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Quale fisco all’orizzonte?

A un passo dalla Legge di Bilancio, il dibattito sulle priorità e le misure di politica fiscale del Governo assume un’importanza fondamentale. Scongiurata la sciagura della flat tax, rimangono i problemi legati ai vincoli europei di bilancio, alla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia, alla riforma dell’Irpef.

Il nuovo Governo si appresta a definire le linee della manovra di bilancio per il 2020. Sul fisco il Presidente Conte ha delineato una prospettiva chiara e concisa: “pagare tutti le tasse, affinché tutti paghino meno”.

Questo dovrebbe tradursi in alcune priorità fortemente influenzate dalla volontà di scrollarsi di dosso qualsivoglia elemento di stampo “leghista”, in particolare la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia per impedire l’aumento automatico delle aliquote Iva, la riduzione della pressione fiscale (alleggerendo il cuneo fiscale) a vantaggio dei lavoratori e un impegno concreto nella lotta all’evasione e all’elusione fiscale. Vi sarebbe, inoltre, l’impegno a rimodulare la struttura delle aliquote Irpef per realizzare un’effettiva progressività (nodo cardine delle proposte da tempo avanzate da Sbilanciamoci!) e a perseguire gli obiettivi di semplificazione e collaborazione (fiscal compliance) tra fisco e contribuente.

Vedremo quale traduzione avrà l’impostazione di politica fiscale evocata dal Presidente del Consiglio in sede di Legge di Bilancio. In relazione ad essa, guardando all’effettiva percorribilità delle varie strade e alle prospettive di costruzione di un sistema fiscale coerente, proponiamo tre considerazioni, la prima relativa ai vincoli europei, la seconda alla neutralizzazione delle clausole di aumento dell’Iva, la terza all’allargamento della base imponibile.

1. I vincoli europei

Una prospettiva fiscale di tipo espansivo e orientata alla crescita rappresenta un elemento imprescindibile per quel cambio di rotta invocato da Sbilanciamoci! fin dalla sua prima Controfinanziaria, ormai vent’anni fa [1]. Tuttavia, il convitato di pietra dei vincoli europei suggerisce di frenare i facili entusiasmi e guardare con scetticismo ai supposti ravvedimenti in chiave “riformista” e all’eventualità di un alleggerimento della ferrea prospettiva “rigorista” da parte delle istituzioni europee e nazionali.

Tale alleggerimento è stato pur opportunamente invocato dal Presidente della Repubblica quando, pochi giorni fa, ha sostenuto la necessità di un “rinnovamento del progetto europeo” che guardi alla crescita, alla sostenibilità economica e ambientale e alla necessità di accelerare il processo di configurazione di un’imposta sulle attività dei “colossi del web” (“web tax” o “digital tax”). È effettivamente possibile che, a fronte del ristagno dell’economia tedesca e della sempre minore tenuta politica dei fautori dell’“austerità” i tempi siano maturi per un qualche superamento del dogma del pareggio di bilancio e per un’interpretazione più flessibile dei vincoli europei sui bilanci nazionali, che potrebbero passare per un ripensamento dei criteri di stima dell’output gap [2], con una conseguente modifica dei meccanismi di rientro dall’indebitamento strutturale, o anche per il non assoggettamento al Patto di Stabilità di componenti della spesa pubblica quali gli investimenti per la riconversione ecologica della nostra economia e della nostra società.

Tuttavia, è illusorio pensare che l’Italia potrà beneficiare quanto gli altri Paesi di un alleggerimento dei vincoli. Probabilmente beneficerà di una qualche flessibilità aggiuntiva e di un ammorbidimento del sentiero di rientro, che, nell’immediato, potrà facilitare la definizione della manovra per l’anno prossimo. A fronte dell’elevato debito pubblico italiano, superiore al 130% del PIL, è però illusorio pensare a un’Europa che conceda all’Italia di realizzare una politica fiscale effettivamente espansiva o anche solo di ripensare l’inserimento del pareggio di bilancio nell’art. 81 della Costituzione, realizzato nel 2012 in applicazione del Fiscal Compact. Sarà il vincolo del debito che più peserà negli anni a venire e, a fronte di esso, verrà riproposta all’Italia una politica di bilancio appena un po’ edulcorata. D’altra parte, la nomina stessa di Paolo Gentiloni a Commissario UE per gli affari economici non può prefigurare un vero superamento dell’orientamento all’austerità, essendo stato egli stesso, nei due anni a capo del Governo (2016-2018), fedele continuatore di quel “sentiero stretto”, tracciato da tutti i governi di Centrosinistra dalla metà degli anni ’90 e fatto di riforme strutturali e rigore nei conti pubblici: la cosiddetta “austerità espansiva”, ben impersonata dal suo Ministro dell’Economia Padoan [3].

2. Le clausole di salvaguardia

Uno dei punti critici della prossima manovra di finanza pubblica riguarda la sterilizzazione delle clausole di salvaguarda. Come sappiamo, si tratta di aumenti automatici delle entrate tributarie – in questo caso relative al gettito Iva – introdotti per la prima volta dal Ministro Tremonti nel 2011 a garanzia della tenuta dei conti pubblici.

