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Stagisti di tutto il mondo..

La battaglia contro la pratica degli stage gratuiti fa breccia anche negli Stati uniti, dove fioccano cause e class action contro imprese e multinazionali. E il sito di giornalismo investigativo ProPublica lancia una campagna per documentare le storie di questa “economia emergente”

Chiara ha ventiquattro anni. Ogni mattina si sveglia alle sei meno un quarto, esce e fa un’ora di strada per arrivare in ufficio. Alle sei di sera si rimette in viaggio e riattraversa la città; cena, si fa la doccia e si mette a letto, perché il giorno dopo la sveglia suonerà di nuovo prima dell’alba”.

Una quotidianità come tante quella di Chiara. Originaria di Chieti, una laurea in comunicazione pubblicitaria conseguita con il massimo dei voti a Perugia, la ricerca di un lavoro e finalmente, dopo un “colloquio” andato a buon fine, il trasferimento a Roma in qualità di junior account per un’azienda attiva nel settore food & beverage. Il suo compito è quello di fare da interfaccia tra l’azienda e chi compra le campagne pubblicitarie, trovare e seguire i potenziali investitori, preparare preventivi e proposte. Ufficialmente però Chiara non sta lavorando. È solo in stage. Teoricamente in formazione dunque anche se nessuno, racconta, le fa da guida.

Una storia simile a quella di Matteo (nome di fantasia) che come Chiara racconta la sua esperienza a Eleonora Voltolina, direttrice responsabile e animatrice de Repubblica degli stagisti, blog nato nel 2007 e dal 2009 testata giornalistica che dà voce a coloro che, seguendo l’etimologia della parola francese, dovrebbero essere gli esordienti del mondo del lavoro.

Ho cominciato uno stage, in un ente territoriale di cui preferisco non specificare il nome, dopo essermi laureato, accettando perché ritenevo l’offerta formativa interessante. Adesso sono tre mesi che svolgo lo stage e nessuna delle attività formative di cui parlai col tutor al colloquio mi è stata assegnata. In pratica mi ritrovo qui spesso senza fare niente e in alternativa svolgo mansioni abbastanza frustranti che non richiedono particolari abilità o che siano formative. In più, ciliegina sulla torta, il mio tutor l’ho visto solo due volte! Ma io secondo voi come mi devo comportare? Lo stage dura altri tre mesi ma a me sembra di stare qui a perdere tempo. In più mi pagano zero. All’inizio avevo accettato di non percepire niente perché ritenevo comunque l’offerta formativa importante. Adesso, appurato che questo stage si sta rivelando una vera delusione e visto anche l’assenteismo del tutor, posso fare valere qualche specie di mio diritto per ottenere almeno un minimo di rimborso spese anche se nel contratto di tirocinio che ho firmato non era previsto?”

Difficile dire persino quanti sono gli stagisti in Italia. L’unica indagine statisticamente rappresentativa è quella realizzata ogni anno dalle Camere di Commercio (il rapporto Unioncamere – Excelsior) che quantifica, ma i dati sono riferiti al 2011, in circa 300 mila il numero degli stagisti nelle imprese private. A questi, la Repubblica degli stagisti, aggiunge circa 150-200 mila stagisti negli enti pubblici e altri 70 mila nelle associazioni non profit. In totale, mezzo milione di più o meno giovani che affidano all’esperienza del tirocinio formativo la possibilità di ingresso nel mondo del lavoro. In più della metà dei casi senza neppure un rimborso spese. Troppo spesso, come denunciano in tanti sui vari blog in rete, senza nemmeno un percorso formativo adeguato. E comunque con risultati non proprio brillanti visto che, sempre secondo la rilevazione di Unioncamere del 2012, appena il 10 percento di loro viene assunto al termine dello stage.

