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I suicidi sul lavoro che scuotono la Francia

Il fenomeno della “sofferenza sul lavoro”, i suicidi di lavoratori con alte qualifiche in grandi aziende: un articolo a partire dal caso francese

Sull’ultimo numero di “Inchiesta” è stato pubblicato un saggio di Pino Ferraris sui suicidi sul lavoro in Francia, a partire dai casi di France Télécom, Chinon, Peugeot, Renault: protagonisti, sempre lavoratori dipendenti altamente qualificati. Riportiamo qui uno stralcio dell’articolo

(…)La questione dei suicidi sul lavoro in Francia si pone da almeno un decennio.

Nella stessa France Télécom decine di suicidi di dipendenti nei primi anni del nuovo secolo non avevano bucato la cronaca. Eppure su quanto stava accadendo nella grande impresa di telecomunicazioni Dominique Decéze già nel 2004 aveva pubblicato “ La macchina tritatutto”(2004). Il libro descriveva in modo preciso “i nuovi metodi di gestione brutali” con i quali l’azienda, appena privatizzata, realizzava una radicale ristrutturazione. “Quando le privatizzazioni uccidono” troviamo stampato sulla copertina.

Nella centrale nucleare di Chinon i quattro suicidi, nel 2007, di tecnici di alto livello avevano creato qualche allarme. Gli otto suicidi di lavoratori delle imprese che gestivano la manutenzione della stessa centrale denunciati nel 1995 dalla CGT erano stati confinati nella cronaca locale.

Nel 2007 sei suicidi alla Peugeot di Mulhouse si aggiungono, nello stesso periodo, ai quattro suicidi di ingegneri del Tecnocentro di Guyancourt della Renault.

La grande maggioranza di questi gesti estremi coinvolgono impiegati, tecnici e funzionari di medio-alto livello oppure operai altamente specializzati.

Il carattere nuovo e sconvolgente è rappresentato dal fatto che la maggioranza di essi si consumano in modo drammatico sullo stesso luogo di lavoro. Coloro che si uccidono fuori dal luogo di lavoro lasciano comunque lettere di lucida denunzia delle insopportabili condizioni di lavoro come ragione del loro gesto. Si aggiungono poi numerosi tentativi di suicidio.

Nel corso del 2007 e del 2008 la stampa nazionale inizia a dare un qualche spazio informativo a questi eventi. Le imprese avviano silenziosamente indagini interne.

Fanno impressione il silenzio politico e la prudenza sindacale.

Queste tragedie del lavoro si perdono nella cronaca senza suscitare pubblico dibattito.

Nel marzo del 2009 Paul Moreira realizza per la rete televisiva France2 il documentario “Lavorare sino a morirne “. Il documentarista prende avvio dai suicidi al Tecnocentro della Renault per raccontare vicende simili in altri luoghi di lavoro. Ottiene un ascolto sorprendentemente alto.

Moreira, con il giornalista e scrittore Hubert Prolongeau, approfondisce l’inchiesta in una banca, al Tecnocentro della Renault e nell’impianto siderurgico Arcelor-Mittal. Nel settembre 2009, quando esplode il caso France Télécom, esce, pubblicato da Flammarion, il risultato della ricerca con il titolo: “Lavorare sino a morirne. Quando il mondo dell’impresa conduce al suicidio”.

Enormi resistenze si oppongono a dare rilevanza pubblica a gesti così radicati nell’intimo della persona e da sempre collocati nell’insondabile sfera privata.

Le direzioni aziendali immediatamente indicano difficoltà psicologiche o turbamenti della vita familiare.

I sindacati si trovano sconcertati e disarmati.

Eppure questi suicidi sul posto di lavoro lanciano messaggi disperati ma precisi.

Nell’aprile del 2009 sarà un tribunale del lavoro a vincere resistenze e rimozioni. Per la prima volta una sentenza dichiara il nesso diretto tra suicidio e condizione di lavoro. Il suicidio di un tecnico di alto livello della centrale nucleare di Chinon, consumato nel 2004, viene giudicato come esito di una “malattia professionale” della quale è fatta responsabile l’impresa.

