Una miniera di rame in Afghanistan, un megaprestito alla Moldavia. Gli investimenti all’estero della Cina crescono, e spiazzano lo scacchiere internazionale
“… non c’è nulla di veramente rilevante né di miracoloso in un’economia che cresce al tasso dell’8% quando il credito si espande del 34%… (Kroeber)
“…tutto milita nel senso di un ruolo più importante dei cinesi nella corsa alle attività minerali ed energetiche in tutto il mondo… (Predoletti)
Il piano cinese contro la crisi e lo sviluppo dell’economia
Molti indicatori continuano a suggerire da qualche mese che l’economia cinese tende ad accelerare il passo; c’è chi prevede ormai una crescita del pil per il paese dell’8,7%- 9% nel 2009 e di un tasso di aumento a due cifre per il 2010.
E’ noto che tale ripresa è strettamente collegabile al piano di intervento pubblico varato ormai da tempo e che si concentra su di un vasto programma di lavori pubblici e sul parallelo aprirsi dei cordoni della borsa da parte delle banche.
Non mancano peraltro le possibili ombre. A questa ripresa si accompagna intanto la preoccupazione che si stiano varando moltissimi progetti inutili o a scarso ritorno economico, sprecando una parte consistente del denaro impiegato; inoltre, si teme un forte aumento dei crediti dubbi per il sistema bancario, nonché un nuovo avvio di fenomeni fortemente speculativi in borsa, nel settore immobiliare e in quello delle materie prime, alimentati dal credito facile, nonché della corruzione (Markowitz, 2009). Si teme inoltre che, passato l’effetto dello stimolo pubblico iniziale, l’economia possa ridurre fortemente i suoi tassi di crescita verso la metà del 2010 (Harrison, 2009), perché nel frattempo non si sarà riusciti a spostare abbastanza l’asse dello sviluppo verso i consumi privati.
In effetti tale processo di trasformazione, se portato avanti con decisione, richiederà molto tempo per materializzarsi in maniera soddisfacente:
1) bisognerebbe intanto che i redditi aumentino adeguatamente – rendendo tra l’altro lo sviluppo a più alta intensità di lavoro-, mentre il piano anticrisi prevede poco per il settore delle piccole e medie imprese, che creano la gran parte dell’occupazione del paese;
2) appare inoltre necessario che si riduca il tasso di risparmio, cosa quest’ultima legata, per quanto riguarda almeno quello privato, ad un sostanziale miglioramento nel sistema del welfare – ciò che potrebbe portare ad una riduzione del livello del risparmio cautelare- e ad un aumento delle prestazioni di un sistema finanziario ancora poco sviluppato e che rende difficile prendere a prestito del denaro;
3) per quanto riguarda invece le imprese –oggi in realtà esse risparmiano più delle stesse famiglie- bisognerebbe, tra l’altro, spingere quelle pubbliche a distribuire dei dividendi, cosa che oggi esse non fanno.
Ci vorranno in ogni caso parecchi anni per raggiungere dei traguardi adeguati. E’ vero ad esempio, in effetti, che il governo ha raddoppiato la spesa per il welfare tra il 2005 e il 2008, ma il totale rimane al livello del 6% del pil, contro una media del 25% nei paesi Ocse (The Economist, 2009). Nel frattempo il paese è pressato dalla necessità di tenere alto a tutti i costi il tasso di sviluppo per cercare di trovare uno sbocco occupazionale ai milioni di giovani e in particolare di giovani laureati che si affacciano ogni anno sul mercato del lavoro.
Comunque per il momento almeno l’economia sembra marciare in maniera molto decisa.
Lo sviluppo del paese ha in ogni caso ormai raggiunto dimensioni tali che si pone in maniera sempre più evidente il problema di una proiezione crescente di tale economia verso l’esterno. Tale proiezione può essere tra l’altro sostenuta, sul terreno finanziario, dalle enormi riserve valutarie del paese, stimate ufficialmente intorno a 2100 miliardi di dollari – ma che probabilmente sono in realtà abbastanza più elevate-, ma anche sulle grandi riserve di liquidità delle imprese pubbliche, oltre che di quelle private, che negli ultimi anni hanno fatto rilevanti profitti. Peraltro, anche il sistema bancario del paese, come i fondi di sviluppo messi in piedi negli ultimi anni, sono pronti a sostenere tale espansione. D’altro canto, l’esistenza di tali enormi riserve spinge la autorità a cercare delle vie per diversificarne gli impieghi.
