Top menu

Lo strano caso di Carlos Ghosn

Il super manager dell’auto, brasiliano di origini libanesi, Carlos Ghosn è in cella a Tokyo per evasione fiscale ma della sua caduta in disgrazia non è chiaro né il come né il perché. Era a capo dell’alleanza franco-nipponica tra Renault, Nissan e Mitsubishi, che ha strappato a Toyota e Volkswagen.

Nelle ridenti città italiche, noi, gente comune, non perdiamo tempo a occuparci dei casi lontani e incerti. Carlos Ghosn, di cui vogliamo raccontare la storia o meglio, come si diceva, cantare le audaci imprese è noto agli scarsi addetti ai lavori e sconosciuto ai più. Appare come uno straniero venuto da chissà dove, cioè un poco-di-buono, intento a chissà quali traffici, un po’ libanese e un po’ brasiliano, come si capisce da nome e cognome; e soprattutto non migliora la già scarsa fiducia nei suoi confronti l’insolita confusione di luoghi e di percorsi, il fatto che sia stato arrestato all’aeroporto di Tokyo, al suo sbarco da un aereo francese privato. Nei nostri quartieri non sappiamo dunque giustamente niente di Ghosn. Se ne occupino i giapponesi del loro pericoloso criminale. D’altro canto, a conti fatti, almeno un’auto ogni dieci posteggiate nella via che costeggia le nostre abitazioni sono sue, fatte da lui, meglio da imprese automobilistiche che lui comanda – meglio ancora, comandava: Renault, Nissan, Mitsubishi – fino a quel fatale 19 novembre 2018 in cui all’aeroporto Internazionale di Tokyo, non è stato arrestato Carlos Ghosn, forse il primo tra i capitani d’industria mondiali.

Detto che nel primo semestre del 2018 l’insieme di Renault e delle altre due ha superato, sia pur di poco, Toyota e Volkswagen nelle vendite globali di auto al livello di 5,5 milioni Ghosn è arrivato a bordo del suo aereo a Tokyo il 19 novembre da capo (presidente) delle tre imprese automobilistiche suddette, federate in un consorzio unico al mondo e inoltre presidente di ciascuna delle tre, unite tra loro da una specie di patto tra gentiluomini, sorretto non tanto da un intreccio azionario ben fondato, ma soprattutto dalla sua stessa fama di genio dell’impresa, capace e vincente. Per spiegarne meglio le magiche capacità i giornali, e i media tutti, hanno raccontato, prima di buttarlo al macero, che in Giappone in passato era tanto ammirato che esisteva addirittura un fumetto, un manga per celebrarne le capacità.

Preso in forza da due rappresentanti della procura penale giapponese e da un imprecisato numero di loro accoliti, il grande industriale è stato schiaffato (senza passare dal Via, come avremmo detto, giocando a Monopoli, ma questa volta in senso proprio, non in senso metaforico) nella prigione di Kosuge, nel quartiere Katsushika, uno impianto carcerario con una portata di 3.000 detenuti, celle di 5 metri quadri con tre tatami ciascuna, una delle quali concessa, pensiamo in esclusiva, al numero uno dell’auto mondiale. Cella singola, è presumibile, per evitare fughe di notizie.

Tutto questo si legge negli articoli di Philippe Mesmer pubblicati da Le Monde. Si avverte subito, leggendo Mesmer e gli altri, una sorta di disimpegno; nessuna difesa appassionata del personaggio, emblema francese, anzi, sotto sotto, un po’ di fastidio per una vicenda scomoda. Si leggono anche informazioni, difficili da controllare nell’economia dello scritto che state leggendo, relative alle procedure penali nipponiche che consisterebbero, nel nostro caso, in una detenzione di 3 giorni prima dell’imputazione prolungabile per altri 10 + 10 giorni, senza che il presunto colpevole abbia avuto modo di incontrare un avvocato. L’arresto equivale nei fatti a una condanna, scrive su Le Monde l’esperto Sébastien Lechevalier, tra l’altro presidente della Fondazione France-Japon (“L’affaire Ghosn vue du Japon”, 2-3 dicembre 2018). Bene! Ciò significa che Cesare Beccaria è stato disarcionato prima di arrivare al Sol Levante. La lezione dei giustizialisti nostrani nel frattempo è servita. Non abbiamo più niente da insegnare.

