L’economista giapponese Kohei Saito, autore di L’ecosocialismo di Karl Marx: «La crisi ecologica è provocata dal capitalismo, sono necessarie più eguaglianza e sostenibilità ambientale». Da Extraterrestre.
Kohei Saito insegna economia politica a Osaka, è un fine marxista che ha forgiato una sensibilità filologica sui quaderni inediti di Marx sulle scienze naturali contenuti nella nuova edizione della Marx-Engels-Gesamtausgabe (Mega) e pensa che il capitalismo sia la causa della crisi ecologica. In Italia è stato appena tradotto L’ecosocialismo di Karl Marx, vincitore del Deutscher Memorial Prize 2018, (Castelvecchi, pp.371, euro 22). Un altro libro, Capital in the Anthropocene, è stato letto in Giappone da più di mezzo milione di persone.
«Il successo di questo libro è un esempio del bisogno di idee radicali e della crescita del dibattito marxista tra i movimenti ambientalisti – ci ha detto in un collegamento via Zoom dal Giappone – Anche i marxisti possono imparare molte cose dall’ecologia. Il pensiero critico del capitalismo e la riflessione critica sulla crisi ecologica possono essere fusi nell’ecosocialismo e fare un passo verso la giustizia, la sostenibilità, la libertà, la lotta contro la disuguaglianza, la sopravvivenza umana, il futuro del pianeta.
Cosa ha significato per lei il disastro nucleare di Fukushima nel suo paese nel 2011?
È stata la rivelazione definitiva per cui cerchiamo di avere un gigantesco sistema di produzione di energia elettrica e poi finiamo per distruggere la nostra stessa civiltà. L’alternativa socialista a questo sistema deve essere sostenibile. Altrimenti non ha senso. Il benessere e la prosperità della classe operaia non possono basarsi sulla distruzione della natura e sullo sfruttamento di altre persone nel mondo.
La ricerca di una prospettiva ecologista e socialista è ricominciata negli anni ’70 del XX secolo. Cosa è cambiato da allora?
L’idea per cui Marx è inutile per i movimenti ecologisti. Quello tra marxismo e ambientalismo è stato un antagonismo molto sfortunato. Capisco le preoccupazioni degli ecologisti. Esiste una lunga tradizione del marxismo e del movimento operaio caratterizzata dal produttivismo, cioè da più tecnologia, più crescita, più dominio della natura ritenuti necessari per emancipare gli esseri umani. Io non la penso così. Dai movimenti ecologisti abbiamo compreso che non possiamo dominare la natura perché anche noi siamo parte della stessa natura.
Cosa significa portare Marx nei movimenti ecologisti?
Significa spiegare i modi attraverso i quali il capitalismo è diventato una delle cause fondamentali dell’attuale crisi ecologica. Ciò ha coinciso con una migliore comprensione del fatto che anche Marx era consapevole del fatto che il capitalismo distrugge il pianeta. Sono questioni che non solo io, ma anche studiosi come John Bellamy Foster, Paul Burkett e altri hanno affrontato, soprattutto nei paesi di lingua inglese.
Sempre più spesso si sente parlare di Antropocene. Lei stesso ha usato questa categoria. Alcuni interpreti marxisti come Jason W. Moore propongono invece l’espressione Capitalocene e criticano quella di Antropocene che considera l’umanità come un tutto indifferenziato, impedisce di individuare i soggetti del conflitto di classe e non permette di comprendere la commistione originaria tra dinamiche sociali ed elementi naturali. Cosa ne pensa?
Comprendo la critica di Moore. Tuttavia vorrei evitare il rischio di trovarmi impelagato in giochi di parole. Ci sono termini che evidenziano altri aspetti del capitalismo: Technocene, Wasteocene, Plantationocene, Chthulucene. Sarei pragmatico: Antropocene è un termine consolidato nelle scienze naturali e umanistiche. Usiamolo per dialogare con altre persone e altre discipline. Ciò non toglie che non si possa dire che non è solo l’uomo in quanto tale (l’Anthropos) a distruggere il pianeta. E si potrebbe fare notare agli scienziati naturali che dovrebbero guardare al capitalismo, al potere, alla violenza. L’Antropocene è guidato dal capitalismo, è caratterizzato da oppressione, colonialismo, imperialismo, sfruttamento delle donne, delle popolazioni indigene e della natura.
Anche nei movimenti ecologisti è diffusa una certa cultura apocalittica. Da cosa nasce una simile rappresentazione del mondo?
