In complesso l’idea di avere due letture per lo stesso governo è sempre stata una garanzia. Ed è proprio la doppia lettura che sarebbe opportuno conservare, in Italia, tra guelfi e ghibellini quali siamo
Ritenevo che il mio articolo sul referendum pubblicato da sbilanciamoci.info mesi fa (Referendum, oggi si vota 22 settembre 2016) fosse sufficiente. Mi sbagliavo. La prova è l’articolo di Roberto D’Alimonte apparso su Il Sole 24 ore del 22 novembre 2016. Siccome repetita juvant, torniamo a bomba. L’argomento più forte del bravo D’Alimonte è che “l’Italia è l’unico Paese dell’unione europea con due Camere che hanno gli stessi poteri”. Sarà vero, forse. Che argomento è, però? Anche del voto alle donne si sarà certo pensato, a un certo punto, da qualche parte: siete pazzi; voto alle donne!… Non c’è alcun altro paese con un’anomalia analoga…
Anche noi dell’accozzaglia, come ha ripetuto per ultimo Landini, avremmo voluto cambiare l’anomalia del bicameralismo perfetto, forse non tutti. Non per esempio io militante a titolo personale nell’accozzaglia, che da vecchio perdigiorno non butterei niente prima di averci guardato dentro e fatta la raccolta differenziata.
L’articolo 70 della Costituzione vigente che prevede due Camere con pari poteri è lungo tre quarti di riga: La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere; l’indice dei cambiamenti suggeriti da D’Alimonte per l’articolo 70, utilizza 35 righe su due colonne a stampa del Sole, senza contare i titoli in grassetto.
Osservando con attenzione il modello delle due Camere, anzi della Camera dei Deputati e del Senato si può ricordare che qualcuno chiedeva “una Camera sola” e altri si opponeva temendo i pericoli di un giudizio unificato (Togliatti, tanto per fare un nome, voleva togliere di mezzo, con il Senato, ogni retaggio monarchico). Una discussione accesa riguardò anche il vincolo di mandato escluso nella nostra Costituzione all’articolo 67 e che certuni vorrebbero oggi inserire finalmente, lamentando i famosi “cambi di casacca”. Torniamo alla previsione di due letture parlamentari per approvare il governo e i suoi bilanci e quindi di due Camere. Esse avevano la stessa funzione di approvare il governo o negargli la fiducia, erano però volutamente molto diverse tra loro come forma, contenuti, significato. Un incompetente come me avrebbe potuto notare che all’inizio della repubblica e della sua Costituzione erano previste almeno sei differenze di qualità presenti al tempo della prima votazione politica, il 18 aprile 1948. Non tutte hanno resistito ai tempi, già molto prima del referendum del 4 dicembre 2016, ma alcune sono ancora in campo. In ogni caso queste erano le diversità mostravano queste caratteristiche:
la prima era relativa alla durata e alle scadenze. I deputati restavano in carica cinque anni e i senatori sei. A sistema avviato, l’anno del voto per la Camera sarebbe coinciso con quello del Senato solo ogni trenta anni;
la seconda, che vige ancora, è la differenza di età per il voto attivo. 21 (la maggiore età, ora a 18 anni) e 25 anni;
la terza riguarda il voto maggioritario a elezione diretta (65% dei votanti) per il Senato a fronte di quello proporzionale per la Camera;
la quarta era la differenza dei collegi: più piccoli quelli del senato: si prevedeva di eleggere 237 senatori ai quali aggiungere i senatori a vita e gli ex presidenti della repubblica;
la quinta riguardava l’età dei candidati senatori: 40 anni contro i 25 dei deputati;
la sesta consisteva nel diverso numero dei membri delle due assemblee: 574 contro appunto 237+ 5+X, dove X indica la possibile presenza di presidenti della repubblica al termine dell’incarico. Oggi, come è noto, si tratta di 630 deputati e 315 senatori+ 5 senatori a vita + i presidenti emeriti della repubblica.
La Costituzione riuniva nella Nazione un popolo di ricchi e poveri, come dicevano i cattolici, (padroni e proletari dicevamo noi), di operai e contadini, terroni e polentoni, uomini e donne, giovani staffette partigiane e vecchi filosofi del prefascismo. Teneva infatti conto che vi erano i giovani aperti al futuro, ma ignari di tutto e i fratelli maggiori che avevano fatto e subìto la guerra, lottato nella resistenza, che erano scampati alle persecuzioni, sopravissuti al fascismo, aperti alla democrazia; la Costituzione rispecchiava i problemi del tempo, le diverse esperienze, la volontà di cambiare il mondo; anche però la coscienza di essere in molti e dover convivere con gli altri, insegnare loro con saggezza e amicizia e imparare da essi, quel tanto o poco che sapevano più di noi.
In complesso l’idea di avere due letture per lo stesso governo era una garanzia: la democrazia, la pace sociale, l’accettazione dell’altro partito e di noi stessi non erano a rischio; anzi sarebbero continuate e continuate nei decenni avvenire. Era la sicurezza che si sarebbe discusso e discusso prima di scegliere il modo finale.
Per errore o disattenzione, o forse per le conseguenze della Guerra fredda allora in voga, si cominciò subito a smantellare la combinazione originale di Costituzione – il doppio strato di protezione – e legge elettorale. Alla questione eminente, politica, della sopravvivenza del proprio campo, si aggiunse la ricerca di vantaggi materiali per la propria parte o di scudi per ovviare all’eccesso di forza economica e sociale dell’avversario e a questo fine si saccheggiò la Costituzione, costruendovi, sopra e sotto, (alla luce del sole e di nascosto) vantaggi e privilegi, prebende e pensioni.
Ora si vuole cambiare e cambiare di nuovo. Anche quelli del no dicono di volerlo fare, di averlo anzi fatto senza successo. Per il futuro alcuni di loro affermano di voler scegliere i tempi per eliminare la doppia lettura secondo la propria ispirazione. Ma è proprio la doppia lettura che sarebbe opportuno conservare, in Italia, tra guelfi e ghibellini quali siamo, da circa un millennio. Si tratta dell’unico modo realistico per conservare l’alternanza (delle alternative) e la nostra storia comune, quella del passato e quella del futuro.