Il Partito Laburista è lo strafavorito delle prossime elezioni in Gran Bretagna. Il suo programma punta a realizzare un difficile compromesso fra “responsabilità fiscale” e maggiori investimenti pubblici per rilanciare l’economia. Ecco le sfide cui sarà chiamato Keir Starmer se diventerà Primo Ministro.
Il Partito Conservatore dell’attuale Primo Ministro Rishi Sunak sembra destinato a perdere – e a perdere piuttosto male – le elezioni britanniche in programma il prossimo 4 luglio. A indicarlo non sono solo i sondaggi, che danno ai Conservatori 20 punti di distacco dall’opposizione Laburista. Sono gli stessi compagni di partito dell’attuale Premier ad aver fatto capire che considerano la battaglia praticamente persa. In quella che la stampa britannica ha sprezzantemente battezzato chicken run, diversi deputati Conservatori hanno spostato la loro candidatura dai collegi del Nord ex industriale, dove erano stati eletti (il famoso red wall espugnato da Boris Johnson nel 2019) ai collegi rurali (e ricchi) del Sud Est o del Sud Ovest, considerati più alla portata.
Al chicken run dei Conservatori, i Laburisti hanno contrapposto la Ming vase strategy: ovvero una campagna così prudente da essere paragonata a un uomo che cammina su un pavimento scivoloso trasportando un vaso Ming di inestimabile valore. Fortunatamente il racconto delle elezioni inglesi riesce ancora a strappare un sorriso (con le incombenti elezioni americane viene quasi voglia di piangere). Ma se il leader Laburista Keir Starmer sarà davvero eletto Primo Ministro a luglio, il suo piano per l’economia britannica dovrà essere preso molto seriamente. I Laburisti hanno promesso “responsabilità fiscale” ad un paese in cui ancora è fresco lo shock per la disastrosa esperienza del governo di Liz Truss, conclusasi dopo soli 49 giorni a causa di un crollo dei titoli di Stato britannici che aveva messo nei guai diversi fondi pensione e istituzioni finanziarie.
Le attuali regole fiscali del Regno Unito si basano su un obiettivo di debito (fiscal mandate) e un obiettivo di deficit (supplementary target). Il primo impone che il debito pubblico in percentuale del Pil (al netto dei titoli detenuti dalla Bank of England), mostri una traiettoria discendente entro cinque anni, ovvero tra il quarto e il quinto anno successivo all’evento fiscale considerato. Nel Budget presentato a marzo dal Cancelliere dello Scacchiere Jeremy Hunt, il debito era previsto scendere dal 93,2% nell’anno fiscale 2027-28 al 92,9% nell’anno fiscale 2028-2029.
La Cancelliera “ombra” dei Laburisti, Rachel Reeves, ha promesso che una volta al governo farà proprio il fiscal mandate (il quale dovrà naturalmente essere ricalcolato a partire da quando verrà presentato il primo Budget del nuovo esecutivo). Ma il Partito Laburista ha anche presentato un piano di significativi investimenti per accelerare la transizione energetica (Green Prosperity Plan). Fra le misure previste dal piano c’è la costituzione di una azienda pubblica per promuovere la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (la Great British Energy, che sarà dotata di un capitale di 8 miliardi di sterline). Per questo motivo Reeves ha dichiarato che intende modificare il supplementary target.
La regola attuale prevede che il deficit non possa superare il 3% del Pil nelle previsioni a 5 anni. Il Partito Laburista vuole invece introdurre un obbligo del pareggio di bilancio, ma solo per le spese correnti. In altre parole, gli investimenti pubblici dovrebbero essere lasciati fuori dal calcolo del deficit ai fini del supplementary target. Si tratterebbe di quella golden rule che è stata discussa anche dall’altra parte della Manica in occasione della recente riforma del Patto di Stabilità e Crescita (ma che non è stata di fatto incorporata nelle nuove regole fiscali europee approvate ad aprile). Questo tipo di approccio potrebbe anche garantire margini di manovra sulle spese correnti, dato che il già citato Budget di marzo aveva fatto registrare un surplus dello 0,4% del Pil al netto delle spese per investimenti.