Dimenticati dalle statistiche ufficiali, ignorati dalla politica, sfruttati il più delle volte dalle imprese. Qualcosa si è mosso il 24 gennaio scorso, quando la Conferenza Stato Regioni, recependo le indicazioni della riforma del lavoro targata Fornero, ha emanato le “Linee guida in materia di tirocini”. Un elenco di requisiti minimi – che introduce per la prima volta un compenso obbligatorio minimo di 300 euro al mese – privo però di valore normativo. Spettava poi alle singole Regioni, che hanno la competenza in materia di formazione, tradurle in dettato di legge. Termine massimo, sei mesi. Sono scaduti il 26 luglio scorso, e ad oggi mancano ancora all’appello le leggi di diverse Regioni: la Sardegna, il Friuli e soprattutto la Lombardia, regione quest’ultima che da sola vanta la presenza di 90 mila stagisti italiani. “Le cose stanno cambiando è vero, ma ci sono ancora molti limiti”, sostiene Eleonora Voltolina. Sopra a tutto il fatto che le nuove norme valgono solo per i cosiddetti stage extracurricolari, quelli svolti cioè al di fuori del percorso formativo accademico, che sono però solo la metà del numero totale. Con il rischio quindi che chi vuole continuare ad abusare dei tirocini si dirotti su quelli curricolari, la cui regolamentazione spetta non alle Regioni ma direttamente al ministero dell’Istruzione.

Non si può dire d’altro canto che sia il pubblico a dare il buon esempio. Una settimana fa, l’impennata di visite non previste – oltre 67 mila – sul sito ministeriale Clicklavoro ha letteralmente messo ko il server. In palio c’erano 3 mila tirocini, a 500 euro lordi al mese, all’interno di un progetto formativo, curato da Italia Lavoro e finanziato con 10 milioni di euro a carico del Fondo di rotazione del ministero del Lavoro, destinato a giovani laureati delle regioni del Sud (Campania, Calabria, Puglia, Sicilia), dove più alta è la percentuale di Neet, di giovani cioè non inseriti all’interno di percorsi formativi né lavorativi. Tremila posti disponibili, scadenza al 31 dicembre, 67 mila tentativi di accesso in un giorno, 300 utenti al secondo nel momento di massimo affollamento. Una grande opportunità, scrive l’agenzia ministeriale Italia Lavoro sul suo sito, ma per chi? “Per i giovani certo, ma anche, senza ipocrisie, per le imprese visto che, come spiega Italia Lavoro sul suo sito, non è previsto nessun tipo di vincolo per la successiva stabilizzazione e la copertura delle spese viene assicurata integralmente dallo Stato, deresponsabilizzando in questo modo le aziende ospitanti”, sostiene Eleonora Voltolina. Tanto è vero che, a pochi giorni dall’apertura del bando, già fioccano le denunce. La Cgil siciliana solleva persino il dubbio che “dietro ai problemi tecnici si nasconda una realtà non trasparente con aziende che hanno scelto i propri stagisti senza passare dalla selezione”. Mentre nei blog in rete impazzano le denunce sulle offerte di tirocinio: in molti casi si tratterebbe di annunci per la ricerca di commessi di supermercato, ma allora, è la domanda, che senso ha avere messo tra i requisiti obbligatori una laurea in lettere, geologia, biologia o giurisprudenza?

L’anno scorso uno studio comparativo europeo, condotto dal centro di ricerca britannico Ies insieme al nostro Irs e al tedesco Bibb ha fornito un primo quadro dello status quo su scala comunitaria. Dall’inizio della crisi economica, il numero di stage è cresciuto vistosamente in tutti i paesi europei e in diretto rapporto a disoccupazione e precarietà, inizialmente per fornire una via di accesso meno rigida al mondo del lavoro, poi come escamotage per pagare meno – o non pagare affatto – il lavoro dei giovani. Secondo una ricerca dello European Youth Forum Survey, realizzata nel 2011 su un campione di 4 mila questionari, circa la metà degli stage in Europa non vengono retribuiti e nel 45 percento dei casi la somma corrisposta non è sufficiente a garantire neppure le spese di sostentamento per la vita di tutti i giorni. Inutile dire che, nel quadro normativo europeo, l’Italia si colloca agli ultimi posti della classifica. Anche se, puntualizza l’indagine, la presenza di un quadro normativo di per sè non garantisce la qualità del tirocinio: servono un’applicazione rigorosa, e quindi sanzioni per chi viola le norme, e un monitoraggio costante.