Ghosn era accusato di cattivo uso dei ben aziendali ed evasioni fiscali varie. Sarebbero bastate per toglierlo di mezzo? Il culto dell’onore locale lo avrebbe colpito in modo decisivo? Nel frattempo, fosse o meno questa l’intenzione dei magistrati di Tokyo, il carismatico Ghosn è stato rovesciato, da parte di tutti: amici e colleghi, seguaci e adulatori di ogni sorta, fondi d’investimento e Stati sovrani, banche e società finanziarie. Senza rimpianti, i capitalisti, pubblici e privati l’hanno rimosso da tutti gli incarichi precedenti, lo hanno scaraventato giù, con indifferenza, con soddisfazione, da tutte le poltrone o forse dai troni su cui era assiso; e questo già nei primissimi giorni della sua detenzione.

Gli esperti richiamati all’inizio hanno avuto modo di essere informati della defenestrazione del grande personaggio prima da Nissan e poi da Mitsubishi, infine da Renault. Il povero Ghosn, se fosse in grado di scappare da Kosuge, si troverebbe nei panni del protagonista di un film americano, isolato, fuggiasco e senza carte di credito valide. L’espulsione dai consigli di amministrazione e dall’associazione sovrastante i tre gruppi automobilistici è avvenuta; il nostro protagonista è stato cancellato. Della serie: è il Kapitale, bellezza.

Detto brevemente. Il nostro eroe, 64 anni, dopo aver trascorso una quindicina d’anni dal gommista Michelin è arrivato in Renault, guidata allora (1992-2005) dal capo in testa Louis Schweitzer (stimatissimo in Francia come pronipote del premio Nobel Albert Schweitzer – medico, teologo, musicista e benefattore africano – inoltre come figlio di Pierre Paul Schweitzer, resistente francese, scampato a Buchenwald e finito direttore generale del Fmi, Fondo monetario Internazionale, nonché come cugino di Jean-Paul Sartre). Il merito del nostro personaggio, nella difficile successione al titolare della nobile progenie schweitzeriana, è di altra natura, da immigrato senza famiglia si sostanzia in due aspetti connessi tra loro. Il primo è di offrire dividendi sempre più alti agli azionisti del gruppo, perfino buone prospettive a quelli di Nissan, un’industria dissestata, in stato di debolezza estrema, presa in consegna da Schweitzer per buon cuore – dicono – negli anni duemila. Il secondo, strettamente connesso, è la sua capacità – il suo genio – di tagliare e tagliare e tagliare. I profitti fioriscono per via di tagli, riduzioni dei costi e riconversioni successive. Lo sbarco in Giappone, a Nissan, con i pieni poteri, fa di Carlos Ghosn una specie di Goldrake venuto dalla lontana Parigi. I giapponesi, non necessariamente gli operai, sono entusiasti. Sono estromessi dal gruppo stabilimenti, attività, file di persone. Nissan riparte, alla grande, supera nettamente Renault. A Tokyo ormai ci si chiede se ne vale la pena di stare ancora insieme. Anche a Parigi non si sa che fare.

Ai lettori, alle lettrici che ci avessero seguito fin qui potrebbe sembrare esagerata la nostra scelta di parlare tanto e bene di Ghosn, oppure, vedendo il mondo da un altro angolo, di vilipendere il Kapitale irriconoscente nei confronti di un manager tanto meritevole.

Il caso Ghosn sembra però interessante perché aiuta a capire, o almeno suggerisce diverse soluzioni possibili. Il grande industriale è stato messo in disparte – e in quale disparte! – perché aveva arraffato denari che non gli competevano, di nascosto, truffato il fisco giapponese e gli azionisti Nissan? Oppure si è fatto un po’ di teatro (qualcuno ricorda i famosi No giapponesi…?) per rompere il patto tra Nissan e Renault, tra Giappone e Francia, seguendo una traccia di indipendenza nazionale e concorrenza industriale? Forse l’eccesso di potere del primo socio di Renault e quindi di Nissan e quindi del gruppo intero, cioè lo Stato francese, in persona di Emanuel Macron (Renault ha il 43% di Nissan che a sua volta ha il 15% di Renault e il 34% di Mitubishi) ha determinato la crisi? Oppure e infine, le grandi imprese – le multinazionali – hanno in generale fatto il loro tempo e il caso di re Carlos decapitato è semplicemente la prova di un sistema ormai insostenibile? Il mondo, ormai sovranista, comincia a scaricare le società globali? Oppure il mondo segue come variante minore il suggerimento di Donald quando vuole ridividere a fette ineguali la torta dell’industria globale?