Sostanzialmente, per ottenere il lasciapassare della UE relativamente alla manovra, il Governo deve presentare un percorso di rientro pluriennale, nel quale il deficit migliora per tutto l’orizzonte considerato. A garanzia di tali miglioramenti vengono inserite nella Legge di Bilancio clausole che prevedono un automatico e forte aumento, a partire dall’anno successivo, delle aliquote, nel caso in cui il Governo sia incapace di assicurare altrimenti i saldi di bilancio promessi. Le clausole di salvaguardia sono arrivate ad avere un valore sempre più alto di anno in anno, arrivando ormai a valere 23,1 miliardi di euro: se il Governo non troverà tale somma nel bilancio 2020, l’Iva aumenterà di 3 punti percentuali dall’1 gennaio 2020, dal 22% al 25%.

L’opportunità di destinare ogni anno ingenti risorse – di fatto una parte preponderante di quelle disponibili per la manovra di bilancio annuale – per la sterilizzazione di tali clausole, anziché destinarle a misure “espansive”, rivolte soprattutto allo stimolo degli investimenti e della domanda aggregata, è dibattuta. Alcuni contributi recentemente proposti da Roberto Romano e Felice Roberto Pizzuti [4], auspicano un cambio di prospettiva: nella loro visione le somme destinate a disinnescare le clausole di salvaguardia dovrebbero essere considerate in relazione ai possibili utilizzi alternativi (investimenti, salari…), cosicché essi ritengono preferibile, nelle attuali condizioni, che almeno in parte le clausole non vengano neutralizzate.

Anche il Sole 24 Ore (9 settembre 2019) ha proposto una riflessione sulla possibilità di delineare una manovra di sterilizzazione parziale che consenta di risparmiare una parte di risorse che potrebbero essere destinate a misure rivolte alla crescita o, ad esempio, ad un ulteriore alleggerimento dell’Irpef sui redditi da lavoro.

Sulla questione ci sentiamo di esprimere il nostro disaccordo. Come detto, Sbilanciamoci! ha sempre mantenuto una visione critica dell’impostazione di finanza pubblica legata al “rigorismo” e al legare le mani ai Governi successivi, costringendoli di fatto a utilizzare tutte le risorse disponibili per impedire che gli aumenti Iva scattino effettivamente: si veda in proposito l’ultima Controfinanziaria, o il Bilancio di fine legislatura [5].

Tuttavia, la clausola di automatico aumento dell’Iva è sempre stata posta come una extrema ratio di effetto così penalizzante per l’economia da rappresentare una garanzia per la Commissione Europea sull’impegno per l’Italia di fare quanto necessario per scongiurare tale aumento. Non si tratta, infatti, solo di prelevare ulteriori somme dai contribuenti, in quantità significativa (per quest’anno, come detto, più di 21 miliardi, ben più dell’1% del PIL, circa 400 euro a testa, compresi i neonati), ma di gestirne il forte impatto recessivo sull’economia, concentrato sui ceti più deboli.

Comunque la si voglia modulare e addolcire – magari esentando dall’aumento i generi di prima necessità –, per trovare una così ingente quantità di risorse bisogna necessariamente colpire i consumi di massa, possibilmente quelli ai quali non si può rinunciare perché la domanda da parte dei consumatori è rigida. Dunque, non sogniamo un aumento dell’Iva pagato dai ceti abbienti. Anzi, sarebbe probabilmente vero l’opposto, com’è tradizione delle manovre sulle imposte indirette: sono i più poveri a pagarle in misura proporzionalmente maggiore, non avendo modo di sottrarvisi. Di fatto, un aumento Iva verrebbe traslato in gran parte sui prezzi, soprattutto per i beni acquistati dai ceti più deboli, e si creerebbe un aumento una tantum del livello dei prezzi, con conseguente impoverimento, in termini reali, dei ceti popolari.

Vero è che gli stessi organismi internazionali ed europei negli ultimi anni hanno iniziato a suggerire, neanche troppo velatamente, l’opportunità di uno spostamento dell’imposizione dalle imposte dirette a quelle indirette (ad esempio l’UE e l’OCSE). Ma questo trova ragione soprattutto nel fatto che, a fronte di una crescente competizione fiscale, la mobilità del capitale e dei redditi delle imprese e dei contribuenti più ricchi ha reso frustrante un efficace ricorso all’imposizione diretta. Tuttavia, e questo ci porta diretti al prossimo punto, andare in questa direzione significherebbe accettare che siano i ceti più poveri a pagare il peso dell’imposizione fiscale. Esattamente l’opposto rispetto a quanto previsto dalla nostra Costituzione.

3. Riforma dell’Irpef e allargamento della base imponibile

Pagare meno e pagare tutti, sta bene. Ma questo non può passare esclusivamente per la (sempreverde) dichiarazione di guerra all’evasione fiscale, ritualmente fatta da ogni Governo. La lotta all’evasione fiscale è evidentemente imprescindibile – peraltro qualche nome nel nuovo Governo lascia ben sperare al riguardo – ma da sola potrà ben poco se non affiancata da una decisa azione, a livello nazionale e internazionale, di ricomposizione della base imponibile e di definizione dell’effettiva capacità contributiva.

