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Trump e il futuro degli accordi commerciali

L’atteggiamento del neopresidente Usa accentua la spinta in atto allo spostamento del nucleo centrale dell’economia mondiale verso il Pacifico e in particolare verso l’Asia del sud est e la Cina

Apparentemente, stando alle dichiarazioni fatte da Trump durante la campagna elettorale e anche dopo, i trattati “commerciali” che Obama aveva con tanta cura cercato di portare avanti nei suoi anni di presidenza, sembrano ormai saltati. Si va, come è noto, dal TPP, che riguardava i rapporti con l’America Latina e l’Asia, al TTIP, che investiva invece quelli con l’Europa, infine al CESA, che toccava il settore dei servizi.

In effetti, ogni attività politico-diplomatica in proposito sui vari fronti sembra essere cessata, o formalmente “sospesa”, in attesa di tempi migliori, mentre assistiamo anche alle dichiarazioni sconsolate dei molti che speravano che le cose andassero avanti ed anche a quelle di chi auspica ancora che le cose tornino ancora alla “normalità” di obamiana memoria. Non è certamente il nostro caso.

E’ noto che il TPP era stato ormai sottoscritto dai paesi interessati e mancava nella sostanza solo l’approvazione da parte del Congresso americano, mentre per il TTIP si era ancora in una fase di negoziazione tra le parti, in presenza comunque di una forte opposizione della società civile di diversi paesi europei e anche di quella di diversi ambienti politici, in particolare in Francia e in Germania. Il CESA, infine, si trovava in uno stadio ancora più arretrato del suo ciclo di messa a punto e comunque presentava tutti i difetti degli altri due, più qualcuno di suo.

E’ opinione diffusa che gli obiettivi di tali trattati, almeno in parte a torto definiti semplicemente commerciali, e che riguardavano in realtà una tematica molto più ampia, avevano come obiettivi principali quelli di far avanzare il dominio economico delle multinazionali statunitensi e quello politico degli Stati Uniti, mentre cercavano invece di frenare parallelamente l’avanzata della Cina, che era comunque non a caso esclusa dalla partita.

Ora che tutto questo sembra finito, cosa succederà? Come si rimedierà all’ horror vacui?

Asean, Apec, Ftaac, Rcep

Bisogna a questo punto ricordare che la gran parte dei paesi emergenti e anche delle realtà come l’Australia, la Nuova Zelanda, la Corea, il Giappone, vedono ancora come fondamentale il ruolo del commercio internazionale nelle loro politiche di sviluppo economico. Tale visione è in questo momento anche accentuata dal rallentamento economico di cui tali paesi soffrono.

Così all’incontro dell’Apec (si veda meglio più avanti) che si è concluso il 20 di novembre, il presidente del Perù, rispecchiando sostanzialmente il sentimento della gran parte degli altri paesi emergenti, ha sottolineato come la retorica protezionistica di Trump e il voto britannico per l’uscita dall’Unione Europea rappresentino degli sviluppi minacciosi per l’economia globale. “E’ fondamentale che il commercio internazionale cresca ancora e che il protezionismo sia sconfitto”, così egli ha dichiarato. Ed anche il primo ministro australiano, stretto alleato politico e militare degli Stati Uniti da sempre, ha usato in proposito toni allarmati.

Il sentimento generale è quello che non si vuole in nessun caso un ritorno al protezionismo.

Ricordiamo ancora, prima di procedere oltre, l’esistenza di due organizzazioni economiche importanti, quella dell’Asean, Association of South-East Asian Nations, che raggruppa dieci paesi del sud est asiatico e quella dell’Apec, Asia Pacific Economic Cooperation, che mette invece insieme diciassette paesi latino-americani ed asiatici, nonché Usa, Cina, Giappone, Russia.

Nell’ambito di tali organizzazioni si discute da tempo del varo di due distinti trattati commerciali; per quanto riguarda l’Apec, si tratta del FTAAP, Free Trade Area of the Asia-Pacific, mentre per quanto tocca all’Asean, si fa riferimento al RCEP, Regional Comprehensive Economic Partnership, che dovrebbe comprendere, oltre ai paesi membri dell’organizzazione, anche Cina, India, Corea del Sud, Giappone, Australia. Ambedue i trattati includono la Cina mentre almeno il secondo esclude gli Stati Uniti. Va sottolineato che almeno sette dei dodici paesi che avrebbero dovuto partecipare al TPP sono membri potenziali del RCEP.

La FTAAP è stata proposta per la prima volta nel 2006, mentre nel 2014 è stata messa a punto una sua road map, in pratica una strategia in fasi per arrivare all’obiettivo finale di ridurre le barriere commerciali tra i paesi. Ma gli Stati Uniti facevano resistenza e volevano che fosse data priorità ai negoziati per il TPP.

La RCEP è stata invece lanciata nel 2013 nell’ambito dell’Asean. Questo secondo trattato è in una fase relativamente avanzata e potrebbe essere varato in tempi relativamente brevi. Vi aderiscono in totale 16 paesi.

Si tratta di due possibili accordi che hanno obiettivi più modesti di quelli statunitensi e si limitano sostanzialmente alla riduzione delle barriere commerciali, mentre non coprono, al contrario del TPP e del TTIP, aree quali il ridimensionamento delle imprese pubbliche , i flussi di dati tra i vari paesi, o i tribunali speciali per le controversie commerciali.

Ora la Cina, cogliendo evidentemente la palla al balzo, ha cominciato a aumentare gli sforzi perché l’iter dei due trattati venga accelerato. Il suo Presidente ha subito dichiarato a Lima che il paese non è per il protezionismo, ma per aprire ancora di più le frontiere ed ha ufficialmente manifestato la volontà che le cose vadano rapidamente avanti. Diversi paesi vogliono associarsi al RCEP, pur non facendo parte dell’Asean, mentre la Cina viene vista in maniera crescente come leader naturale del processo. Persino l’Australia ha gettato tutto il suo peso dietro gli sforzi cinesi. Così il ministro del commercio di quest’ultimo paese ha dichiarato che qualsiasi mossa che riduca le barriere al commercio e lo faciliti è un passo nella giusta direzione.

Intanto l’India manifesta in modo molto chiaro la sua volontà di far parte in modo molto attivo del processo.

Ricordiamo anche, per sovrannumero, che nelle ultime settimane si va registrando un intiepidirsi dei legami con gli Stati Uniti di paesi come le Filippine, la Malaysia e la Tailandia ed un avvicinamento degli stessi alla Cina.

Conclusioni

Sembra intanto inevitabile cominciare a imparare a memoria le nuove sigle delineate nelle pagine precedenti. In effetti la mossa di Trump accentua la spinta in atto allo spostamento del nucleo centrale dell’economia mondiale verso il Pacifico e in particolare verso l’Asia del sud est e la Cina. La tendenza sembra ormai inevitabile.

Alla fine così ci potremmo trovare di fronte ad un paradosso: gli Stati Uniti avevano lanciato il TPP e il TTIP per escludere la Cina dai giochi e comunque per evitare che fosse la Cina a scriverne le regole. La Cina è ora al centro della scena dell’avvio dei nuovi trattati da cui gli Stati Uniti sono esclusi almeno in parte e tutti chiedono che sia la stessa Cina a scrivere le regole o almeno a collaborarvi in maniera importante.

Ma naturalmente non sono esclusi dei colpi di scena.