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Un business ignobile

L’intreccio perverso tra politica, criminalità e affari che la procura di Roma ha messo in luce con l’inchiesta “Mondo di mezzo” supera di gran lunga quanto in molti e da tempo hanno cercato di denunciare restando del tutto inascoltati

Di un vero e proprio business che si è sviluppato attorno alla gestione dell’accoglienza dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati così come dei cosiddetti “campi nomadi”, non solo a Roma, noi insieme a molti altri parliamo da anni. Solo l’anno scorso avevamo ricordato ad esempio come la gestione dell’ “emergenza Nord-Africa” proclamata nel 2011 dal governo Berlusconi avesse comportato il dispendio di 1,5 miliardi di euro disseminati in mille rivoli e tra “enti gestori” improvvisati che con le attività di accoglienza non c’entravano niente (Qui il nostro dossier I diritti non sono un costo). Sempre l’anno scorso avevamo evidenziato che a Roma l’allestimento e la gestione del sistema di segregazione dei “campi nomadi” aveva movimentato almeno 69 milioni di euro tra il 2005 e il 2011 (dossier Segregare costa). Queste le cifre ufficiali comunicate dall’Ufficio nomadi del Comune solo dopo insistenti e ripetute richieste.

La stampa sta fornendo adesso dettagli su un sistema di potere e di controllo economico della capitale (e non solo) occulto e inquietante per la sua trasversalità e pervasività. I giudici non a caso lo hanno definito un sistema reticolare. Se molti dei personaggi chiave coinvolti hanno indubbiamente una storia “nera”, l’inchiesta esplicita molto bene che il business è capace di oltrepassare qualsiasi confine politico mettendo in relazione tra loro rappresentanti politici, amministratori e manager con storie politiche molto diverse. Non ci soffermiamo sui “dettagli” sconcertanti messi in luce dalle cronache di questi giorni, l’hanno già fatto molto bene altri: (si vedano Huffingtonpost.it, Il Manifesto, Redattore Sociale). Non è la cronaca a necessitare di approfondimenti, ma la nostra capacità di andare oltre una lettura esclusivamente emotiva, effimera e scandalistica di quanto successo. E allora. 1. Vi è il diritto dei migranti, dei richiedenti asilo, dei rifugiati e dei rom di ottenere delle scuse da parte di tutti quegli esponenti politici, di quei giornalisti e di quei cittadini organizzati (più o meno spontaneamente) che in questi mesi li hanno additati come indebiti destinatari delle risorse pubbliche investite nell’accoglienza e nell’inclusione sociale. I famosi 35, 40 o 50 euro messi a disposizione dei centri di accoglienza non “vanno nelle tasche” delle persone ospitate ma degli enti gestori. 2. Tutti i giornalisti mainstream che nelle ultime settimane hanno ospitato Salvini a tutte le ore del giorno e della notte, sperando di aumentare il numero di lettori, ascoltatori e telespettatori cavalcando la sua retorica spudoratamente demagogica, intollerante e fuorviante, potrebbero decidere di dare voce direttamente ai migranti, ai rom e ai rifugiati. 3. Vi è un problema di trasparenza dell’attività delle pubbliche amministrazioni, di qualsiasi livello siano. Servizi dati in affidamento senza procedere a gare pubbliche, articolazione dei bilanci degli enti pubblici fatta apposta per rendere impossibile la ricostruzione dell’impiego e della gestione delle risorse, mille cavilli burocratici frapposti alla legittima richiesta dei cittadini di sapere come vengono spesi i loro soldi. 4. Vi è un problema di trasparenza dei bilanci dei soggetti privati: la reintroduzione del reato di falso in bilancio non può più aspettare. 5. È necessaria e non rinviabile una programmazione intelligente degli interventi. Le emergenze non esistono. Esistono dei diritti fondamentali che devono essere tutelati e dei servizi che devono essere garantiti e le istituzioni pubbliche dovrebbero organizzarsi in modo conseguente approntando un sistema nazionale e coordinato di accoglienza e di inclusione ORDINARIO. 6. L’inchiesta, se mai ce ne fosse stato bisogno, dimostra in modo lampante che smantellare il sistema dei campi è l’unica cosa da fare subito. Innanzitutto perché esso produce e riproduce segregazione, esclusione e violazioni dei diritti; in secondo luogo perché è molto più oneroso di politiche di inserimento abitativo, sociale e lavorativo più lungimiranti. Per essere più chiari: il sistema dei campi è per definizione destinato ad autoalimentarsi e ad estendere la cerchia di coloro che dalla sua gestione ricavano ingenti profitti. L’unica soluzione è cancellarlo. 7. Le organizzazioni di terzo settore che sono coinvolte nella gestione del sistema di accoglienza a cipolla (l’espressione è di Stefano Liberti) e “dei campi nomadi” sono le prime che dovrebbero ribellarsi ed esigere un cambiamento radicale delle politiche di accoglienza e inclusione sociale a livello locale e nazionale. Le terre di mezzo romane e non solo sono troppo estese per pensare che basti un’inchiesta per cambiare nel profondo un sistema criminale consolidato. Senza una forte reazione della società civile, dei migranti e dei rom in primo luogo, è improbabile che il business indecente cresciuto sulla loro pelle possa essere fermato.