Si pone in particolare così con forza crescente il tema degli investimenti esteri.
Gli investimenti esteri cinesi
Nel 2008 gli investimenti diretti stranieri verso la Cina sono diminuiti del 20%, mentre quelli della Cina verso l’estero sono contemporaneamente raddoppiati (www.chinadaily.com.cn, 2009).
Gli investimenti all’estero del paese asiatico sembrano aver acquistato una dinamica molto rilevante negli ultimi anni: essi si collocavano a meno di 500 milioni di dollari all’anno nel periodo 1982-89, a 2,3 miliardi in quello 1990-1999, erano poi cresciuti a circa 19,0 miliardi nel 2006, a 26,5 miliardi nel 2007, a 52,2 nel 2008. Nei primi mesi del 2009 essi sembrano ancora svilupparsi in maniera molto rilevante.
Il fenomeno tende a crescere nonostante le molte difficoltà che gli investitori del paese asiatico incontrano nei paesi sviluppati, ciò che spinge le imprese del paese a concentrare maggiormente l’attenzione verso le aree dei paesi emergenti e di quelli più poveri.
La motivazione più importante di tali investimenti è a tutt’oggi il desiderio cinese di assicurarsi delle fonti sicure di approvvigionamento delle materie prime necessarie al suo sviluppo industriale. Anche la ricerca di marchi, di reti commerciali e di know- how e più in generale di imprese dei paesi sviluppati appare importante, ma queste ricerca è di frequente frustrata dai governi interessati. Un terzo asse di sviluppo è costituito dal desiderio più generale delle grandi imprese pubbliche del paese ad espandersi internazionalmente, mentre esse incontrano una concorrenza crescente in patria da parte delle imprese locali e di quelle estere. Si va anche configurando, infine, la tendenza da parte di molte imprese di trasferire degli impianti all’estero in aree dove esse possano godere di più bassi costi del lavoro, come in particolare il Vietnam o l’Africa.
Può essere utile segnalare brevemente due tra i progetti più recenti portati avanti dal paese asiatico perché essi sembrano configurare in qualche modo un salto di qualità nell’espansione estera cinese, mentre essi pongono numerosi interrogativi politici.
Miniere
Il primo progetto riguarda l’Afghanistan. Incuranti dello svolgimento delle operazioni militari nel paese, i cinesi della China Metallurgical Corporation, dopo aver vinto una gara internazionale, hanno firmato nel 2007 un accordo per lo sfruttamento di una grande miniera di rame ad Aynak, 60 chilometri a sud di Kabul; si tratterebbe di un’area che nasconde probabilmente la seconda riserva mondiale per importanza del metallo.
Nel mese di luglio di quest’anno hanno avuto inizio i lavori di sistemazione del sito e di installazione degli impianti, mentre si prevede che l’attività di estrazione del minerale avrà inizio nel 2013. Sull’iniziativa ci informa, ad esempio, un articolo recente de Le Monde (Bobin, 2009)
Si tratta del più grande investimento mai realizzato nella storia del paese; esso ammonta grosso modo a 8 miliardi di dollari. I cinesi, per vincere la gara, si sono impegnati anche a installare un impianto siderurgico, una ferrovia che permetterà l’esportazione del prodotto finito e infine una centrale termica che alimenterà di elettricità, oltre che l’impianto minerario, anche la capitale del paese, Kabul.
L’impatto del progetto sarà molto importante a livello nazionale. Tra l’altro, il governo dovrebbe estrarne circa 400 milioni di dollari di introiti fiscali all’anno, somma che è equivalente al 28% delle entrate annuali attuali dello stato.
Il progetto di Aynak è un primo assaggio di quello che si potrebbe fare nel settore minerario nel paese; il sottosuolo è ricco di petrolio, gas, argento, ferro, uranio. I cinesi potrebbero avere la priorità su alcuni di tali ulteriori progetti.
I rischi legati all’iniziativa appaiono comunque rilevanti; sul piano strettamente militare, 1500 poliziotti afgani proteggono attualmente gli operai cinesi. Cosa ne pensano i talebani del progetto? Si teme, su di un altro piano, per un sito archeologico collocato all’interno dell’area interessata dai lavori.
