Negli ultimi anni sono stati elaborati diversi indicatori multidimensionali del benessere che consentono di ‘andare oltre il PIL’. Oggi occupano un posto marginale nel processo di policy making ma se effettivamente inclusi potrebbero portare benefici reali. Da Eticaeconomia.
Negli ultimi anni il tema della misurazione del benessere e del progresso della società ha assunto un’importanza crescente anche a seguito della necessità, avvertita a livello globale, di andare “oltre il PIL”. All’interno dei dibattiti pubblici si era fatta strada l’idea che il progresso e il benessere di un Paese non fossero adeguatamente rappresentati dalla sola crescita economica; la limitata disponibilità di risorse naturali e la sempre maggiore attenzione a valori quali la giustizia, l’inclusione, la tutela dell’ambiente, hanno portato a elaborare una nozione di sviluppo che prendesse in considerazione i bisogni del presente senza compromettere quelli del futuro. Sull’onda di questo nuovo consenso internazionale sono state avviate numerose iniziative da parte di istituzioni internazionali, europee e nazionali e gli istituti statistici di tutto il mondo hanno migliorato enormemente le metriche in grado di monitorare la qualità della vita.
L’Italia ha sviluppato una definizione condivisa di benessere a livello nazionale, il Benessere Equo e Sostenibile (BES), e, come l’Italia, molti altri Paesi hanno sviluppato dei framework nazionali, contribuendo ad alimentare il consenso verso misurazioni multidimensionali del progresso. Nonostante questi avanzamenti, però, gli indicatori di benessere occupano un ruolo ancora molto marginale nel policy-making.
I sistemi di monitoraggio del benessere sorti a livello nazionale non hanno portato a un cambiamento di paradigma nel modo in cui le politiche vengono concepite, realizzate e valutate. Sebbene alcuni Paesi, tra cui l’Italia, abbiano avviato delle sperimentazioni che prevedono un collegamento tra indicatori di benessere e programmazione di bilancio, le variabili economiche continuano a rappresentare la bussola delle politiche pubbliche. L’adozione di meccanismi istituzionali che tengano realmente conto delle varie dimensioni di benessere, dell’ambiente e degli effetti eterogenei delle politiche sui differenti gruppi sociali potrebbe portare, invece, numerosi vantaggi come sostenuto, fra gli altri, da Stiglitz, Fitoussi e Durand (Beyond GDP: Measuring What Counts for Economic and Social Performance, 2018).
Un primo beneficio si otterrebbe a livello di coesione e cooperazione delle agenzie governative, che spesso operano senza tenere in considerazione gli spillover delle politiche di cui sono direttamente responsabili. L’identificazione di un insieme di outcomes relativi alle varie dimensioni di benessere, su cui valutare tutte le politiche, può essere utile per aumentare la coerenza delle azioni del governo e creare un linguaggio comune tra le agenzie per discutere di questi impatti. Tale meccanismo, poi, offrirebbe la possibilità ai decisori politici di individuare gli effetti dei programmi e articolare trade-off e spillover in modo più esplicito e trasparente, migliorando l’accountability. Inoltre, tenendo in considerazione indicatori relativi alle dotazioni di capitale in senso ampio (naturale, umano, sociale ed economico), la valutazione delle politiche acquisterebbe un’ottica di più lungo periodo e controbilancerebbe la prospettiva di breve periodo adottata nella maggioranza degli interventi normativi. Infine, un sistema integrato di monitoraggio, valutazione e di rapporti periodici stimolerebbe il dibattito pubblico su ciò che è realmente importante per la qualità della vita e aiuterebbe a promuovere una discussione diffusa a tutti i settori della società (partiti politici, società civile, imprese, singoli cittadini).
Lorenzo Germani collabora con la Campagna Sbilanciamoci! e ha lavorato al progetto di ricerca per la costruzione del nuovo indicatore di benessere BIL (Benessere Interno Lordo), presso il Dipartimento di Studi Aziendali ed Economici dell’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”.