Accontentati gli investitori internazionali, Marchionne ha presentato un nuovo piano per il gruppo che vede sempre più marginalizzato il ruolo direzionale di Torino e spostare altre produzioni e know how all’estero a cominciare dalla Magneti Martelli.
Il piano che Marchionne, con grande squillare di trombe, ha presentato nel cosiddetto Investor Day non è solo un documento sulle strategie del gruppo FCA, esso rappresenta anche un bilancio dei risultati ottenuti in questi anni alla guida di una delle più controverse case dell’auto.
Shakespeare mette in bocca a Marcantonio, nel “Giulio Cesare”, la frase “…il male che gli uomini fanno vive dopo di loro, il bene viene spesso sepolto con le loro ossa…”. Per non essere accusati di qualche colpa, quindi, ricorderemo oltre alle cattive, anche le cose buone che Marchionne ha fatto.
Ovviamente al manager va riconosciuto il merito di avere salvato un gruppo che era al collasso. Ma avrebbe anche potuto farlo in maniera molto diversa, evitando di trasformare i lavoratori in paria; tra l’altro, ha così anche contribuito a creare quel clima che aprirà la strada alle truppe di Renzi, con il Jobs act e dintorni.L’incontro con la Chrysler è poi stato un evento fortuito che Marchionne ha saputo trasformare in un successo. Un merito, i cui vantaggi sono andati solo agli azionisti, è stato quello di aver “spacchettato” il gruppo, con la creazione di tre realtà distinte, Ferrari, CHN e FCA, contribuendo a far passare il valore del tutto dai 6, 5 miliardi del 2004 ai 65 di oggi. Miracoli della finanza “creativa”, che rende molto di più che produrre buone auto sudando.
Un altro merito per gli azionisti, ma un grande danno per l’Italia, è stato lo spostamento dal centro delle attività fuori dal nostro paese, tra Detroit, Paesi Bassi, Londra, tra l’altro svuotando silenziosamente Torino di molto personale e di molte competenze, oltre alla sede del comando; la presenza da noi è sempre più marginale. Lo spostamento è avvenuto come è noto, senza neanche dire grazie per le enormi somme che il nostro paese ha graziosamente a suo tempo donato agli Agnelli a ogni loro cenno di bisogno e senza che la classe dirigente italiana mostrasse qualche osservazione critica per la partenza.
D’altro canto, sono presto cominciate ad arrivare da Marchionne, ogni volta tra cortei osannanti di giornalisti, politici, sindacalisti, cortei che si sono ovviamente ripetuti per l’Investor Day, le promesse fantasmagoriche. Così prima è stata delineato l’obiettivo della produzione a livello globale di almeno 6 milioni di vetture, poi sono stati annunciati per il nostro paese grandi investimenti che poi non si sono visti, nonché la piena occupazione per il 2018, mentre invece siamo ancora di fronte a molta cassa integrazione; inoltre la produzione in Italia di 1,4 milioni di vetture (siamo invece a 750.000), il lancio di 8 modelli per l’Alfa, con 400.000 unità prodotte all’anno (siamo molto distanti; sono stati messi in produzione solo 2 modelli e le vendite del 2017 si aggirano sulle 110.000 unità).
Prima di ciò il gruppo appariva in un vicolo cieco: mentre tutte le case annunciavano grandi investimenti nelle vetture elettriche e in quelle autonome, la voce della FCA non si era sentita, o meglio Marchionne aveva tuonato a lungo, tra cori sempre osannanti, sull’irrilevanza delle nuove tecnologie: questo è successo per miopia, per mancanza di soldi da investire, per la volontà di vendere presto l’azienda? Non sappiamo.