Che alla fine i paesi della Nato e gli Stati Uniti, con i loro apparentemente vani sforzi militari, stiano lavorando essenzialmente per i cinesi? Appare in ogni caso indubitabile il desiderio attuale dei governanti afgani di liberarsi da una stretta tutela statunitense e di diversificare largamente le loro alleanze.
E’ interessante a questo punto ricordare che in Iraq l’unica gara sinora assegnata per lo sfruttamento delle risorse petrolifere del paese e che riguarda un giacimento di enormi dimensioni, è stata vinta da un consorzio anglo-cinese, mentre nel Kurdistan irakeno sempre i cinesi si sono impadroniti di rilevanti concessioni sempre nel settore.
Il progetto afgano comunque può far venire alla mente un obiettivo classico e molto semplice degli investimenti all’estero di un paese o di un’impresa, quello della ricerca delle materie prime necessarie al suo sviluppo, sia pure in condizioni molto particolari. Molto più complesso nei suoi obiettivi il secondo caso che di seguito citiamo.
Prestiti
Su questa seconda iniziativa recente, in Moldavia, ci informa ad esempio abbastanza esaurientemente il Financial Times (O’Neill, 2009).
Una settimana prima delle elezioni moldave, alla fine di luglio la Cina ha firmato un accordo per prestare al paese un miliardo di dollari, La Moldavia è un paese senza grandi risorse di alcun genere e in grande crisi di liquidità; recentemente, gli Stati Uniti, l’Unione Europea e ovviamente la Russia – la Moldavia, come è noto, era considerata sino a poco tempo fa un bastione sicuro dell’influenza russa- si stanno disputando l’influenza economica e politica nel paese. Ma interviene all’improvviso la Cina e presta una somma che è il doppio di quella promessa dalla Russia e molto di più di quanto promesso dagli Stati Uniti.
Le condizioni del prestito sono ovviamente molto favorevoli, con 5 anni come periodo di grazia, un tasso di interesse del 3% annuo, mentre la restituzione del denaro è prevista dopo 15 anni.
La somma dovrebbe essere utilizzata per molti obiettivi pressanti: progetti infrastrutturali, energetici, acquedotti, industrializzazione dell’agricoltura, creazione di industrie a tecnologie avanzate. I cinesi fanno intendere che l’ammontare del prestito potrebbe crescere anche di molto in relazione alle necessità e alle richieste del paese.
Nel frattempo, il governo moldavo ha messo alla porta i tecnici del FMI che ponevano condizioni capestro ad un eventuale intervento finanziario, mentre i cinesi, oltre a non porre condizioni, non sembrano particolarmente preoccupati di come il denaro verrà restituito.
Sulle ragioni di tale iniziativa cinese, per alcuni versi abbastanza sorprendente, le ipotesi che si possono fare sono molteplici. Il progetto fa pensare più ad una possibile diversificazione del rischio e a considerazioni geo-politiche che ad un ritorno economico. Sembra si possa registrare, in effetti, una sfida sottile alla Russia e agli Stati Uniti in un paese nel quale la Cina era sino a ieri un semplice spettatore. Forse l’iniziativa potrebbe anche essere una possibile risposta ad un aumento delle tensioni con la Russia, che di recente, tra l’altro, ha sequestrato merci di commercianti cinesi per miliardi di dollari in un mercato moscovita.
La mossa, così come quella precedentemente ricordata, mostra comunque in generale che la Cina, superando una tradizionale reticenza a disturbare le grandi potenze nei loro giochi e nelle loro aree sensibili, tende ormai a porsi come un protagonista economico e politico a livello mondiale. Evidentemente essa si sente ormai abbastanza sicura.
Testi citati nell’articolo
– Bobin F., la mine de cuivre afghane d’Aynak, sous controle chinois, www.lemonde.fr, 4 agosto 2009
– Harrison E., Stephen Roach sees a w-shaped recovery for China, www.rgemonitor.com, 7 agosto 2009
– Kroeber A., China economic policy: a ”Great Wall” or Capuan complacency?, www.ft.com, 11 agosto 2009
– Markowitz A., Krugman warns of chinese bubble, www.businessweek.com, 12 agosto 2009
– O’Neill L., China gains a foothold in Russia backyard, www.ft.com, 28 luglio 2009
– Pedroletti B., La Chine à la conquete des sources d’énergie, www.lemonde.fr, 17 agosto 2009
– The Economist, The spend is nigh, 30 luglio 2009
– www.chinadaily.com.cn, On China’s rapid growth in outward FDI, 3 agosto 2009