Ad una analisi più dettagliata, tuttavia, la golden rule versione britannica è ben lungi dal rappresentare una facile soluzione ai problemi che si troverà a gestire il nuovo governo. Gli investimenti pubblici possono anche essere scorporati dal supplementary target; ma se contribuiscono a far aumentare il debito pubblico, e nella misura in cui sono contabilizzati su distanze superiori ai 5 anni, incidono sul fiscal mandate. Da questo punto di vista la difficoltà di conciliare i due target rimanda alle contraddizioni incorporate nella riforma del Patto di Stabilità e Crescita europeo. Il nuovo indicatore europeo della “spesa netta” non include le spese per interessi sul debito. Ma le spese per interessi incidono sulla dinamica del debito, che deve scendere secondo un ritmo preciso negli stati con un rapporto debito-Pil oltre una certa soglia.
I Laburisti hanno inoltre promesso di non mettere mano alle tre tasse che provvedono da sole ai due terzi delle entrate dello stato: l’imposta sul reddito, l’imposta sul valore aggiunto e la national insurance (i contributi previdenziali e assicurativi). Come sarà possibile allora conciliare questa impostazione di finanza pubblica piuttosto “conservatrice” con il Green Prosperity Plan? E con le promesse di rafforzamento del welfare che sono pur presenti nel manifesto Laburista? Come si intende affrontare l’emergenza di un servizio sanitario (NHS England) che ha un arretrato di 7,5 milioni di pratiche (incuse visite specialistiche e operazioni chirurgiche) per 6,3 milioni di pazienti?
La scommessa di Starmer e Reeves fa affidamento su due fattori. Il primo, paradossalmente, è l’eredità dei governi Sunak e Johnson. Complici le politiche economiche del periodo della pandemia da Covid-19, il prelievo fiscale nell’anno 2023-24 ha raggiunto il 36,9% del Pil, un valore che non si vedeva dall’inizio del governo Thatcher (prima dei massicci tagli di tasse della Lady di Ferro) e vicino al record storico del 37,2% registrato nel 1948. L’incremento della tassazione ha essenzialmente due cause: da un lato il congelamento delle soglie degli scaglioni dell’imposta sul reddito introdotto nel 2021 (soglie che né i Laburisti né i Conservatori hanno intenzione di “scongelare” negli anni a venire); l’inflazione ha fatto cadere molti contribuenti negli scaglioni più alti – e continuerà a farlo. Dall’altro lato l’aumento della tassa sui profitti dal 19% al 25% (per aziende con profitti superiori alle 250.000 sterline) varato, sempre nel 2021, dall’allora governo Johnson (di cui Sunak era Cancelliere dello Scacchiere).
Il secondo fattore è la crescita economica. Nel programma elettorale Laburista si dice di puntare al tasso di crescita economica più alto fra i paesi del G7. L’obiettivo è un po’ vago (a partire da che anno? Per quanto tempo?), ma il proposito è comunque ambizioso, e soprattutto funzionale a far entrare risorse per i programmi di spesa. Rachel Reeves ha definito il “planning system” – ovvero l’insieme delle regole per le autorizzazioni edilizie – “il singolo più grande ostacolo” alla crescita. La sua riforma dovrebbe portare alla costruzione di 1,5 milioni di nuove case nell’arco della prossima legislatura, in un Paese in cui la carenza di abitazioni, e il costo di quelle esistenti, è un tema molto sentito dall’elettorato (soprattutto quello laburista, al cui interno hanno un peso considerevole i giovani e gli abitanti delle grandi città, le categorie più vulnerabili rispetto alla questione abitativa).
Ma i bulldozer da soli difficilmente risolveranno tutti i problemi strutturali che in questi anni hanno zavorrato l’economia britannica. L’elenco sarebbe lungo. La produttività del lavoro soffre anche per l’inadeguatezza del sistema formativo: le scuole superiori inglesi, ad esempio, sono fra le poche al mondo dove la matematica non è insegnata fino alla fine del ciclo a tutti gli studenti. L’accordo per la Brexit siglato da Boris Johnson ha introdotto frizioni notevoli nei flussi commerciali con l’Unione europea, che rappresenta ancora il principale partner commerciale del Regno Unito.
Accanto a questi fattori di debolezza ci sono senza dubbio elementi di grande forza del sistema produttivo britannico: dal dinamismo di settori come la life science, la fintech o l’industria creativa, alla capacità attrattiva del paese per talenti da tutto il mondo. Senza trascurare la solidità delle istituzioni democratiche, e la qualità del dibattito pubblico e politico, che sono ben visibili anche nella campagna elettorale in corso.
Navigare fra questi problemi non sarà affatto facile per il futuro Primo Ministro. L’impressione è che dovrà continuare a camminare su un terreno scivoloso anche dopo aver vinto le elezioni. Il vaso Ming non sarà al sicuro nemmeno una volta varcata la soglia di Downing Street.