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Sussidi ambientali dannosi: il governo cosa vuol fare?

Il catalogo 2018 dei sussidi ambientalmente dannosi (Sad) ne quantifica per un valore di 19,8 miliardi di euro, di cui 16,8 per combustibili fossili. Distorcono il mercato e violano l’accordo di Parigi.

La questione dell’eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi è da considerarsi esemplare perché fa emergere in maniera chiarissima che cosa si intenda per transizione ecologica e come i nuovi orientamenti di politica economico-finanziaria di uno Stato possano concretizzarsi in benefici tangibili, materiali e immateriali, per l’intera società. A dircelo è l’aggiornamento del luglio 2018 del Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi (SAD) e dei sussidi ambientalmente favorevoli (SAF), che quantifica i primi in complessivi 19,8 miliardi di euro, di cui ben 16,8 a sostegno dei combustibili fossili  (e i secondi in 15,2 miliardi di euro).

Il nuovo ministro dell’Economia e delle Finanze, Roberto Gualtieri, sin dalle sue prime uscite, ha detto di voler aggredire il problema, che è diventato di grande rilevanza mediatica per le polemiche sorte nelle scorse settimane attorno al mancato accordo nel governo sul cosiddetto Decreto Clima, proposto dal ministero dell’Ambiente Sergio Costa che conteneva una norma  di riduzione progressiva dei SAD nel loro complesso.

Finalmente, si potrebbe dire, visto che se ne discute da 10 anni in ambito OCSE (l’organizzazione internazionale dei paesi più economicamente avanzati) e che il nostro Paese deve onorare l’impegno assunto con l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e in ambito G7 per al rimozione dei sussidi ai combustibili fossili (FFS) entro il 2025. Per sussidi che proprio l’OCSE, in occasione del G7 a presidenza italiana del 2017, ha confermato di ritenere non solo dannosi per l’ambiente, ma economicamente inefficienti e distorsivi del mercato.

Il problema è però in quale modo si intendano onorare gli impegni, con quali atti concreti  esemplari a partire dalla Legge di Bilancio 2020. E la disposizione contenuta nel decreto legge Clima  ha avuto sicuramente il merito di sollevare il problema, proponendo un meccanismo di cancellazione lineare del 10% su base annuale dei SAD, per arrivare al loro annullamento entro il 2040 (quindi in qualche modo superando la deadline del 2025) forse troppo semplicistico. La Campagna Sbilanciamoci! ha fatto giustamente notare che ci si sarebbe aspettati e che si attendono dal governo indicazioni più circostanziate sui tagli mirati che l’esecutivo intende fare a partire dalla legge di bilancio 2020.

Per questo Sbilanciamoci! ha chiesto come primo atto esemplare di  procedere subito all’eliminazione della esenzione/franchigia dal pagamento delle royalties per l’estrazione di petrolio e gas (che si applica a chi produce all’anno sino a 20.000 tonnellate di petrolio e 23 milioni di metri cubi di gas a terra e 50.000 tonnellate di petrolio e 80 milioni di metri cubi di gas a mare), nonché dei fondi per ricerca e sviluppo degli idrocarburi. Sussidi ingiustificabili in un settore produttivo che vede il gruppo ENI approfittare della sua posizione dominante nel nostro Paese e che alterano la concorrenza rispetto all’uso di fonti energetiche più pulite, come documentato dal ministero dell’Ambiente.

Nel richiamato Catalogo del luglio 2018 il valore di questi due sussidi indiretti ammonta complessivamente a 126 milioni di euro, e la loro eliminazione, a partire dal Disegno di Legge di Bilancio 2020, potrebbe servire a liberare risorse per reintrodurre, destinando i 126 milioni l’anno così recuperati, a progetti innovativi di autoproduzione e autoconsumo per le energie rinnovabili.

Sarebbe questo un primo segnale concreto sulla strada della decarbonizzazione della nostra economia, insieme all’impegno assunto con la Strategia Energetica Nazionale del 2017 del phase out dal carbone entro il 2025. Inoltre, Sbilanciamoci! ha segnalato al governo i FFS per l’autotrasporto, a cui ogni anno viene destinato circa 1,3 miliardi di euro in qualità di rimborso per l’aumento delle accise sul gasolio, cui si aggiungono aiuti a sostegno del settore, quantificati nell’ultima legge di Bilancio 2018, in circa 300 milioni di euro.

Le proposte della Campagna Sbilanciamoci! vanno ad identificare le voci dei possibili tagli, frutto dell’analisi contenuta, appunto, nel Catalogo aggiornato al luglio del 2018 proprio dal ministero dell’Ambiente, in ottemperanza dell’art. 68 della legge n. 221/2015, che stabilisce come ogni anno, entro il 30 giugno, il Parlamento debba ricevere un aggiornamento di questo documento.

E l’ex ministro dell’Ambiente Costa ha certamente fatto compiere uno sforzo ai suoi uffici per affinare l’analisi, introducendo – come viene chiarito nel testo di Sintesi del Catalogo 2018 -, tra l’altro: una prima ricognizione sui sussidi eventualmente previsti nelle tariffe dei servizi pubblici (bollette per l’energia elettrica, gas, acqua e rifiuti); un approfondimento sulle agevolazioni in materia di oneri generali di sistema per le imprese a forte consumo di energia; un’estensione delle valutazioni sulla tariffa dei rifiuti e un’integrazione sulle tariffe idriche; un focus sul sistema delle royalties sulle produzioni di gas naturale e petrolio.

E’ proprio perché il ministero dell’Ambiente è in possesso di dati sempre più affinati nel tempo su dove andare a colpire in maniera mirata, che ci si sarebbe attesi l’individuazione dei SAD da cancellare a partire dalla Legge di Bilancio 2020 e nel medio periodo,  non offrendo così il fianco ad una facile contestazione del Ministero dell’Economia e Finanze.

Il governo, dunque, deve chiarire quali siano le sue intenzioni, visto che nella Nota di Aggiornamento al DEF (Nadef), approvata dal Consiglio dei ministri il 30 settembre,  dichiara l’intenzione di voler accompagnare il disegno di legge (ddl) di bilancio 2020 con un ddl dal titolo ambizioso “Green New Deal e transizione ecologica del Paese”. L’esecutivo deve dimostrare di avere le idee chiare su come reperire le risorse economico-finanziarie, dato che l’indebitamento pubblico corre e la quota di fondi pubblici da destinare anche alla riconversione ecologica dell’apparato produttivo del  Paese, oltre che a misure fiscali e per l’occupazione, è ridotta a pochi miliardi di euro. La sfida è assolutamente condivisibile, ma ha bisogno di gambe per potere raggiungere i traguardi prefissati.