La speranza di Tsipras è di resistere fino al 2018, quando la prospettiva di sbarazzarsi di buona parte del debito diventerà più concreta e finirà il programma di “salvataggio” della Grecia
Questo non è un accordo, è una tregua”. Con queste parole un funzionario europeo ha commentato al giornalista Stavros Lygeros l’esito della lunga a travagliata riunione dell’eurogruppo di fine maggio. Sette ore di discussione su un unico argomento: il debito greco, che alla fine del 2016 toccherà, secondo la Commissione, il 182% del PIL.
I termini della “tregua” sono subito spiegati dalla stessa fonte: “Il FMI non ha voluto assumersi la responsabilità politica di far fallire la riunione”. Un rischio reale dalle conseguenze non indifferenti. Fino a luglio le casse greche debbono pagare in titoli in scadenza, interessi e rate, circa 3,5 miliardi. L’Europa rischiava di vivere nuovamente il dramma dell’estate scorsa, con l’aggravante dell’imminenza del referendum britannico: “Il Fondo ha fatto un passo indietro e ha rimandato lo scontro al prossimo giro, quando le condizioni saranno sfavorevoli per Berlino. La discussione sul debito, infatti, sarà condotta sulla base dello studio sulla sua sostenibilità che sta preparando lo stesso FMI. Schauble ha guadagnato tempo, ma è ancora imprigionato dentro una grossa contraddizione: non può permettersi di dire ai suoi elettori che il FMI non partecipa più al programma greco, che diventerebbe così esclusivamente europeo, ma non è disposto a cedere alla prima condizione posta dal FMI per partecipare: alleggerire il debito”.
Appena due mesi fa, per essere precisi, il responsabile per l’Europa del Fondo, Paul Tomsen, non aveva esitato di proporre una strategia estremamente pericolosa, in modo da far passare la strategia del FMI su tutta la linea. All’epoca, non era aperto solo il fronte tedesco ma anche quello greco. Gli accordi dell’estate scorsa imponevano alla Grecia un avanzo primario del 3,5% anno da ottenere nel 2018 e mantenerlo per almeno un decennio. Secondo Tomsen, le misure di austerità previste da quell’accordo non erano sufficienti per raggiungere l’obiettivo, ci volevano ulteriori tagli per circa 3,6 miliardi. Per ottenere una soluzione “soddisfacente” bisognava replicare anche questa volta la strategia del 2015: far arrivare la Grecia alle scadenze estive con le casse a secco, con il rischio di un “incidente”, tanto indesiderato in quanto c’è il referendum britannico. In una situazione di urgenza, riteneva, in cui tutti avrebbero accettato le richeste del Fondo senza discussioni.
Wikileaks pubblicò l’intercettazione del colloquio via Skype di Tomsen con Delia Velculescu, la rappresentante del FMI nella “quadriga” (ex troika) che controlla i conti di Atene. L’effetto fu devastante: Tomsen si guadagnò una nuova reprimenda da parte del Board (e forse anche della stessa Lagarde) e le nuove misure furono criticate dagli europei con inusuale franchezza. Pochi giorni più tardi, Eurostat comunicò i dati sui conti greci e fu un nuovo schiaffo al Fondo: secondo Eurostat la Grecia aveva chiuso il 2015 con un attivo di bilancio dello 0,7% del PIL, mentre il piano concordato a luglio 2015 imponeva al paese almeno un + 0,25% e le stime del FMI parlavano di un disavanzo dello 0,6%.
Non era la prima volta che il Fondo sbagliava platealmente le sue previsioni, come ammesso da tutto lo staff economico. Basti dire che l’applicazione del primo programma di “salvataggio”, nel 2010, avrebbe dovuto portare alla crescita già nel 2011. Siamo sei anni dopo e le previsioni, ben più affidabili, della Commissione prevedono ancora recessione dello 0,3% alla fine dell’anno, con prospettive di crescita del 1,8% nel 2017. Lo stesso Tomsen era stato posto sotto inchiesta interna nel 2013 con l’accusa di non aver fornito stime affidabili ma ancor di più di non aver tenuto conto del dibattito in corso tra gli economisti del FMI nell’elaborazione del programma greco. Alla fine è stato rimosso e promosso a responsabile per l’Europa.
