Inchiesta del New York Times, in italiano e in inglese, sul crollo del ponte Morandi a Genova, con ricostruzione della dinamica anche attraverso le immagini e interviste a ingegneri.
GENOVA — In quella mattina d’estate di pioggia fitta, Davide Capello, un vigile del fuoco fuori servizio, era appena uscito dal tunnel sul ponte principale di Genova quando sentì un rumore basso e sordo intorno alla sua macchina. Non gli sembrava un tuono.
Il signor Capello, 33 anni, guardò in alto e vide un’enorme nuvola di polvere bianca alzarsi in mezzo alla nebbia e alla pioggia. Una macchina bianca, 20 o 30 metri davanti a lui, sembrò sparire nel vuoto. Frenò di scatto, ma il vuoto continuava ad avanzare verso di lui, mentre la strada crollava, pezzo per pezzo, come un precipizio affacciato sull’oblio.
In una frazione di secondo, anche la sua macchina precipitò, con il muso verso il basso, il parabrezza oscurato dalla polvere e blocchi di calcestruzzo che volavano tutto intorno. “Sono morto! Sono morto!” urlò d’istinto.