La posizione dell’UE

La posizione degli organi dirigenti della UE in tema di esportazioni ed investimenti cinesi nel nostro continente appare molto semplice e chiara: frenare in tutti i modi possibili le attività economiche del paese asiatico, rispondendo in questo alle imposizioni degli Stati Uniti. 

La manifestazione più vistosa di questo atteggiamento è sino a questo momento quella della fissazione di forti dazi sull’importazione di vetture e questo nonostante i produttori del nostro continente siano contrari a tali misure. Ma, al di là dell’auto, le iniziative ostili toccano ormai molti settori di attività (l’ultimo di questi giorni riguarda il campo dell’idrogeno) e sotto i pretesti più vari. La storia insegna che è sempre molto facile trovarli.

Per quanto riguarda gli investimenti diretti in uscita ed in entrata, la UE vorrebbe imporre alle imprese dei paesi membri un controllo preventivo da parte della Commissione. In questo caso l’opposizione del mondo imprenditoriale – e non solo – dei vari paesi dell’Unione appare ancora più forte che per quanto riguarda l’auto e il progetto Biden-von Leyen ha apparentemente molte difficoltà a passare.

Testi citati nell’articolo

-Ahya C., How much will higher tariffs hurt China ?, www.ft.com, 17 agosto 2024

-Baader K., The mith of deglobalisation hides the real shift, www.ft.com, 23 agosto 2024

-Xinhua, German investment in China…, www.chinadaily.com, 16 agosto 2024