Per il governo greco risolvere il nodo del debito è un punto di primaria importanza. Darebbe per la prima volta il senso che la dura trattativa intrapresa da Atene con i creditori può dare finalmente dei risultati, dopo una serie ininterrotta di sconfitte. Le misure di austerità approvate a tamburo battente dal Parlamento greco pochi giorni prima della riunione cruciale dell’Eurogruppo hanno un enorme costo politico e sociale.
Tsipras ha strenuamente resistito alle pressioni a tagliare la spesa pubblica procedendo a licenziamenti e a tagli alle pensioni esistenti e ha preferito puntare sull’aumento delle entrate. Malgrado i tentativi generosi di distribuire il peso fiscale in maniera più equa del passato e malgrado alcuni successi non trascurabili nella lotta alla diffusissima evasione fiscale, alla fine il governo ha dovuto ricorrere all’aumento dell’IVA dal 23 al 24%, anche nelle isole. Una misura che perfino Schauble ha definito “stupida” e che rischia di colpire il settore primario dell’economia greca: il turismo, arrivato oramai a coprire il 20% del PIL.
Secondo la ministra del Turismo Elena Koundourà per l’anno in corso l’aumento dei prezzi non si farà sentire, al contrario. La chiusura dei mercati turistici concorrenti, come la Turchia e l’Egitto, farà aumentare il flusso turistico verso la Grecia fino a 27 milioni di visitatori. Ma l’aumento dell’IVA rimane comunque una misura recessiva che rischia di abbattere i consumi e non portare alle casse pubbliche gli introiti previsti e tanto desiderati. Questo è avvenuto parecchie volte nella lunga crisi greca.
Ma non tutto è stato vano. L’Eurogruppo ha costretto i tedeschi a cambiare posizione e a riconoscere, per la prima volta, che il debito greco è insostenibile. Schauble, per la verità, ha ripetuto la sua posizione che “non c’è urgenza” ad affrontare la questione, visto che per la restituzione delle somme del secondo e del terzo memorandum è previsto un periodo di grazia fino al 2022 e i tassi sono fermi all’1,5%. Ma ha dovuto accettare la posizione di Atene del FMI che senza un alleggerimento non ci sarà garanzia di stabilità per l’economia greca, visto che si tratta di un fattore che certo non incoraggia gli investitori. Alla fine i tedeschi hanno ceduto ma a condizione che la questione venga affrontata solo dopo le elezioni tedesche previste per l’autunno dell’anno prossimo.
Un impegno simile era stato già preso dall’allora Troika nel 2012, a condizione che la Grecia avesse ottenuto un avanzo di bilancio. L’avanzo era stato ottenuto nel 2014 ma l’allora governo di destra non ha voluto sollevare la questione. La posizione dell’allora premier Antonis Samaras era che il debito era sostenibile, nella consapevolezza che qualsiasi riferimento alla possibilità di taglio avrebbe provocato malumori a Berlino. Ora però le cose sono cambiate: non solo a causa del cambiamento di governo ad Atene ma anche perché il debito greco sta creando seri problemi all’interno del FMI. E’ noto infatti che il suo statuto non gli permette di finanziare debiti insostenibili e per partecipare al “salvataggio” greco nel 2010 dovette procedere a un affrettato cambio, provocando discussioni che nel tempo di sono acutizzate.
