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Il dominio .org in mano a miliardari repubblicani, il mondo non profit si mobilita

Dieci milioni di associazioni nel mondo che utilizzano nei propri siti la desinenza “org” corrono il rischio di dover pagare profumatamente una corporation, Ethos Capital, per continuare a usare il proprio indirizzo Web.

Da un uso pubblico – più o meno pubblico, più meno che più: diciamo da una supervisione istituzionale – ai miliardari. Dalle Ong ai privati. Dal non profit al lucro. Si parla di Internet e l’affermazione oggi potrebbe suonare più che scontata. Ma qui si sta parlando di un caso particolare e la notizia è di qualche giorno fa.

In sintesi: a rischio – a rischio “privatizzazione” – è entrato tutto ciò che ruota attorno al mondo “punto org”.

Come sa bene chiunque abbia a che fare con la rete, la desinenza “.org” è quella che in tutto il mondo immediatamente qualifica le pagine Web che si stanno consultando. È l’opzione preferita dalle organizzazioni non profit, dalle associazioni umanitarie, è assegnato a quei gruppi che hanno scelto l’impegno sociale. Solidale. Tutti organismi che proprio per la loro funzione hanno potuto godere di un “occhio di riguardo”. Piccole, piccolissime “corsie preferenziali” proprio in virtù della loro funzione.

Ora, però, la situazione cambia. E’ un po’ complesso da spiegare, ci sono tanti organismi e sigle in ballo ma in pillole è successo questo.

L’Icann (è l’organismo, prima emanazione del governo americano e ora, di fatto, con supervisione internazionale, che assegna i “domini di primo livello”: per capire, l’ultima parte degli indirizzi Internet: “.it”, “.eu”, “.com”, eccetera); l’Icann, si diceva, ben diciotto anni fa, decise che i domini “.org” avrebbero dovuto godere di un trattamento particolare. Appunto, quell’”occhio di riguardo”: e affidò ad un altro organismo, il PIR (Public Interest Registry), la sua gestione.

Il PIR, che per statuto doveva essere non profit, a sua volta sarebbe stato “affiancato” dall’Isoc, l’Internet Society: sì proprio l’organismo creato dai pionieri della rete trent’anni fa, all’epoca delle facili illusioni on line. E lo scopo statutario iniziale dell’Isoc era proprio quello di studiare le modalità per garantire a tutti l’accesso ad Internet.

Il Public Interest Registry e l’Internet Society all’epoca, stabilirono un tetto massimo di spesa per l’acquisto dei domini riservati alle organizzazioni umanitarie. Tetto ragionevole. E decisero anche che il Pir si sarebbe dovuto sempre consultare con le ong, con i rappresentanti delle organizzazioni non governative, prima di tutte le sue scelte.

Così è stato – anche qui: più o meno, più meno che più – dal 2002 fino a pochi giorni fa.

l’email inviata da Andrew Sullivan, Ceo di Isoc a Jacos Malthouse, che è il capo della nuova organizzazione (nata apposta per combattere questa privatizzazione, #SaveDotOrg)

Ora, invece, s’è saputo che l’Isoc – che ovviamente in questi decenni ha decisamente stravolto la sua funzione originale – ha venduto con una trattativa segretissima – non si conosce neanche la cifra complessiva dell’operazione – i diritti del registro “punto org” ad un gruppo privato. Approfittando di una norma un po’ vaga che le assegnava i diritti e che glie lo consentiva.

Ha venduto – decisione ratificata anche dagli altri organismi – il registro ad una “private equity”: la “Ethos Capital”. Società creata appena pochi mesi fa. Sarà questa a gestire il registro. A fini di lucro.

Non solo, ma poco prima dell’avvio delle trattative per la vendita – a giugno di quest’anno – è stato eliminato il blocco decennale dei costi per i domini “org”.

Quindi, d’ora in poi le quasi dieci milioni di associazioni nel mondo che utilizzano nei propri siti la desinenza “org”, corrono il rischio di dover pagare profumatamente – a prezzi di mercato e non più a “tariffa controllata” – “Ethos Capital” per continuare ad usare il proprio indirizzo. “Ethos Capital” che ha registrato il proprio dominio esattamente il giorno dopo la decisione di liberalizzare i prezzi.

Non è l’unica “stranezza” in questa vicenda: visto che nella società acquirente,  fra i dirigenti, figura anche una donna che è stata per anni la più stretta collaboratrice di mister Chehade, proprio il manager che fino a qualche tempo fa è stato Ceo di Icann.

Comunque sia, le ong ora dovranno pagare, probabilmente pagare tanto.

Oppure, come è fin troppo facile prevedere, saranno costrette a cambiare indirizzo, perdendo contatti, rapporti. Archivi, connessioni.

E’ tutto? No, c’è di più. E sembra ancora di più grave.

Perché fino a qualche tempo fa, il PIR e l’Isoc avevano anche il compito istituzionale di provare a tutelare le organizzazioni non profit che entravano in contrasto con i governi. Provavano a tutelarli contro la censura, garantendo loro di continuare ad usare il proprio indirizzo Web.

Ora il rischio – enorme – è che questa funzione passi ad un privato. Più ”sensibile” ai governi.

Ce n’è abbastanza, insomma, perché sia partita un’enorme mobilitazione.

In America, in Europa. Per dirne una, i membri olandesi dell’Isoc hanno chiesto che l’organismo intervenga in extremis a bloccare l’operazione.

E ancora, su Twitter è intervenuto anche Tim Berners-Lee, che non ha bisogno di presentazione, per denunciare che con la vendita  di “.org “ qualsiasi idea di futuro governo pubblico della rete diventerebbe “parodia”.

Tim Berners-Lee @timberners_lee
 

I’m very concerned about the sale of .org to a private company. If the Public Interest Registry ends up not being required to act in the public interest, it would be a travesty. We need an urgent explanation.

3.043 utenti ne stanno parlando
 
 

Inutile aggiungere che dall’Italia, dalla sinistra italiana arriva poco o nulla sull’argomento.

Certo, e chi organizza l’opposizione alla privatizzazione del registro lo ha ben presente, qualcosa di diverso dal passato occorrerà inventarsi. La pressione on line, insomma, ormai non pare più servire più a nulla. Semmai è servita. Visto che i giorni precedenti all’annuncio dell’operazione – sì, soltanto giorni –, l’Icann, come sarebbe obbligata a fare, fece partire una consultazione on line. Ultrarapida.

La media delle risposte ai precedenti quesiti era di 50 interventi. Stavolta ne ha ricevuti 3200. Cinque, sei favorevoli. Tre email firmate da addetti stampa di multinazionali.

Niente da fare. Andrew Sullivan, attuale Ceo dell’Isoc, rispondendo quasi per mail ad  uno degli organizzatori della protesta, ha scritto che non c’è nulla di allarmante nella vendita, che i dollari – miliardi di dollari, si dice – intascati serviranno a migliorare i servizi della rete e che soprattutto i nuovi acquirenti del registro sono affidabili, perché sono “autentici investitori americani”.

E ha fatto tre nomi: dietro e a fianco della “private equity” ci sono la Perot Holdings, che appartiene al gruppo Petrus Asset, la FMRLL, che appartiene della Johnson Family e Solamere Capital, della Romney Family.

Tre famiglie miliardarie, fra le più grandi sovvenzionatrici dei repubblicani.

L’operazione di vendita si concluderà a marzo. Di tempo ce n’è veramente poco.

Per saperne di più e per sapere cosa fare questo è l’indirizzo savedotorg.org

Articolo pubblicato anche da manifesto.it