In tal senso, è la stessa Costituzione che ci indica a chiare lettere, all’art.53, il percorso da seguire: i) fare sì che tutti contribuiscano secondo la propria capacità contributiva (comma 1); ii) all’interno di un sistema di imposizione progressivo (comma 2). Sono principi che Sbilanciamoci! ha da sempre messo al centro delle proprie proposte e che, tuttavia, sembrano essere stati del tutto ignorati dai Governi italiani che si sono succeduti nell’ultimo ventennio, i quali hanno puntato quasi esclusivamente su interventi estemporanei e ad hoc, svuotando di fatto i principi dell’imposizione progressiva sul reddito.

Ora vorremmo, con l’ottimismo della volontà, leggere le dichiarazioni governative relative all’ipotesi di rimodulare la struttura delle aliquote Irpef nella direzione di una maggiore progressività dell’imposta e quelle relative alla tassazione delle attività svolte nell’ambito dell’e-commerce o dell’economia delle piattaforme, nel senso del rispetto del dettato costituzionale.

In relazione alla rimodulazione Irpef, ricordiamo che una delle proposte cardine di Sbilanciamoci! riguarda la necessità di operare una ricomposizione della base imponibile – che è andata frammentandosi, è il caso di ribadirlo, in seguito al crescente ricorso a regimi di tassazione separata operato nelle ultime legislature – che sia inclusiva di tutte le fonti di reddito (cosiddetto “comprehensive income principle”) e di ricondurre tale base imponibile a progressività tramite una rimodulazione delle aliquota Irpef che favorisca le fasce di reddito più deboli.

Un’altra proposta prevede di affiancare all’imposta progressiva sul reddito un’imposta patrimoniale, pure progressiva, che colpirebbe i grandi patrimoni ma non la prima casa. Per questa via è possibile far sì che la strategia del “pagare tutti le tasse, affinché tutti paghino meno” declamata da Conte non passi esclusivamente per il fondamentale, ma forse insufficiente, contrasto ad evasione ed elusione, ma sia incentrato su un effettivo allargamento della base imponibile e su un quanto mai urgente recupero a tassazione di quanto ora sfugge.

In relazione a quest’ultimo punto, sembra ormai maturo il tempo per riportare nel sistema fiscale i redditi derivanti dall’attività economica dei colossi dell’economia digitale. A tal proposito, il tema dalla concorrenza fiscale (fiscal dumping) a livello europeo assume un ruolo di fondamentale importanza in relazione alle prospettive future dei sistemi fiscali dei Paesi membri. Basti pensare alla crescente rilevanza di fenomeni quali l’erosione della base imponibile (base erosion and profit shifting, BEPS) delle imprese multinazionali mediante operazioni infra-gruppo o tramite l’attività delle cosiddette stabili organizzazioni – occulte o meno – attive in Paesi membri con fiscalità di vantaggio, a fini elusivi.

In conclusione, seppure le dichiarazioni programmatiche del Presidente Conte in favore di un fisco più equo siano ampiamente condivisibili, il bilancio delle ultime legislature e il quadro economico ed istituzionale europeo ci impongono di evitare trionfalismi, di valutare con attenzione le scelte che verranno effettuate e di rinnovare la riflessione sulle possibili alternative.

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[1] Si veda, anche, Sbilanciamoci (2018). Per l’Italia del dopo voto. Vicoli ciechi e vie d’uscita (a cura di L. Fanti) – https://sbilanciamoci.info/wp-content/uploads/2018/09/2018_sbilanciamo_le_elezioni_web_new.pdf

[2] C. P. Parello e D. Colocci (2015). “L’output gap non è uno solo: le stime della Commissione Europea e quelle dell’OCSE”. Eticaeconomiahttps://www.eticaeconomia.it/loutput-gap-non-e-uno-solo-le-stime-della-commissione-europea-e-quelle-dellocse/; L. Fanti e M. Gallegati (2018). “Gli incalcolabili danni dell’economia mainstream”. Sbilanciamoci.infohttps://sbilanciamoci.info/gli-incalcolabili-danni-delleconomia-mainstream/

[3] R. Ciccarelli (2019). “Commissione Ue, Dombrovskis e Gentiloni: il falco e la colomba dei conti”. il manifesto, 11 settembre – https://ilmanifesto.it/commissione-ue-dombrovskis-e-gentiloni-il-falco-e-la-colomba-dei-conti/

[4] F. R. Pizzuti e R. Romano (2019). “I nodi economici del governo”. Sbilanciamoci.info https://sbilanciamoci.info/i-nodi-economici-del-governo/; F. R. Pizzuti e R. Romano (2019). “Il senso (economico) comune che non ci fa mai cambiare strada”. il manifestohttps://ilmanifesto.it/il-senso-economico-comune-che-non-ci-fa-mai-cambiare-strada/

[5] Si veda, anche, L. Fanti (2018). “Un fisco forte con i deboli e debole con i forti”. Sbilanciamoci.infohttps://sbilanciamoci.info/un-fisco-forte-deboli-debole-forti/