Tsipras ha ottenuto inoltre l’abolizione di fatto della clausola irrealistica dell’avanzo primario del 3,5% per un decennio, un obiettivo difficilmente raggiungibile anche per economie fiorenti, figuriamoci per quella greca. Anche questo sarà oggetto di trattativa ma già all’Eurogruppo si è raggiunto un accordo per un impegno greco per un avanzo “significativo”, in pratica dell’1,5- 2%. In caso di deragliamento dei conti, è stato sancito un meccanismo di “garanzie di salvaguardia”.
La tranche del finanziamento sarà divisa in due parti. La prima, di 7,5 miliardi, sarà versata alla fine di giugno, il resto, di 2,8 miliardi, a settembre. La metà dei soldi che saranno incassati a giugno andrà a pagamento dei debiti accumulati dall’amministrazione pubblica greca verso i privati, circa 3,6 miliardi, un’altra parte a pagamento del debito e quello che rimane a sostenere il piano di sviluppo elaborato dal governo e presentato in Parlamento agli inizi di giugno. Anche questo è stato un punto in favore di Atene, visto che con il governo precedente le somme andavano o a coprire il debito oppure la ricapitalizzazione delle banche.
Per ottenere per il denaro, Tsipras deve risolvere le ultime questioni rimaste in sospeso: la “quadriga” esige che i crediti inesigibili delle banche siano ceduti ai funds speculativi, mentre Atene vorrebbe porre delle clausole riguardo alle piccole imprese, circa il 56% degli interessati (già in autunno erano stati esclusi i mutui per la prima casa). Bisogna inoltre sbloccare la privatizzazione dell’area del vecchio aeroporto di Hellikon, acquistato per una somma ridicola nel 2013 dal Gruppo Latsis e bloccata da una serie di sentenze della magistratura. Il governo greco vuole inserire anche questa area nella nuova “super Cassa” che gestirà (non necessariamente privatizzando) tutta la proprietà pubblica, i creditori vogliono risolvere la questione al più presto. Infine ci sono gli introiti dai pedaggi dell’autostrada Egnazia, che unisce Igoumenitsa a Costantinopoli, che i creditori vorrebbero andassero per intero al debito.
Le condizioni veramente difficili per Tsipras sono attese però per settembre, quando la “quadriga” passerà all’attacco cercando di smantellare quello che è rimasto del diritto del lavoro. I creditori chiedono di abolire il divieto vigente a effettuare licenziamenti in massa e anche il valore giuridico dei contratti nazionali e aziendali di lavoro. Tsipras finora è rimasto granitico nel rifiutare qualsiasi cedimento in questo campo.
Anche se le previsioni della Commissione parlano di un rovesciamento dell’andamento dell’economia già nel secondo semestre di quest’anno (“l’economia greca ha mostrato resistenze inimmaginabili”, ha confessato, in un impeto di inconsapevole autocritica, il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem) è evidente che si ripropone per ben sei anni la stessa ricetta fallita. L’abbattimento del costo del lavoro e il restringimento dei diritti sindacali non hanno portato a nessun investimento, ma solo disoccupazione e miseria. Anche il tipo di sviluppo prospettato dai creditori rimane vago oppure, nel migliore dei casi, complementare alle economie del nord europeo (puntando solo sul turismo, con una punta di agroalimentare). La speranza di Tsipras è di resistere fino al 2018, quando la prospettiva di sbarazzarsi di buona parte del debito diventerà più concreta e finirà finalmente il programma di “salvataggio” della Grecia. Solo allora il governo greco potrà sviluppare i suoi progetti di sviluppo e allentare e misure di austerità. Il primo passo sarà il congresso di SYRIZA che si terrà a settembre. Un anno di ritardo, con una dolorosa scissione di mezzo. Ma è evidente oramai che il partito ha avuto enormi difficoltà a tenere il passo, già dall’indomani dell’impetuosa avanzata alle elezioni del 2012, la vittoria elettorale di gennaio 2015 e la retromarcia dell’estate scorsa. Obiettivo del leader è far uscire SYRIZA dal minoritarismo e la cultura della protesta e farlo diventare uno strumento efficace di elaborazione di proposte di governo.