Con il nuovo esecutivo ci sono molte aspettative sul Green New Deal. Bisogna rivoltare il paradigma dello sviluppo e avviarci verso la riconversione ecologica dell’economia e la “giusta transizione”. Aspettiamo il governo alla prova dei fatti, a partire dalla prossima legge di bilancio. Ma tra promesse irrealizzabili, rinvii e assenza di una strategia di sistema, […]
Con la formazione del nuovo governo grandi sono le aspettative sul Green New Deal evocato nel programma dell’esecutivo, nella NADEF (Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza), nel Documento Programmatico di Bilancio (DPB) inviato a Bruxelles, nelle dichiarazioni di ministri e sottosegretari, nei primi provvedimenti (come il “Decreto Clima”) licenziati in Consiglio dei Ministri. Il premier Conte ha fatto riferimento alla necessità di inserire nella Costituzione il principio della sostenibilità. Si respira una nuova aria: la consapevolezza di cambiare rotta si diffonde. Bisogna rivoltare il paradigma dello sviluppo e avviarci verso la riconversione ecologica dell’economia e quella che da qualche tempo viene definita giusta transizione, uscendo dalla trappola di un modello energivoro, consumistico, incentrato sulle fonti fossili, ma salvaguardando il lavoro e il benessere.
Bene ha fatto quindi il governo ha mettersi su questa strada, ma ora lo aspettiamo alla prova dei fatti. Che ancora non ci sono: per il momento abbiamo iniziative molto limitate, buoni propositi e rinvii agli anni a venire. Si parla di un fondo di 50 miliardi per il Green New Deal, ma è spalmato su quindici anni, con il grosso degli investimenti nella parte finale del quindicennio. Traduzione: in teoria ci sono un sacco di soldi, in pratica solo le briciole nei prossimi tre anni. Le leggi pluriennali sono fatte sempre così, promettono cifre mirabolanti… ma tra dieci anni, appunto. Vedremo la legge di bilancio, peraltro ancora non trasmessa al parlamento (anche se per legge doveva essere inviata entro il 20 ottobre), e vedremo lo specifico degli interventi.
Sui Sussidi ambientalmente dannosi (SAD) – che rappresentano una spesa di ben 19,3 miliardi di euro – niente passi in avanti. Nella prima versione del Decreto Clima si prevedeva una riduzione del 10% ogni anno, misura poi archiviata. Il grosso dei SAD (più dell’80% del totale) sono interventi che favoriscono l’uso delle fonti fossili, sussidi che l’OCSE e il G7 hanno chiesto di eliminare entro il 2025. E nessun passo in avanti sembra fare il governo con la legge di bilancio per programmare la loro riduzione e cancellazione entro quella scadenza. Sui SAD il governo non può continuare a far finta di niente, a rinviare, a “non disturbare il manovratore”. Questa latitanza è inaccettabile.
E poi non c’è ancora una strategia. E questo è assai grave. Il Green New Deal non può essere solo il tema di un ministero, quello dell’ambiente. Serve una cabina di regia, una strategia condivisa del governo che sappia rendere coerente un disegno che deve coinvolgere ministeri come quello delle infrastrutture, dello sviluppo economico, del lavoro, dell’economia e finanze, eccetera. Qualche novità in più sembra esserci sul fronte della fiscalità: le tasse sugli imballaggi di plastica e sullo zucchero nelle bibite vanno nella giusta direzione, ma sembrano misure spot – magari per far fronte all’assenza di risorse – non ancora contestualizzate dentro un quadro di riforma della fiscalità, in particolare di quella ambientale.
Quindi, per riassumere: qualche segnale positivo (ci sono anche i green corner per incentivare la vendita di prodotti sfusi), ma la sostanza? La sostenibilità non può essere ancora una volta, come per altri casi, il rivestimento presentabile – etico, sociale, responsabile – di una politica che poi rimane sempre la stessa: e questo vale per i governi (e per questo governo), per le imprese, per la finanza. Il cambio di rotta deve essere reale: bisogna intaccare rendite di posizione, privilegi, comportamenti economici che si sono sedimentati nel tempo e hanno prodotto blocchi di potere economico e finanziario che hanno condizionato e continuano a condizionare la politica.
Il governo non sia succube di tutto ciò: non ci bastano le parole. Vogliamo i fatti, quelli che contano.