Dal fatto che non si critica a sufficienza il capitalismo. Dopo la fine della guerra fredda questa critica è diventata sempre più debole. Lo si è visto nei nostri paesi, il Giappone e l’Italia, che hanno una forte tradizione marxista. Si sono fatti strada discorsi del tipo: «Gli esseri umani sono un male per la popolazione del pianeta»; la popolazione umana è troppo numerosa, egoista e non pensa alle generazioni future. Gli esseri umani sono cattivi, non possono cambiare e in fondo sono tutti già morti. Queste idee sono state diffuse da una visione astorica della crisi ambientale. Marx ci serve per rovesciare una simile impostazione. L’ideologia tedesca per esempio evidenzia il fatto che il pensiero, i desideri e i comportamenti sono condizionati dalle relazioni sociali. Il capitalismo è il sistema che le governa. Non è solo una faccenda teorica. Molte persone hanno capito che il capitalismo non funziona bene, ma non hanno altre soluzioni a questo problema, perché non conoscono altre società oltre al capitalismo. Marx, e i marxisti, invece sì. E noi ci proviamo. È molto importante creare di nuovo questo tipo di immaginazione.
Ecosocialismo, rivoluzione ecologista, decrescita, società sostenibile. Non c’è il rischio di essere troppo generici e contraddittori?
È una domanda interessante. Io credo che sia una possibilità, non un rischio. Altrimenti rischiamo di stare sulla difensiva, magari avremo ragione al 100%, ma un gruppo piccolo non cambia la società. Dobbiamo diventare più grandi e interagire con altre persone. Pensiamo a Greta Thunberg, per esempio. Lei non parla di comunismo o di socialismo. Ma dice che dobbiamo distruggere il capitalismo per sopravvivere. È un bene che siamo diventati così generali. Diventare generali significa che stiamo diventando più simili a una maggioranza, giusto? A disposizione abbiamo più possibilità di costruire alleanze con le ecofemministe, gli ambientalisti, con la classe operaia e molte altre persone. Ai marxisti direi di non avere paura, abbiamo molte risorse per comprendere la situazione. Perché allora non costruiamo alleanze più ampie?
Per il filosofo francese Michael Löwy l’ecosocialismo si riferisce alle lotte per l’uguaglianza, per l’abolizione dello sfruttamento e del dominio, e alle lotte per la difesa della natura e dell’ambiente. È d’accordo?
Sì, assolutamente. L’ecosocialismo ha due principi: l’uguaglianza e la sostenibilità. Il problema è che a volte la classe operaia o i movimenti fraintendono l’uguaglianza. Migliori condizioni di vita per la classe operaia non sono incompatibili con l’ambiente o la sostenibilità. Storicamente l’ambientalismo dei Verdi è sembrato rivolgersi alla classe media superiore e non alla classe operaia. Da qui è nata un’opposizione tra il verde e il rosso. Ma, allo stesso tempo, bisogna ricordare che il peggioramento della crisi ecologica aumenterà la sofferenza di chi vive nel Sud globale. Il marxismo di rivolge a tutti, non solo i lavoratori ma anche le persone dei Paesi colonizzati, dell’Africa, dell’America Latina. La lotta contro il capitalismo è anche una lotta per l’uguaglianza, contro lo sfruttamento e per difendere la natura. Verde e rosso non sono in contraddizione.
Per i marxisti americani Fred Magdoff e John Bellamy Foster l’idea del proletariato industriale e della classe operaia dovrebbe essere integrata da un nuovo soggetto rivoluzionario che chiamano «proletariato ambientalista». Cosa ne pensa?
Credo che il concetto di proletariato sia un po’ troppo ristretto. Si riferisce allo sfruttamento in fabbrica, ai lavoratori maschi sfruttati. Oltre la fabbrica esistono però altri tipi di sfruttamento. Il lavoro cognitivo, per esempio. Ed è per questo che Antonio Negri e Michael Hardt hanno criticato la concezione del valore diffusa nel movimento operaio. Sta a voi decidere se usare o meno il loro concetto di moltitudine. Il femminismo è decisivo. Silvia Federici, Mariarosa Dalla Costa, Leopoldina Fortunato hanno criticato la visione ristretta del marxismo tradizionale che si è concentrato troppo sulla questione della produzione, emarginando la questione della riproduzione. Per questo è molto utile il concetto marxiano di metabolismo che non riguarda solo la produzione, ma anche la riproduzione. Il metabolismo della natura e dell’uomo è un processo circolare. Non è solo un processo unilaterale di produzione attraverso lo sfruttamento della natura. Bisogna prendersi cura della natura e delle generazioni future. Ecosocialismo, decrescita, comunismo, ecofemminismo, vanno nella stessa direzione. Tutte queste riflessioni affrontano un problema importante: dobbiamo espanderci.
In questa prospettiva qual è l’apporto dell’ecosocialismo?
Permette di comprendere gli effetti distruttivi del capitalismo anche fuori dalla fabbrica, soprattutto tra i poveri che vivono vicino alle centrali a carbone e soffrono per l’inquinamento, perdono la loro terra a causa del clima anomalo, della siccità, degli incendi, la loro esistenza assomiglia a quella dei poveri di due secoli fa. Tutte queste persone formano una sorta di proletariato ambientale e possono avere lo stesso interesse a proteggere il pianeta, a lottare contro il capitalismo, a partecipare a un nuovo tipo di movimento socialista del XXI secolo.
Intervista pubblicata nell’inserto Extraterrestre de il manifesto del 14 dicembre 2023