Chi scrive queste note non ha competenze di sorta e in particolare nulla sa dell’etica giapponese. Certo ha visto “Il ponte sul fiume Kway” e ascoltato “Madama Butterfly”: troppo poco. Ghosn ha distratto una parte dei suoi emolumenti rimandandoli a una sorta di Tfr da ricevere a fine lavoro. Si tratta di una pratica diffusa nei consigli di amministrazione delle grandi imprese, ma considerate truffaldine a Tokyo (almeno in questo caso). Inoltre l’ex Goldrake avrebbe fatto di nascosto, evitando di informare gli azionisti di questo e di altri pasticci come case-vacanze utilizzate in giro per il mondo, depauperandoli di conseguenza, tanto di conoscenze che di yen o dollari. A uno così non si può più chiedere che faccia harakiri (i tempi sono quel che sono, care le mie geishe, carissimi samurai), ma almeno che si tolga dai piedi.

L’etica giapponese, applicata al mondo dell’auto di oggi, continua a essere impenetrabile per noi occidentali. Tutti, e si escludono i procuratori di Mani pulite in un breve periodo della loro epopea e naturalmente i loro casti e combattivi epigoni a Cinque stelle. Da materialisti e superficiali quali siamo, ci sembra una causa un po’ eccessiva di carcere duro e di condanna preventiva. Proviamone un’altra.

Tra gli esperti francesi qualcuno suggerisce un rovesciamento delle carte. E’ stato troppo al potere, afferma subito nella prima intervista il suo successore a Nissan, Hiroto Saikawa, indicato come “nuovo uomo forte” che si sarebbe servito dell’inchiesta interna di Nissan per estromettere infine il franco libanese che ormai dava ombra agli altri dirigenti. Colpo di palazzo dunque, giocato con cinismo e maestria, facendo uso come copertura del tradizionale culto dell’onore proprio dei giapponesi? In attesa di ulteriori sviluppi, augurandoci che Ghosn, prigioniero in attesa di giudizio o addirittura di imputazione, esca subito di galera, possiamo tentare una prima linea di interpretazione.

L’eccesso di potere è intollerabile in qualsiasi agglomerato umano. Perfino Mbs (Mohammed bin Salman, vice re saudita è inviso ai suoi pari. Se i fratelli non lo sopportano più, non è per l’uccisione di Khashoggi o per l’automobile alle donne, ma perché è troppo potente nei loro confronti e si prevede che rimarrà per troppo tempo). Lo stesso principio vale nelle Industrie, nei Giornali, nelle Banche, nei Governi, nei Partiti, nelle Università, nelle Chiese, forse anche nei Conventi e nelle Mafie. Il fatto che Ghosn guadagnasse tre volte più di Akio Toyoda, capo di Toyota, con il nome in ditta e tantissime azioni di proprietà e dieci volte più dei suoi omologhi grandi industriali del Giappone deve aver costituito un disagio insopportabile nel mondo imprenditoriale di quel paese e forse anche un po’ in quello francese.

Più in generale, gli ampi proventi in stipendi, gratifiche, assicurazioni, persone di servizio, viaggi pagati, vacanze di sogno, aerei aziendali, biglietti per partite e concerti, segretarie tutto fare e chi più ne ha più ne metta, sono un insieme d’ingiusti vantaggi che urtano i pari grado e gli impiegati dei grandi gruppi, ma non solo. Anche gli operai, i paria dimenticati dai capi, di Renault Billancourt, quelli ricordati e tagliati da Ghosn (e difesi con affetto e commozione nel film En guerre di Stéphane Brizé) tutti quelli hanno imparato a fare due conti e vedono che gente come Ghosn, i suoi soci, i suoi protetti, come pure i concorrenti, si avventano su tutto e si appropriano, continuamente, di qualcosa che non gli spetta, qualcosa che dovrebbe essere ripartito, diviso una volta tanto con chi lavora, con chi ha bisogno.