Nel gennaio 2010 un’altra sentenza farà scalpore. La morte di un ingegnere che nel 2006 si era gettato dal quinto piano del Tecnocentro di Guyancourt è giudicata “incidente sul lavoro”. La Renault è imputata di “grave colpa” avendo commesso “una negligenza ingiustificabile.”

C’è chi scrive che solo i Tribunali hanno finalmente saputo rendere giustizia a questi lavoratori.

La tragica successione di suicidi in una grande e prestigiosa impresa come France Télécom nell’estate del 2009 imporrà finalmente l’apertura di un acceso dibattito pubblico.

Il numero di Le Monde del 26 settembre dal quale ha preso avvio il nostro discorso rappresenta un punto alto delle analisi, delle discussioni e dell’informazione che hanno fatto irruzione sui grandi media in Francia a partire dal primo autunno 2009.

La pagine dell’inchiesta del quotidiano si aprono con l’articolo di fondo di Cristophe Dejours. Questi suicidi sul lavoro – afferma lo psicanalista – sono i segnali di una svolta storica nel degrado della condizione di lavoro. Sono suicidi di persone di successo, normali, impegnate senza risparmio nel loro lavoro. Il loro gesto disperato non può essere imputato a vulnerabilità psicologiche individuali. E’ l’organizzazione del lavoro che deve essere messa sotto accusa.

Il manager assegna individualmente degli obbiettivi impossibili. Arrangiarti, il risultato deve essere raggiunto. Questo è ciò che chiamano “autonomia del lavoro”.

Dejour si chiede: perché i dipendenti accettano quegli obbiettivi? Perché si piegano ad ogni richiesta aziendale? Perché – risponde – l’organizzazione del lavoro ha distrutto il collettivo, la cooperazione e la solidarietà nel luogo di lavoro. Solo se c’è un collettivo si può discutere di ciò che è giusto o non è giusto e poi , uniti, si può negoziare con la controparte

I lavoratori non hanno bisogno di una buona gestione dello stress o di cure psicologiche, hanno bisogno di un’ organizzazione del lavoro che poggi sul mestiere e che rilanci la cooperazione solidale.

Nella pagina successiva due analisti sociali descrivono la “gestione mediante stress” portata avanti da France Télécom. Il titolo su tutta pagina recita: “France Télécom: la valutazione individuale all’origine del malessere.”

Due noti sociologi, Baudelot ed Establet, titolano il loro contributo “Disoccupati e precari sono i più colpiti”. Gli autori affermano risolutamente che i suicidi attuati sul luogo di lavoro da questi tecnici e funzionari “rappresentano qualche cosa di eccezionale poiché si realizzano nello spazio pubblico”. Essi aggiungono che la maggioranza dei quattrocento suicidi all’anno legati al lavoro che avvengono in Francia sono gesti tragici che restano anonimi e invisibili e sovente sono compiuti da lavoratori licenziati e da lavoratori precari.

Una pagina intiera del quotidiano è dedicata infine ad interviste a lavoratori di France Télécom. Sovrasta un grande titolo: “Il mio capo mi ha detto…”. Segue una raffica di testimonianze che tracciano il quadro devastante di pressioni e di tensioni, di violenze e di intimidazioni in una condizione di lavoro degradata e intollerabile.

E’ il “caso France Télécom” che fa da detonatore al dibattito pubblico sulla questione del lavoro in Francia, rischiara di nuova luce i precedenti drammatici eventi di Mermot, di Chinon, di Peugeot e di Renault e , in un momento in cui prevalgono i temi della disoccupazione, mette al centro i problemi dell’organizzazione del lavoro, quella che i media chiamano la “sofferenza sul lavoro”.

(…)

(la versione completa dell’articolo nel pdf allegato)