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Il Libro bianco di Juncker e il futuro dell’Ue

Dai 5 scenari contenuti nel Libro bianco presentato nei giorni scorsi da Juncker traspare la mancanza di ambizione della Commissione attenta solo a non disturbare i “manovratori”

La Commissione europea ha presentato il 1 marzo e in vista del “compleanno della UE” che sarà celebrato a Roma il 25 marzo, un Libro Bianco sul futuro dell’Europa, testo che presenta cinque scenari, “Status quo”, “solo Mercato Unico”; “chi vuole fare di più fa di più”, “fare meno meglio”; “fare molto di più insieme”, ognuno corredato con una descrizione su come potrebbe essere la UE nel 2025. È un testo che purtroppo delude.

Il punto critico cruciale non riguarda neppure il suo contenuto. È piuttosto la mancanza di ambizione della Commissione, che sembra proprio di un contabile ansioso di risparmiare e di non disturbare i “manovratori”. Juncker e la sua squadra non paiono più avere la voglia di indicare le scelte sul futuro della UE e di svolgere il ruolo di iniziativa e di stimolo, se non addirittura di guida e rappresentanza dell’interesse comune degli europei, che è loro attribuito dal Trattato. E paiono anche non cogliere la dimensione davvero rivoluzionaria dei cambiamenti in atto nel mondo. Come una think-tank qualsiasi, anzi come un Segretariato neutrale e neanche tanto creativo, con un linguaggio spesso poco preciso giuridicamente e contraddittorio, presenta i suoi 5 scenari, nella convinzione che da qui al 2025 sarà sostenibile un tran-tran ideologico a favore di politiche che non prospettano nessuna rottura con quelle attuali (a parte qualche ritocco sociale e ambientale qua e là), e per di più non indica quello che preferisce e per il quale è pronta a battersi. Nel testo si dice che ognuna delle opzioni può sovrapporsi e accavallarsi, che deliberatamente si fa la scelta di non discutere di processi istituzionali o legali, e che ci si rifiuta di entrare nella discussione su “più o meno Europa” perché è un approccio troppo semplicistico. In ognuna di queste tre affermazioni sta un limite grave del Libro Bianco, poiché i “pomi” del contendere oggi sono proprio il tema della capacità della UE di capire quali scelte politiche servano davvero ai cittadini, il che significa almeno aprire alla possibilità di politiche diverse dalle attuali; quello della sovranità e della democrazia europea, e quindi sapere se si sceglie di resistere alle spinte alla ri-nazionalizzazione autoritaria attraverso una contrapposizione esplicita e una decisa scelta di apertura e trasparenza, o sposandone in parte le ragioni e rimanendo nell’ambito di una cooperazione fra governi; e, se si vuole o no proseguire sulla strada di un’Unione “sempre più stretta”, come previsto dal Trattato di Roma, come, a che condizioni e con chi.

Insomma, in questo Libro Bianco la Commissione non ha il coraggio di immaginare una via da seguire e di sostenerla, né dal punto di vista delle politiche né delle istituzioni. Juncker stesso ha dichiarato che se ne avesse scelta una lo avrebbero massacrato, rinunciando fin dall’inizio a entrare nella lotta aperta e preferendo aspettare all’autunno per pronunciarsi. L’intenzione è dunque quella di fare arrivare i 27 Stati membri a una definizione delle condizioni dello stare insieme, sottintendendo che smantellare la UE sarebbe peggio; per fare questo, la Commissione apre come abbiamo visto anche alla possibilità di rinunciare a qualcosa delle competenze attuali. E’ interessante notare peraltro, che in nessun momento, neppure quando si chiede di prepararsi alle elezioni europee, Juncker propone che le istituzioni UE interloquiscano direttamente con i cittadini europei o con la società civile organizzata. I suoi interlocutori sono i governi.

La scelta di non scegliere può essere utile ad aprire un dibattito, ma solo se c’è qualcuno disposto a raccoglierlo e organizzarlo. Non pare, ma forse è troppo presto per dirlo, che il Libro Bianco sia in grado di rappresentare il punto focale della discussione in corso. In vista di Roma, in attesa delle elezioni in Olanda, Francia e Germania, e viste le tensioni con la Turchia, la conversazione verte sostanzialmente sul rapporto con il Gruppo di Visegrad e la discussione per ora molto generica sull’Europa a una, due o più velocità. La scelta di presentare 5 opzioni, che presentano tutte elementi di grande ambiguità, temo rischi di porre la Commissione fuori tema e forse perfino fuori gioco, perché sono altri che danno le carte.

Ciò detto, è opportuno cercare di sfruttare al meglio l’opportunità che comunque questo testo rappresenta. Nei giorni seguenti alla presentazione del Libro Bianco, vari commenti sono andati nella direzione di un sesto scenario che non è contemplato dal testo di Juncker: quello di un’Europa unita, sì, ma anche democratica e portatrice di politiche e pratiche decisionali radicalmente diverse da quelle attuali, da raggiungere attraverso la ripresa dell’iniziativa “costituzionale” e di una forte mobilitazione in vista delle elezioni europee del 2019. Nella discussione insomma ci deve essere spazio per l’opzione 6, un governo democratico e sovranazionale capace di portare le politiche comunitarie fuori da una austerità cieca e verso un’azione di trasformazione dell’economia e della società in senso ecologico e democratico, che metta in primo piano la solidarietà, lavori verdi, efficienza energetica, lotta al cambiamento climatico.

Ma chi può prendersi carico di lanciare questo dibattito e magari preparare uno scenario diverso? In una situazione nella quale la Commissione non è in grado di prendere decisioni e nella quale gli Stati membri sono divisi, è il Parlamento europeo che deve farsi carico di essere il luogo dove iniziare a sviluppare una discussione sul nostro futuro comune e sulle politiche prioritarie dell’Unione europea che vada al di là delle opzioni di Juncker e aperta alla società civile. Non usciremo dall’impasse attuale con 27 discussioni nazionali concentrate sui rapporti di forza fra i governi. Per conto nostro, il messaggio è chiaro: se non si cambiano le maggioranze e le politiche che governano questa Europa e non si abbandona il vincolo per ora insuperabile del voto all’unanimità, non ci sarà altra scelta che quella di un settimo scenario, quello della fine della UE.