In ogni caso si parla da tempo di probabili acquirenti dell’azienda, americani e/o cinesi od anche coreani. Che tragedia, rispetto a quella che è stata la più importante storia industriale nazionale.Ma, come si sa, tout passe, tout casse e a molti padroni prima o poi tout lasse. In ogni caso, per gli investitori Montecarlo o le Bahamas sono luoghi più piacevoli dove soggiornare e da dove giocare in Borsa. Stanno intanto sbarcando in forze i mostri di un altro pianeta, i gruppi digitali Usa e cinesi, che vogliono trasformare l’auto in un semplice telefonino con quattro ruote e ridurre le aziende del settore a semplici fornitori di un hardware di base. Se la loro idea si avverasse, assisteremmo, tra l’altro, ad un suicidio di massa dei manager tedeschi, che basano tutte le loro strategie sulle prodezze meccaniche delle vetture e sulla sofisticazione crescente dei loro apparati.
Intanto si annuncia anche lo sbarco nel settore dei big del petrolio, mentre sul tutto vola l’avvoltoio Trump.
Il nuovo piano di Marchionne parte dalla vecchia promessa dell’annullamento del debito netto finanziario, che appare cosa ormai fatta. Sul piano industriale, si prevede la concentrazione del gruppo sulle vetture premium, con il forte potenziamento dei marchi Jeep (si prevede il sostanziale raddoppio della produzione), Ram, Alfa (si rispolvera la promessa bidone della vendita di 400.000 vetture, ma questa volta nel 2022), Maserati; si punta parallelamente sui modelli Suv e pick-up; il marchio Fiat ( come del resto quello Chrysler) diventa quasi un appestato e dovrebbero restare solo i modelli 500 e Panda, la cui produzione sarebbe spostata in Polonia e la cui vendita sarebbe limitata all’Europa e all’America Latina; si annuncia ancora, insieme all’addio al diesel, la riconversione verso le nuove tecnologie, rinnegando quanto affermato sino a ieri, finalmente con la promessa di rilevanti investimenti nell’auto elettrica e in quella a guida autonoma (peraltro in quest’ultimo settore con un approccio molto limitativo), mentre si conferma la prossima quotazione della Magneti Marelli; il piano fa poi intravedere la necessità di quelle che pudicamente chiama “alleanze” con altri produttori. Ma l’azienda non è in grado di giocare da pari a pari quasi con nessuno.
Di fronte a tali indicazioni i dubbi sono molti: per l’Italia la nuova strategia significa molti meno posti di lavoro con la produzione solo di vetture premium (dato anche che attualmente quasi i due terzi degli addetti lavorano sulla vetture piccole); e la Jeep riuscirà a raddoppiare i volumi? E i soldi per i nuovi modelli –ne serviranno tanti- da dove arriveranno? Li porteranno i cinesi? I 45 miliardi promessi da Marchionne per i prossimi cinque anni sembrano molti e possono rivelarsi promesse di marinaio, ma in realtà, per altro verso, appaiono insufficienti per la riconversione produttiva apparentemente individuata e per finanziare le molte decine di nuovi modelli come al solito promessi. In particolare, peraltro, la tardiva conversione all’elettrico è una decisione vera e con tempi rapidi (ma i posti a sedere sembrano già occupati e l’azienda è in grave ritardo di tempi su tutti i principali concorrenti) o il solito annuncio farsa?
In alternativa a Marchionne, la Fiom ha organizzato contemporaneamente un Workers Day. L’organizzazione sindacale sembra pensare a proposte che puntano a valorizzare l’importante know-how tecnologico che nel settore ha ancora oggi il nostro paese, rilanciandolo con gli investimenti e la ricerca e cercando di mantenere la produzione in patria anche delle vetture piccole, avviando sul serio comunque il lavoro anche sulle nuove tecnologie. Sembra l’unica strategia ragionevole, sperando comunque che la parte meccanica delle auto non soccomba a quella digitale.Una scommessa con molti dubbi, mentre Marchionne è pronto a cedere a chiunque la magneti Marelli, società nella quale si concentra una parte molto importante del know-how nazionale nel settore.
Ma intanto anche i nuovi padroni, a cominciare da Di Maio, sembrano applaudire alle scelte del gruppo.