Negli ultimi due anni in tutta Europa sono nate campagne e associazioni, come Intern Aware nel Regno unito, Génération Précaire in Francia, che si battono contro la pratica degli stage gratuiti. Nei giorni scorsi, in Inghilterra – dove già nel 2010 aveva fatto scalpore la presa di posizione dei legali del governo che avevano dichiarato potenzialmente illegali 10 mila stage nella pubblica amministrazione perchè in violazione della legge sul salario minimo, e dove poco meno di due mesi fa ha suscitato indignazione la morte del 21enne tedesco Moritz Erhardt tirocinante nella City di Londra presso Bank of America, deceduto dopo ben 72 ore di lavoro – è stato lo stesso primo ministro David Cameron a invitare pubblicamente i giovani stagisti a segnalare i casi di sfruttamento, annunciando l’istituzione di un numero verde del governo a cui tutti si potranno rivolgere per denunciare o avere informazioni sui loro diritti garantiti dalla legge.

Ma la battaglia contro gli stage non retribuiti ha fatto breccia anche Oltreoceano, dove da giugno scorso fioccano cause e class action contro imprese e multinazionali. Tutto è iniziato l’11 giugno quando un giudice della Corte federale di New York ha dichiarato la nota compagnia di distribuzione Fox Searchlight Pictures colpevole di avere violato la legge sul salario minimo, non pagando nel 2010 due stagisti sul set del film “Black Swan”. “La società ha beneficiato del lavoro gratuito – ha scritto il giudice nella sentenza – laddove, diversamente, avrebbe dovuto assumere dipendenti regolarmente stipendiati”. Due giorni dopo la sentenza, il 13 giugno, uno stagista del magazine W e uno del New Yorker hanno denunciato la multinazionale Condé Nast per essere stati pagati, durante il periodo di tirocinio, meno di 1 dollaro l’ora. Il 17 giugno è arrivata una causa contro la Warner Music Group.

Un sondaggio della National Association of Colleges and employers ha dimostrato che, statisticamente, sono gli stage retribuiti a garantire più possibilità di un impiego al termine del tirocinio, e anche che gli stagisti pagati, quando entrano nel mercato del lavoro, beneficiano di stipendi decisamente più alti. A luglio scorso il sito di giornalismo investigativo ProPublica ha lanciato una campagna di raccolta fondi per ingaggiare una giovane studentessa di giornalismo e mandarla in giro per gli Stati uniti a documentare “l’economia emergente degli stage”. La campagna è stata un successo e ora tutti possono seguire sui social network l’itinerario di questo speciale viaggio investigativo (#ProjectIntern). Non solo, sempre da luglio, una pagina del sito (http://projects.propublica.org/graphics/intern-suits) è specificamente dedicata alla raccolta di tutte le cause e class action istruite contro la pratica degli stage gratuiti. “Interns resist working free”, titolava qualche giorno fa un servizio speciale del New York Times.

Una strada, quella di cause e class action che, come auspica il New York Times, potrebbe prendere piede anche nel nostro paese? “Per ora non si tratta che di casi sporadici”, spiegano dalla Repubblica degli stagisti. È vero che nelle linee guida varate a gennaio si parla per la prima volta anche di sanzioni, ma è altrettanto vero che ogni Regione sarà libera di scegliere se e in quale misura introdurle. Nella bozza della legge lombarda, per dire, non sono previste sanzioni. “Ci sarà un diritto a macchia di leopardo”, stigmatizza Eleonora Voltolina. Con il paradosso che gli ispettori del lavoro, che dipendono dal ministero, si troveranno a operare diversamente a seconda del luogo di lavoro. Un’assurdità.

Link utili

www.repubblicadeglistagisti.it www.articolo36.it