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Una “Nota” di delusione

La Nota di Aggiornamento licenziata dal Consiglio dei Ministri non contiene misure capaci di incidere sulla crescita del Paese. Abbiamo evitato l’aumento dell’IVA ma non ci sono investimenti pubblici né stanziamenti per il welfare. Si poteva fare di più.

Delusione, questa è la prima reazione che proviamo di fronte alla Nota di Aggiornamento (NADEF) licenziata dal Consiglio dei Ministri del 30 settembre. 

È una manovra di galleggiamento, all’insegna del “vorrei, ma non posso”. Gli investimenti pubblici si riducono dal 2019 al 2020, e così anche la spesa pubblica. Non ci sono risorse – ad una prima lettura – per istruzione, sanità e welfare, solo qualcosa per tagliare le rette degli asili nido alle famiglie più povere: vedremo lo specifico delle misure nella Legge di Bilancio. Per il cuneo fiscale 2,7 miliardi di euro, una posta di bilancio che avrà un modesto effetto nelle buste paga degli italiani. Per il resto, molto poco. Dei soldi per il rinnovo del contratto dei lavoratori della pubblica amministrazione non si parla. Rimane il fatto positivo della sterilizzazione di 23,1 miliardi di euro di clausole IVA: una tassa regressiva evitata. Si prevedono oltre 7 miliardi di euro di entrate dalla lotta all’evasione: una cifra enorme e aleatoria. Qualche piccolo taglio è previsto dalle riduzioni dei sussidi ambientalmente dannosi, ma ancora non si sa quali siano. Si prevede una Legge di Bilancio intorno ai 29 miliardi di euro.

La situazione è assai problematica: il debito è arrivato a oltre il 135% del PIL, l’economia è in stagnazione, i consumi delle famiglie sono cresciuti di appena lo 0,4%, un livello molto basso, siamo tornati al livello del 2014. La crescita reale dell’economia nel 2020 è prevista, grazie alla manovra, ad un modesto 0,6%, rispetto ad una previsione tendenziale dello 0,4%. Tradotto in parole povere: secondo il Governo l’impatto espansivo della manovra sarebbe dello 0,2%. Quasi nullo.

In questo contesto ci si aspettava di più. È una nota che non contiene misure significative, capaci di incidere sulla crescita del nostro Paese. Gli investimenti rimangono al palo, non si prevedono misure fiscali nel segno della progressività e della giustizia sociale. La NADEF vara, sì, il Green New Deal. Ma di concreto per il momento c’è poco. Si prevede un Disegno di Legge (collegato alla Legge di Bilancio) che però dovrà essere discusso e approvato dal Parlamento. Quanto tempo passerà? Poi, la nota prevede per il Green New Deal un fondo di 50 miliardi per i prossimi quindici anni. Il grosso dei soldi – come sempre in questi casi – è previsto nella seconda parte del quindicennio, cioè tra un paio di legislature. Al momento c’è quasi niente, forse un miliardo per il prossimo anno. 50 miliardi sembrano tanti, ma diviso per quindici anni fa comunque poco più di 3 miliardi l’anno, un po’ poco per un programma così ambizioso. Non c’è traccia della promessa del ministro Speranza di abolire i super-ticket, mentre per l’istruzione le poche risorse aggiuntive riguardano l’edilizia scolastica. Per la Difesa si va avanti as usual: nessuna riduzione ai finanziamenti dei sistemi d’arma.

Il bicchiere quindi è mezzo pieno e mezzo vuoto. Mezzo pieno perché abbiamo scongiurato la flat tax, scansato uno scontro drammatico con l’Europa e abbiamo evitato l’aumento dell’IVA. Mezzo vuoto perché non ci sono misure per dare la scossa a un’economia in stagnazione e farla ripartire, non ci sono investimenti pubblici, non ci sono stanziamenti per il welfare e il Green New Deal rimane ancora uno slogan.

Si poteva fare di più, si deve fare di più. Serve più coraggio.